DORIA, Bartolomeo
Nacque, probabilmente nel feudo avito di Dolceacqua (od. prov. di Imperia), nel 1492, primogenito del giovanissimo Luca e di Francesca Grimaldi, figlia di Lamberto, signore di Monaco.
Una situazione di intrighi politico-familiari avrebbe Condizionato la sua esistenza e il destino del suo feudo. Il nonno del D., suo omonimo, discendeva in linea diretta da Oberto Doria, capitano del Comune genovese e signore di Loano, Dolceacqua e San Romolo dalla fine del XIII secolo. Il primo Bartolomeo morì prematuramente nel 1491; ma, nella sua breve signoria, aveva rafforzato le strutture interne ed esterne del feudo, sia con una oculata politica economica in collaborazione con il confinante duca di Savoia sia con una vigorosa difesa militare dei confini suoi e di quelli della Repubblica dalle mire espansionistiche di Lamberto Grimaldi, signore di Monaco. Il padre del D., succeduto a Bartolomeo in età troppo giovane per destreggiarsi nelle lotte tra Adorno e Fregoso che in quel periodo si contendevano la Liguria, si lasciò persuadere dal Grimaldi a sposarne la figlia e a consentirgli di fatto la direzione del feudo. Morto neppure trentenne nel 1500, Luca lasciava sei figli: oltre al D., Lazzaro e Lamberto (poi cavalieri di Malta), Luca, Argentina e Giovan Battista (poi prevosto a Ventimiglia).
Nel testamento, rogato il 14 genn. 1500 dal notaio Francesco Camogli, Luca lasciava il feudo al D., sotto la tutela della madre. Francesca Grimaldi resse il feudo col titolo di governatrice e con l'assistenza dell'avvocato Guglielmo Baffeloni, mentre il D. veniva inviato a Genova p . er ricevere una educazione degna del suo rango.
Ma col trascorrere degli anni i rapporti si fecero tesi, forse per la cattiva condotta del D. (allegata dalla madre per privare il D. dei diritti di successione dei Grimaldi, nel testamento da lei stilato nel'1513), forse piuttosto per la condotta politica priva di scrupoli dello zio del D., Luciano Grimaldi, che trucidò il fratello Giovanni per impossessarsi di Monaco; contro questo zio il D. avrebbe anche avuto personali motivi di rancore per questioni di donne. Sta di fatto che, nei conflittuali rapporti familiari del D., si intromise nel 1523 Andrea Doria.
Il D., che di Andrea era lontano parente, lo aveva conosciuto a Genova e non è escluso che sotto di lui abbia fatto esperienza militare. Così, quando Andrea fu costretto a lasciare Genova dopo il sacco spagnolo del 1522 e la cacciata degli amici Fregoso e si ritirò con la flotta a Monaco (dove si sarebbero svolte le trattative che dovevano portarlo al servizio del re di Francia), probabilmente concretò col D. l'assassinio di Luciano Grimaldi. Gli interessi di Andrea e del D. coincidevano: ad Andrea interessava eliminare un potenziale nemico del suo nuovo padrone (il Grimaldi aveva intavolato trattative per mettersi sotto la protezione di Carlo V) e poter disporre del porto di Monaco, ora che la sua flotta doveva rinunciare a Genova; per il D. era l'occasione di vendicare privati rancori e di estendere sulla prestigiosa Monaco la propria signoria, giustificando l'operazione come atto di giustizia nei confronti dei defraudati diritti della cugina, Maria di Vinol, figlia dell'assassinato Giovanni.
Al di là della presunta responsabilità di Andrea Doria nella ideazione del delitto (su cui faziosamente si soffermano le fonti ostili ed altrettanto faziosamente tacciono le favorevoli; ma esiste una lettera di Andrea che nell'agosto 1523, mentre si recava a Lione per studiare con Francesco I il piano delle operazioni marittime per facilitare il passaggio delle truppe francesi in Italia, scriveva al D. che "era tempo di mandare ad esecuzione il noto progetto": in Rossi, p. 97), sta di fatto che, il 22 agosto, il D. uccise lo zio Luciano.
Il D. aveva chiesto un abboccamento al Grimaldi nel suo palazzo di Monaco, mentre Andrea, ritornato da Lione, si presentava con la sua capitana davanti al porto della città. Allontanate le guardie con uno stratagemma e fattosi condurre nello studio insieme ad un tale Barabba da Sanremo, il D. assassinò il Grimaldi con trentadue pugnalate; ma la reazione dei servi dell'ucciso e della popolazione monegasca indignata costrinsero il D. alla fuga.
Andrea Doria non intervenne, ma andò a raccogliere il D. e i congiurati alla Turbie e di lì li trasportò a Ventimiglia, dove il D. trovò il primo rifugio presso il fratello prevosto, che era a conoscenza della congiura. Anche il mancato intervento di Andrea è stato variamente interpretato: secondo alcuni dimostra l'ignoranza del piano criminoso, secondo altri solo l'impossibifità materiale di essere avvisato in base agli accordi. Certo, se la sua condotta il giorno dell'assassimo puo essere ritenuta ambigua (e volutamente, considerata la potenza della famiglia Grimaldi e la posta politica in gioco), nei mesi successivi interpose apertamente la propria influenza per evitare al D. le conseguenze più gravi.
Infatti il re di Francia con decreto 7 ott. 1523, Carlo II, duca di Savoia, con analogo del 13 ottobre e, soprattutto, Carlo V nel novembre con lettere ai principi ecclesiastici e secolari ordinavano l'arresto del D. e lo dichiaravano decaduto dai suoi feudi. Allora Andrea escogitò come soluzione che il D. offrisse la signoria al duca di Savoia, che poi lo avrebbe reinvestito della stessa, e si adoperò attivamente perché la pratica avesse effetto. Il D. otteneva nel marzo 1524 un salvacondotto del duca e altri erano forniti nel giugno alla moglie, ai figli, al fratello Luca; il 1ºluglio, in Chambèry, faceva la professione di vassallaggio per le terre di Dolceacqua, Perinaldo, Apricale, Isolabona: subito seguì la reinvestitura da parte di Carlo Il (che otteneva così la dipendenza di quasi tutta la Val di Nervia).
La soluzione però, troppo favorevole al D., provocò la reazione del vescovo di Grasse Agostino Grimaldi, fratello dell'ucciso e reggente di Monaco per i nipoti minorenni. Agostino, coadiuvato dal cugino Barnaba Grimaldi, allora comandante della flotta genovese, tra il 15 ottobre e il 3 novembre prese d'assalto i castelli e il territorio del D. e, forte dell'appoggio spagnolo, se ne arrogò la signoria con solenne cerimonia il 5 novembre in Monaco. Ma poiché il D. era riuscito a sfuggirgli ed a porsi con la famiglia di nuovo sotto la protezione del duca sabaudo, per dare pieno effetto alla propria vendetta il Grimaldi ricorse all'inganno. Comunicata al nipote, attraverso la mediazione in buona fede del marchese di Ceva, congiunto di entrambi, l'intenzione di riconciliarsi con lui purché chiedesse pubblicamente perdono nella chiesa parrocchiale di Monaco, fece catturare il D. e lo sottopose a processo. La sentenza di morte fu pronunciata il 13 luglio 1525. Tra le varie ipotesi romanzesche sulla morte del D. (ucciso proditoriamente mentre, resosi conto del tranello, cercava di lasciare Monaco; riuscito a fuggire, ma poi caduto durante un assalto al castello di Penna nel 1528), sembra più probabile quella che vuole che sia stata data immediata esecuzione alla sentenza.
Il D. lasciava la moglie Peretta Doria di Stefano e tre figli: Camilla, Imperiale (morto in Corsica nel 1558) e Stefano, che avrebbe risollevato le sorti della famiglia e del feudo.
Fonti e Bibl.: Documents histor. relatifs à la Principauté de Monaco, a cura di G. Saige, Monaco 1891, I, pp. 236 ss.; J. Doria, La chiesa di S.Matteo, Genova 1860, p. 197 (ma confonde nonno e nipote omonimi); G. Rossi, Storia del marchesato di Dolceacqua, Bordighera 1903, pp. 96 ss.; I. Luzzatti, Andrea Doria, Milano 1943, pp. 54 ss.; P. Lingua, Andrea Doria, Novara 1984: p. 70.