DUSI, Bartolomeo
Nacque a Cologna Veneta (Verona) il 1° giugno 1866, da Michelangelo e Chiara Dal Ge'. Frequentò le scuole elementari e le prime classi delle tecniche inferiori nel suo paese e il ginnasio e il liceo a Vicenza. Nel 1885 s'iscrisse alla facoltà giuridica di Padova, dove poté seguire i corsi di A. Pertile, L. Luzzatti, A. Messedaglia, c. F. Ferraris, B. Brugi, L. Landucci, V. Polacco. Con quest'ultimo, che teneva - dopo L. Bellavite - la cattedra di diritto civile, stabili intensi e duraturi legami.
Laureatosi con lode il 5 luglio 1889 con una tesi in diritto romano (discussa probabilmente col Landucci, del quale avrebbe contribuito a raccogliere e pubblicare alcune Lezioni di diritto romano, Padova 1886-88), si trasferì a Torino per ricongiungersi alla famiglia del fratello maggiore, che fu la sua unica, ed i cui figli egli amò come propri. Nel proposito di dedicarsi agli studi, prese a frequentare l'istituto di esercitazioni nelle scienze giuridico-politiche annesso all'università - allora diretto da C. Nani -, seguendo per un triennio (fino al 1892) i corsi di diritto civile e di esegesi sulle fonti del diritto romano tenuti da G. P. Chironi, e legandosi ad alcuni allievi di quella scuola, come V. Brondi, F. Patetta, F. Ruffini.
Pur nella persistente precarietà dei mezzi (viveva, oltre che con le mai interrotte ripetizioni, con traduzioni dal tedesco e dall'inglese, per conto dell'Unione tipografica editrice, e con anonime compilazioni che definiva "prosa alimentare"), diede compimento, già nel 1891, ad un lavoro su L'eredità giacente nel diritto romano e moderno (Torino 1891), che lo accreditò subito tra le migliori promesse della civilistica.
Si trattava di una delle prime monografie sull'argomento dopo il codice del '65, destinata a lunga fortuna (dello stesso periodo un breve saggio, rimasto poco noto, di C. Lesen - un allievo romano di F. Filomusi Guelfi - Lereditàgiacente nel diritto civile italiano, in Riv. univ. di giurispr. e dottr., I [1887], pp. 144ss., e uno scritto di G. Blandini, Del subbietto dell'ereditàgiacente nel diritto italiano storico e vigente, in Antol. giur., VI [1892], pp. 35 ss., ritenuto piuttosto superficiale).
Già prima che le ricerche degli interpolazionisti consentissero di acquisire la matrice giustinianea dell'eredità giacente come persona giuridica (la memoria di S. Di Marzo, Sulla dottrina romana dell'eredità giacente, in Studi … in onore di V. Scialoja, Milano, pp. 53 ss., è del 1905, appena anticipata da C. Ferrini, Manuale di pandette, Milano 1900, p. 96, n. 1), il D. chiariva: in "hereditas personae vice fungitur" (ildiscusso frammento di Florentino, D. 46.1.22) o nei numerosi altri frammenti del medesimo tono, non si tratta né di personificazione né di finzione, ma semplicemente si riconduce l'eredità al "tipo primitivo e perfetto della subbiettività giuridica" che per i Romani era la persona fisica, della quale essa, solo come "sbiadita immagine", ne farebbe le veci. La teorica della personalità - spiegava - "che secondo molti è la sola ortodossa, perché derivata direttamente dalle fonti romane, non è secondo noi d'origine veramente romana, ma è un prodotto dell'odierna costruzione dogmatica" (p. 89), da studiare come tale (p. 68).
Giudicando inammissibile - contro B. Windscheid - l'idea di un diritto senza soggetto, egli aderiva a quella del "patrimonio allo scopo": durante lo stato di giacenza - e cioè fino all'adizione dell'eredità - il patrimonio mantiene la sua "organica unità" allo scopo di "conservarsi" per un erede.
Il merito non stava nella costruzione (perfezionata da A. von Brinz - ma si deve ricordare K. F. Koeppen - essa era già stata accolta anche in Italia: per es. da F. Forlani, Sulle persone artificiali (giuridiche), in Arch. giur., VII [1871], pp. 3 ss., e già dallo stesso Bellavite, Riproduzione delle note già litografate di diritto civile, Padova 1873, p. 63, possibile sua fonte diretta), ma nel riproporla, sia pure con qualche giovanile ingenuità, in un ambiente divenuto via via autorevolmente ostile (in dissenso, tra gli altri, G. P. Chironi, Istituzioni di diritto civile italiano, II, Torino 1889, p. 367, e già N. De Crescenzio, Sistema del diritto civile romano, III, Napoli 1864, pp. 8 ss.).
Con il manoscritto di questo lavoro il D. partecipò (agosto 1891) al concorso per gli assegni di perfezionamento all'interno del Regno (per il 1891-92), che costituiva per molti la prima tappa dell'itinerario accademico (tra i concorrenti di quegli anni L. Coviello, G. Pacchioni, E. Presutti, L. Ramponi, G. Montemartini, D. Schiappoli, C. Arnò, I. Petrone, F. Ruffini, L. Rossi), riportando però solo un voto soddisfacente (da una commissione, presieduta da L. Lucchini, nella quale il Chironi, designato in un primo momento, era stato poi sostituito).
Non avendo poi neppure ottenuto, per mancanza di fondi, il sussidio straordinario richiesto al ministero (dicembre 1891), l'anno successivo fece nuovamente domanda per un posto di perfezionamento, questa volta anche all'estero (dove, oltre ai fondi governativi, poteva aspirare a un "premio Vittorio Emanuele II", finanziato dalla Cassa di risparmio di Milano per giovani studiosi di origine lombarda o veneta). Risultato primo - a pari merito con altri quattro concorrenti - nella graduatoria per l'interno, ottenne tuttavia il premio per l'estero - dove invece era riuscito secondo, unico candidato per il diritto romano e civile -, a causa della distribuzione dei posti deliberata dall'unica commissione (presieduta da V. Scialoja).
Nel concorso per l'interno (agosto '92), di qualche mese successivo a quello per l'estero, presentava anche un manoscritto sulla "personalità giuridica", nel quale - stando al proposito espresso in una nota de L'eredità giacente, p. 67 - confutava l'opinione savigniana del riconoscimento come presupposto dell'esistenza delle persone giuridiche in diritto romano - cosi già, ancora, L. Bellavite, Delle persone collettive volontarie, Venezia 1879, p. 28 - ed uno studio, parzialmente pubblicato sotto le iniziali B. D. e divenuto introvabile, su Iprincipi di scienza dell'amministrazione secondo il sistema di L. Stein, accompagnato da un'attestazione di paternità a firma di A. Brunialti (allora impegnato, presso la Unione tipografica editrice torinese [UTET], nella direzione delle prima serie della "Biblioteca di scienze politiche ed amministrative").
Il D. scelse Berlino, meta del resto tradizionale dei perfezionandi in diritto, dove frequentò specialmente i corsi di pandette, di istituzioni e di esercitazioni giuridiche di A. Pernice, dedicandosi a uno studio in materia di azioni ereditarie, rimasto probabilmente incompleto o inedito. Poco dopo il rientro a Torino ebbe la libera docenza in diritto civile (d. m. 17 dic. 1894), per la quale ai lavori noti aggiungeva uno scritto su La successione nel possesso negli atti tra vivi, molto apprezzato dai giudici (G. Ronga, c. Nani, G. P. Chironi), ma destinato a non unanimi consensi (datato "giugno 1894", usci in una prima parte in Riv. ital. di sc. giur., XVIII [1894], pp. 3 ss., 161 ss.; e in seguito ibid., XIX [1895], pp. 174 ss.; XX, [1896], pp. 46 ss.).
Presentatosi con gli stessi titoli al concorso per la cattedra di diritto civile a Messina (1894-95), ottenne l'eleggibilità, con i riconoscimenti e gli auspici di una commissione molto autorevole (O. Regnoli, F. Filomusi Guelfi, E. Gianturco, V. Simoncelli, G. P. Chironi), venendo nel frattempo chiamato dalla libera facoltà giuridica di Camerino come straordinario di diritto civile, incaricato della procedura civile e poi anche delle istituzioni. Inaugurando il nuovo anno scolastico (1895-96), il D. tenne una prolusione su Ildiritto subbiettivo e la legge (in Ann. d. Univ. di Camerino, 1895-96), impegnativa su troppi fronti e perciò lacunosa, che gli procurò subito dopo, nel concorso di diritto civile a Catania (ottobre 1896) - dove era eleggibile di diritto -, un giudizio sfavorevole (lo stesso Polacco - commissario insieme a L. Sampolo, F. Filomusi Guelfi, V. Simoncelli e G. Venezian - parlò, meno severamente di altri, di "poca precisione di concetti e nebulosità nella forma").
Chiamato a succedere a N. Coviello, vincitore del concorso catanese, nell'insegnamento del diritto civile a Urbino (novembre-dicembre 1896), vi rimase per un triennio, fino alla nomina a professore straordinario di introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile a Siena, disposta anche in base ai risultati del concorso di diritto civile a Bologna (aprile 1899), dove si era confermato tra i migliori (il posto andò a G. Venezian, già ordinario a Messina; in commissione sia Polacco sia Chironi).
Durante il soggiorno senese - assai intenso anche nella didattica - maturarono numerosi studi, che dovevano valergli la riuscita nel concorso per lo straordinariato delle istituzioni a Genova (novembre-dicembre 1902), espletato insieme con quello di diritto civile a Macerata, cui pure partecipò, risultando secondo dietro a L. Coviello, a sua volta secondo nel concorso genovese. Con il giudizio di questa commissione (Sampolo, Gabba, Polacco, Venezian, Ascoli), egli consolidava definitivamente la sua fama di studioso accurato, talora fin troppo minuzioso, di solida cultura romanistica, incline all'astrazione pur nella prevalente tendenza all'esegesi, capace di originalità.
A differenza della contrastata prolusione camerte o di alcuni lavori attribuibili al periodo urbinate (Cenni intorno alla retroattività delle condizioni dal punto di vista sistematico e legislativo, in Studi giuridici dedicati… a F. Schupfer, Torino 1898, III, pp. 513 ss.; La revocabilità dei diritti subbiettivi patrimoniali, in Riv. ital. di sc. giur., XXV [1898], pp. 25 8 ss., e XXVI [1899], pp. 220 ss.), risultati non sempre persuasivi, questi altri studi avevano rivelato sicuro progresso: cosi Concetto, estensione e limiti del diritto subbiettivo del possesso, in Studi senesi, XVII (1901), pp. 271 ss., e XVIII (1902), pp. 65 ss., dove si sforzava di definire caratteri e condizioni di un "diritto soggettivo del possesso", distinto dal fatto escludendone l'applicabilità nel campo della famiglia, delle obbligazioni e, in senso generale, anche delle successioni; Diritti soggettivi e facoltà giuridiche (Nuove considerazioni intorno alla categoria degli atti meramente facoltativi), ibid., XIX (1902-03), pp. 225 ss., ove, con originale interpretazione dell'art. 688 c.c. (cfr. soprattutto F. Bolchini, I diritti facoltativi e la prescrizione, Torino 1899) - poi contrastata, tra i tanti, da G. Messina - escludeva la legittimità del possesso di un ius in re aliena attraverso la distinzione, nel diritto del proprietario, di facoltà interne (in suo) da facoltà esterne (influenti, cioè, esteriormente su diritti di terzi); e - su temi che poi diverranno i principali della sua produzione - Ancoradella nullità del matrimonio per cagione di errore o di dolo, in Riv. ital. di sc. giur., XXXIV (1902), pp. 3 ss., 237 ss., dove, contro un risalente e pressoché unanime indirizzo, in piena prospettiva contrattualistica sosteneva l'annullabilità del matrimonio anche per dolo; e, soprattutto, il ponderoso volume Della filiazione e dell'adozione, Napoli 1903, uscito - solo in due fascicoli all'epoca del concorso - nella collana di monografie diretta da P. Fiore (parte 2, vol. III).
Per quanto esplicito nelle intenzioni esegetiche, il trattato si dichiarava altrettanto deliberato nell'adesione al "metodo sistematico" (p. 7), infrequente negli studi in materia. Di qui l'aperto rigetto dell'Ordine del codice, impiantato sulla separazione tra filiazione e adozione (riproposta però nel titolo del volume) a favore della classificazione, di matrice dottrinaria, della filiazione in legittima, naturale e adottiva (con l'immediato rilievo che solo la prima trovava opportuna collocazione tra la disciplina del matrimonio e quella della patria potestà).
Elogiando il legislatore postunitario "per tutte le volte ch'egli ha avuto cura di allontanarsi dal suo modello" (p. 27), il D. affrontava, con autonomo giudizio ma non senza evidenti prolissità, i problemi di una disciplina risultata spesso faticosamente mitigatrice di eccessi napoleonici, augurandosi in questa materia "una moralità di sostanza e non di mera vernice" (p. 837). Cosi, p. es., a proposito di ricerca della paternità (su cui ancora Suldisegno di legge circa le indagini sulla paternità naturale, in Riv. di dir. civ., I [1909], pp. 33 ss.), le cui previste ipotesi di ammissibilità gli pareva dovessero essere estese, pur mantenendosene il divieto in linea di principio; a proposito di figli adulterini o incestuosil che giudicava ingiustamente discriminati rispetto a quelli semplicemente naturali; o ancora a proposito di adozione, che guardava con favore, pur consapevole del suo declino, per scopi di "beneficenza e liberalità".
Il trattato ebbe delle ristampe e, appena dopo la morte dell'autore, una seconda edizione (Napoli-Torino 1924), portata a termine da B. Brugi - succeduto nella direzione della collana - sugli appunti ritrovati dalla famiglia, inseriti con scrupolo nel testo insieme a poche aggiunte siglate.
Invece della chiamata a Genova - che pure aveva sollecitato, con la singolare richiesta di un maggiore stipendio - dovette però convenirgli un trasferimento a Modena nella stessa posizione di straordinario di istituzioni civili (d.m. 10 febbr. 1903). Poco dopo il suo arrivo, infatti, la facoltà modenese - resisi disponibili diversi posti ed avendo egli già compiuto il previsto triennio di straordinariato - ne sollecitava al ministero la promozione ad ordinario, fino ad ottenerla (r.d. 26 nov. 1903). Con quest'ultimo traguardo il D. acquisiva la stabilità necessaria per esprimere appieno forse il suo migliore talento: un insegnamento austero, partecipe, lezioni essenziali, scrupolose fino all'eccesso, una costante vicinanza agli studenti, specialmente del corso di istituzioni, al quali poteva imprimere senza orpelli le nozioni basilari, insieme all'abitudine per il ragionamento casistico (tra i suoi libri di testo la raccolta di N. Stolfi, Crestomazia di casi giuridici in uso accademico, Salerno 1911).
Appartengono a questo periodo due lavori in tema di diritto all'immagine, sul quale anche in Italia - con i problemi connessi al diffondersi della fotografia istantanea - andava sviluppandosi l'interesse degli studiosi (dopo i precoci cenni di M. Amar, Dei diritti degli autori delle opere dell'ingegno, Torino 1872, pp. 365 ss., e ad imitazione di quanto avveniva soprattutto in Germania: cfr. spec. il XXVII congresso dei giuristi tedeschi, Innsbruck 1904, del quale il D. tenne conto): Cenni intorno al diritto alla propria immagine dal punto di vista sistematico e legislativo, in Studi senesi. Scritti… in onore di L. Moriani, Torino 1906, II, pp. 209 ss., e Del diritto all'immagine, in Riv. di dir. commerc., V (1907), 2, pp. 431 ss. Contrario ad assimilare il diritto all'immagine a quello sulle opere dell'ingegno - come, tra gli altri, R. von Jhering, sia pure con sfumature rilevanti -, nonché a configurarlo come diritto soggettivo per sé stante, il D. tendeva - ma con decrescente determinazione - a rappresentarlo come manifestazione di un unico ampio diritto della personalità - ben distinto dal diritto sul proprio corpo - la lesione del quale si verificherebbe, costituendo perciò sempre una iniuria, per il mero fatto della divulgazione di un'immagine senza consenso.
Si segnalano inoltre alcune Addizioni alla versione italiana del Trattato teorico-pratico di diritto civile diretto da G. Baudry-Lacantinerie - curata per Vallardi da P. Bonfante, G. Pacchioni e A. Sraffa -, su temi vicini ai suoi interessi, tra cui: Cenni sul diritto obiettivo e il subbietto del diritto secondo la legge italiana, in Delle persone, I, Milano s.d., pp. 745 ss. (ove, tornando con diversa padronanza sopra argomenti cosi discussi, affermava, con toni di stretta osservanza positivistica, l'efficacia della regola interpretativa di cui all'art. 3 delle preleggi - ricorso ai principi generali di diritto - ostile, in linea di principio, ad ipotesi di creazione giurisprudenziale di norme pur nella consapevolezza dell'"insufficienza dell'ordinamento legislativo di fronte a quello giuridicoc p. 773); La separazione del patrimonio del defunto da quello dell'erede nel diritto civile italiano, in Delle successioni, III, Milano s.d., pp. 1 ss. (dove, evidenziato il divario tra la disciplina romanistica - sostanzialmente ripresa dal Code Napoléon - e quella del codice vigente e dimostrato come quest'ultimo si fosse ispirato alla dottrina della prelazione semplice dei creditori separatisti, affrontava problemi rimasti insoluti nella legge); e un articolo su Le dichiarazioni di fiducia nel diritto italiano, in Ildir. eccl. it., s. 2, V (1912), 1, p. 517, allineato alle posizioni della prevalente dottrina sull'interpretazione della prima parte dell'art. 829 c.c. (l'erede fiduciario potrà adempiere il suo obbligo di coscienza e non la sua obbligazione naturale - solo attraverso un nuovo atto di liberalità e non mediante una semplice dichiarazione).
Tra numerose note a sentenza - quasi tutte per la Rivista di diritto commerciale - una Sulle immissioni immateriali, ibid., VI (1908), 2, pp. 518 ss. (questione non nuova, ma di attualità, che in assenza di una norma specifica, andava a suo giudizio trattata come "un caso speciale di responsabilità per danno ingiustamente dato", al di là del limite - in seguito considerato impreciso - dell'uso normale della proprietà rispetto ad un ragionevole margine di tolleranza, da valutare caso per caso); od un'altra Sulla clausola "rebus sic stantibus", ibid., XIII (1915), 2, pp. 148 ss. (la cui dottrina, di provenienza dal diritto comune, egli riconduceva al problema della determinazione della volontà effettiva dei contraenti - e non, come Windscheid, a quella della "presupposizione" - ritenendola applicabile a quei mutamenti che "non dovevano neppure essere previsti secondo i principi comuni della responsabilità contrattuale").
Degna di nota, per contenuto programmatico, una recensione alla 2 ed. delle Istituzioni di diritto civile italiano di B. Brugi (Milano 1907), in Arch. giur. "F. Serafini", LXXVIII (1907), pp. 337 ss., dove, non senza espliciti dissensi, apprezzava la rappresentazione del diritto civile "corne una forza o come un complesso organico di forze sociali che si muovono attraverso la storia" e "non come un sistema cristallizzato nel momento attuale" (p. 338).
Nell'autunno 1918, essendo vacanti nella facoltà di Padova le cattedre civilistiche (Polacco passava a Roma dopo trent'anni), il D. chiese di essere chiamato, preferibilmente per le istituzioni. Destinato, invece, al diritto civile (d. luog. 24 nov. 1918), si trovò a dovervi subito dopo con qualche imbarazzo rinunciare, per accettare la chiamata (d. luog. 29 dic, 1918) nella facoltà di Torino (da questa proposta d'ufficio nell'intento di provvedere a sua volta agli insegnamenti rimasti scoperti con la morte di Chironi - che il D. poi ricordò in uno scarno necrologio, in Ann. dell'Univ. di Torino, 1919-20, pp. 295ss., ripubblicato, con approfondimenti, in L'opera scientifica di G. Venezian e G. P. Chironi, in Riv. di dir. comm., XX [1922], 1, pp. 1 ss. -): fedeltà ad una disciplina, ma forse ancora ragione di prevalenti affetti.
A Torino, dove continuò ad avere grande seguito di studenti, nacquero le Istituzioni di diritto civile, la sua opera rimasta più famosa. Esse apparvero per la prima volta, con veste piuttosto dimessa, a Napoli nel 1922, presso L. Pierro, un vecchio libraio editore, il quale, pur disponendo in partenza dell'intero manoscritto, riusci a stamparne, e con molta lentezza, soltanto il primo volume. Sopraggiunta la morte dell'autore, bisognò che la famiglia ne recuperasse il testo integrale, perché - solo nel 1929 - uscissero da Giappichelli di Torino - presso cui si doveva poi svolgere tutta la successiva vicenda editoriale - i due volumi di una "edizione riveduta ed aggiornata" da M. Sarfatti e, già l'anno successivo, per cura dello stesso, di una seconda edizione (1930-31). Nel 1940 se ne ebbe una terza, a cura di Silvio Romano, e successivamente una quarta, curata dallo stesso Romano (I vol., 1943-44) e da A. Montel (II vol., 1947). A questi ultimi curatori si devono ancora una quinta (1951) ed una sesta edizione (1958).
Nel 1978 è apparsa, con il titolo di Istituzioni di diritto privato, una "settima edizione tinnovata ed ampliata" a cura di S. Maiorca, ma limitata al primo volume (con una ried. nel 1982). Il secondo è uscito nel 1983 a nome del Maiorca, come dispense dalle sue lezioni.
I successivi interventi hanno lasciato pressoché inalterata l'originaria distribuzione delle materie (I vol.: parte generale; diritto di famiglia; diritti reali; II vol.: diritti di obbligazione; diritti di garanzia; diritto ereditario), limitandosi a quegli aggiornamenti, legislativi o dottrinali, ritenuti via via indispensabili - secondo lo stile dell'autore, con note o addizioni debitamente segnalate (tra le novità un unico capo dedicato ai "diritti reali di godimento", nel quale scompariva il paragrafo delle "servitù personali").
Salvo l'aggiunta - "dopo qualche esitazione" - della parte generale (ritenuta "necessaria alla scienza" - "la parte più propriamente scientifica di tutto il sistema di diritto civile" - non già come "mera astrazione, ma soltanto riunione logica, sotto principi comuni, di disposizioni concrete, che nel codice sono sparse nelle varie parti speciali", p. 35); salvo lo spostamento alla fine della trattazione della materia ereditaria (troppo riduttivamente considerata, all'art. 710, come modo di acquisto della proprietà); e salvo ancora la distinzione, all'interno dei diritti patrimoniali, dei diritti reali da quelli di obbligazione nonché di questi, nel loro insieme, da quelli di garanzia, l'ordine era grosso modo - come informava lo stesso autore - quello del codice, in esplicito e quasi polemico distacco, in più punti, dal sistema dei pandettisti (adottato, tra i primi in Italia, proprio dal Chironi delle Istituzioni).
Significative, perciò, ad es., la preposizione dei diritti di famiglia a quelli patrimoniali - oltreché la loro netta contrapposizione in quanto "stati della persona", "con contenuto essenzialmente morale ed interamente sottratti al commercio" -, nonché l'identificazione dell'autonoma categoria dei diritti di garanzia, reali e personali, "in vista del loro scopo comune, che è sempre quello di assicurare l'adempimento di un'obbligazione" (p. 36).
L'intento, dichiarato nelle Avvertenze, era quello di compilare "una guida dottrinale per una prima lettura del Codice", perché i giovani si addestrassero in primo luogo, quasi come "autodidatti", alla diretta "lettura del testo legislativo, almeno nelle sue parti fondamentali", reagendo "alla tendenza a sostituire il trattato al codice".
I presupposti erano che nella conoscenza giuridica "non si deve andare dalla teoria al fatto, ma dal fatto alla teoria"; che "per noi giuristi la legge scritta è il fatto, la scienza del diritto la teoria"; e che, in definitiva, "compito della scienza è di trarre dal codice il sistema del diritto civile" (p. 37). Del resto - chiariva (par. 6) - nella applicazione della norma "la funzione del giureconsulto non è più solamente scienza, ma arte; arte nobilissima, che non si può insegnare e che, oltre alla completa conoscenza dell'intero sistema del diritto positivo, esige una grande esperienza della vita e un felice intuito delle sue relazioni giuridiche".
Nel gran discutere che sin dall'introduzione del corso di istituzioni come obbligatorio (1885) si era fatto sul metodo di questo insegnamento (allora accoppiato a quello di enciclopedia giuridica), il D. sceglieva dunque ormai "contro corrente" (cosi, in una affettuosa recensione, S. Pivano, in Arch. giur…, s. 4., VI [1923], pp. 248 ss.): sceglieva con la pratica trentennale dell'insegnante, più che con gli schemi dello studioso, memore forse di un antico auspicio (V. Polacco, Prelezione ad un corso di istituzioni di diritto civile, letta nella università di Padova il giorno 26 nov. 1884, Padova 1885, p. 17).
Già socio effettivo dal 1910 della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena (nelle cui Memorie, s. 3, XI [1914] e XII [1915], pubblicò una breve Commemorazione di L. Ferrarini ed una accurata esposizione de L'opera scientifica di G. Venezian, entrambisuoi amici), professore onorario nelle università di Urbino e Modena, entrò nel comitato di direzione dell'Archiviogiuridico "F. Serafini" quando nel 1921, dopo anni di silenzio, se ne inaugurò la quarta serie (ibid., I, pp. 157 ss.: brevi "note di studio" su Il codice civile del Brasile).
Angustiato a lungo da una malattia, il D. mori a Torino il 29 dic. 1923.
I lavori del D. (ad esclusione delle opere maggiori, di alcune recensioni e di pochi altri già ricordati) sono raccolti in due ampi volumi di Scritti giuridici, a cura di P. Schlesinger, Torino 1956.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Min. Pubbl. Istr., Fasc. pers. prof. univ., II versamento; Ibid., Div. istr. sup. (1890-95), Posti di perf., 1891-92, bb. 54, 55; 1892-93, bb. 128, 130, 201; Ibid., Lib. doc., b. 294; Ibid., Conc. a catt. (1860-96), b. 15, fasc. 278 (Messina); b. 8, fasc. 138 (Catania); Ibid., (1897-1910), b. 177 (Genova e Macerata); le relazioni di sintesi sui concorsi a cattedra anche in Boll. uff. Min. Istr. Pubbl., 1895, II, pp. 1514 ss. (Messina); 1897, I, pp. 563 ss. (Catania); 1900, II, pp. 1224 ss. (Bologna); 1904, II, pp. 1304 ss. e 1464 ss. (Genova e Macerata); Stato del pers. addetto alla P. I. (dal 1892 Annuario uff. del Min. Istr. Pubbl.), ad annos (dal 1884 al 1895 un Dusi Bartolo e poi Bartolomeo risulta delegato scolastico mandamentale per Ono Degno, nel Bresciano). G. Pacchioni, B. D., in Arch. giur. "F. Serafini", s. 4, VII (1924), pp. 129-132 (con bibliografia d. scritti); A. Vanni, Prof. B. D., in Ann. d. Univ. di Urbino, 1923-24, p. 131 ss.; S. Pivano, B. D., Ann. d. Univ. di Torino, 1924-25, pp. 201 ss.; G. Arangio Ruiz, Disc. comm. di B. D., in Atti e mem. della R. Acc. di sc. lett. ed arti in Modena, s. 4, I (1926), pp. 42 ss.; E. Albertario, D. B., in Enc. It., App., I, Roma 1937, p. 535. Notizie sul docente in alcune recensioni alle Istituzioni, e spec.: S. Pivano, in Arch. giur., s. 4, VI (1923), pp. 248 ss.; E. Albertario, in Riv. di dir. comm., XXVIII (1930), 1, pp. 877 s.; R. Montessori, in Arch. giur., s. 4, XX (1930), pp. 120 ss. Altre notizie in A. Rocco, La scienza del diritto privato in Italia negli ultimi cinquant'anni, in Riv. di dir. comm., IX (1911), 1, pp. 285 ss.; G. Rotondi, Letteratura civilistica francese ed italiana, ora in Scritti giuridici, III, Milano 1922, pp. 498 ss.; G. P. Chironi, Mem. dell'Ist. giur. d. Univ. di Torino, s. 2, I, Torino 1928 (spec. nelle parole introduttive di G. Solari); F. Ferrara, Unsecolo di vita del diritto civile (1839-1939), in Riv. di dir. comm., XXXVII (1939), 1, pp. 429 ss., ora in Scritti giuridici, III, Milano 1954, pp. 273 ss. Cfr. poi V. Polacco, Note ed appunti sulle Istituzioni di diritto civile del prof. G. P. Chironi, in Riv. it. di sc. giur., IX (1890), pp. 32 ss.; Id., Lascuola di diritto civile nell'ora presente, in Riv. didir. civ., XI (1919), pp. 105 ss. E ancora: S. Riccobono, L'insegnamento del diritto nelle Universitadella Germania, Palermo 1897; S. Schipani, Sull'insegnamento delle Istituzioni, in Il modello diGaio nella formazione del giurista. Atti del Conv. torinese in on. di S. Romano, Milano 1981, pp. 139 ss. (che vorrei ricollegare a B. Brugi, Storia della giurisprudenza e storia delle cattedre universitarie, in Atti d. R. Ist. ven. di sc. lett. ed arti, LXVIII [1907-08], 2, pp. 377 ss.); F. D. Busnelli, Il problema dei manuali di diritto privato: unosguardo retrospettivo e una proposta, in Jus, 1983, pp. 329 ss.; L'esperienza giuridica di EmanueleGianturco, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1987, pp. 45-152, 297-364.
A. de Nitto