EUSTACHI (Eustachio, Eustachius), Bartolomeo
Nacque a San Severino Marche (prov. di Macerata), secondo alcuni storici nel 1510, secondo altri nel 1500 o nel 1507, da Mariano, esponente di un'antica famiglia patrizia locale, e da Francesca Benvenuti.
Altre città, come Urbino, San Severino in provincia di Salerno, Santa Severina in Calabria, si sono disputate l'onore di avergli dato i natali ma a torto, come sembra ora certo dopo le indagini soprattutto di V. E. Aleandri che fece accurate ricerche negli archivi di San Severino Marche. Dagli Atti consiliari di questa città risulta con chiarezza l'albero genealogico della famiglia. Il padre "magister Marianus medicus" figura per la prima volta nel 1494 quale membro del Consiglio del quartiere di S. Maria della Misericordia dove, come testimoniano i Libri degli istrumenti (San Severino, Arch. com., I, p. 133; II, p. 17), abitava in una casa confinante con l'ospedale, che in altri documenti di epoca più tarda (Ibid., Libro dell'entrate e spese del Comune dal 1560 al 1562, pp. 170 e 192) appare essere stata lasciata in eredità ai figli. Svolse la professione di medico nella sua città e poi nei paesi vicini di Pollenza (allora Monte Melone), Cingoli, Recanati, Fabriano, dove sembra esercitasse quando nacque l'E., e nel 1530, divenuto ormai famoso, fu chiamato alla corte del duca Guidobaldo da Montefeltro come suo medico personale.
Scarse notizie abbiamo sulla prima educazione dell'E.: sappiamo con certezza che fu avviato agli studi umanistici completati poi, secondo alcuni, a Roma dove avvenne altresì l'intera sua formazione medica. Grande fu sotto questo rispetto l'influenza esercitata su di lui dal padre, "physicus excellens", come viene detto nei citati Atti consiliari. A probabile che durante gli anni di studio abbia visitato Padova, dove era allora rettore un suo conterraneo, Severino Boccacurati, anch'egli medico. Ebbe un fratello, Fabrizio, e, secondo alcuni, quattro sorelle, di una delle quali soltanto, Angela, andata sposa a un Valtieri di Tolentino, è rimasto un ricordo. Fabrizio, medico di valore, nel 1530 svolgeva la sua professione a Pesaro e nel 1532, alla morte del padre, lo sostituì come medice di corte a Urbino. Morto Mariano, l'E. fu costretto a tornare in patria e a continuare qui i suoi studi di latino. Pochi anni dopo, nel 1539 morì prematuramente anche il fratello Fabrizio, e all'E. venne offerta la seconda condotta medica nel Comune di San Severino con inizio il 20 dicembre di quello stesso anno, come risulta appunto dai citati Atti consiliari. A rimasta la documentazione relativa al suo stipendio che si aggirava attorno ai 16 fiorini al mese come dimostrano i pagamenti dei mesi di gennaio e febbraio 1540 di 33 fiorini, 13 bolognini e 8 denari, e di quello di luglio di 16 fiorini, 26 bolognini e 6 denari (San Severino, Arch. com., Libro delle entrate e delle spese del Comune di Sanseverino dal 1538 al 1541, pp. 123, 125, 126, 128).
Ma il suo esercizio di medico condotto non ebbe lunga durata perché l'E. venne quasi subito chiamato alla corte urbinate ad occupare il posto che era stato del padre e poi del fratello Fabrizio. Sembra tuttavia che nel 1546, non sappiamo bene per quale ragione, egli facesse un tentativo di riprendere il suo posto di "physicus communis" senza però riuscirvi, poiché il Consiglio comunale di San Severino bocciò il 31 gennaio di quell'anno la richiesta e gli preferì un altro. Se, come la chiamata alla corte di Urbino dimostra, la sua preparazione medica e la sua reputazione avevano gia raggiunto un buon livello, non minori progressi egli aveva fatto nello studio non solo del latino. ma anche del greco e dell'arabo, lingue la cui conoscenza gli era indispensabile per la lettura dei testi originali dei maggiori medici del passato. Anzi, di alcuni di questi, come Eroziano, fece una versione latina con relativo commento, preziosa testimonianza dell'altissimo livello della sua formazione umanistica. Per ciò che concerne la sua conoscenza dell'arabo resta l'autorevole giudizio di João Rodriguez de Castello Branco, più noto come Amatus Lusitanus, medico e filosofo, che riteneva l'E. "il solo a possedere profonda perizia di molte lingue, l'arabo compreso" e l'unico in grado di intraprendere la traduzione latina dell'opera di Avicenna. Nel favorevole ambiente della corte urbinate l'E. sviluppò ulteriormente la sua cultura umanistica utilizzando la ricca biblioteca ducale affidata alle cure di Pietro Antonio Collio, anch'egli di San Severino. Qui forse sotto la guida di F. Commandino, a cui ricorrerà anche in seguito, nel 1568, per l'uso dello gnomone geometrico, si dedicò allo studio della matematica e della geometria, discipline a suo avviso indispensabili per la corretta comprensione e rìproduzione dell'"architettura" del corpo umano con il suo metodo delle ascisse e delle ordinate. Nel 1547, sempre a Urbino, venne scelto come medico personale di Giulio Della Rovere il quale, creato cardinale da Paolo III, si trasferì a Roma e lo volle con sé, facendolo dimorare nella sua stessa casa, un palazzo attiguo alla chiesa di S. Maria in via Lata, dove sorgerà in seguito il palazzo Doria Pamphili.
A Roma l'E. non tardò a mettersi in luce per la sua eccellente preparazione e perizia medica divenendo assai presto protomedico. Una tappa significativa della vita e della carriera dell'E. fu segnata qualche anno più tardi dalla sua chiamata alla Sapienza. Non è certo però l'anno di inizio del suo insegnamento. Nei Ruoli dei lettori che vanno dall'anno 1539 al 1787 il nome dell'E. come insegnante di medicina figura tra il 1555 e il 1568. Ciò non autorizza a ritenere il 1555 l'anno di inizio della sua docenza; ma sappiamo con certezza che questa nel 1552 non era ancora iniziata. Dal Ruolo del 1563 pubblicato in questo stesso anno sotto il pontificato di Pio IV si apprende che era lettore di medicina pratica insieme con Gaspare Cardano con uno stipendio annuo di 330 scudi. Nel frattempo, non sappiamo né quando precisamente né con chi, l'E. si era sposato. Dal matrimonio ebbe almeno un figlio, Ferdinando o Ferrante (1542-1594), che, come risulta da una sua lettera del 5 dic. 1566 ad Ulisse Aldrovandi, suo devoto amico ed estimatore, studiava presso i gesuiti a Roma (Bologna, Bibl. univ., Ms. Aldrov. 382, c. 277: L. Frati, Catal. dei manoscritti di U. Aldrovandi, Bologna 1907, p. 42), e sarebbe divenuto poi medico e professore di medicina a Macerata e alla Sapienza di Roma.
Tra il 1560 e il 1567 si deve porre il periodo più intenso della sua attività di studioso e di docente. Come umanista si pose nei confronti dei testi antichi con l'intento di chiarire con i mezzi della filologia e della ricerca storica le dottrine più ambigue, riportandole al loro originario significato e ponendo così fine alle ostinate e interminabili discussioni da esse sollevate. Nella soluzione dei difficili problemi che la sua professione gli poneva ripose sempre la più grande fiducia nello studio dell'anatomia, dalla precisa conoscenza della quale dipendeva a suo avviso la possibilità di esercitare con perizia l'arte medica. A questo proposito qualche storico ha affermato che l'E. fu il primo a fare in Roma sezioni necroscopiche. Nella sua attività di docente accoppiava all'insegnamento della medicina pratica quello appunto dell'anatomia coadiuvato dall'allievo Pier Matteo Pini, che aveva portato con sé da Urbino e a cui lasciò poi in eredità i numerosi strumenti che egli stesso aveva ideato per l'esercizio della sua professione e per la ricerca scientifica (si veda il testamento dell'E. stampato per la prima volta da F. Puccinotti, Storia della medicina, Livorno 1859, II, 2, pp. 657-661, da un documento conservato nell'Archivio di Stato di Firenze, Ducato di Urbino, classe III, div. 3bis, cc. 164r-165r, la cui stesura risale al 1570; altra copia, nell'Archivio di Stato di Roma, Collegio dei notari capitolini, vol. 1534, cc. iv-3r). In riconoscimento del valore della sua attività gli era stato dato il raro privilegio di poter investigare sui cadaveri di tutti gli ospedali di Roma con facoltà assegnatagli dal pontefice di farne pubblica dimostrazione. Si spiega così il grande afflusso di uditori stranieri alle sue lezioni e lo scalpore, non privo di spiacevoli conseguenze polemiche da parte dei suoi colleghi, suscitato dal suo metodo basato in primo luogo sulla osservazione del corpo umano e sul confronto fra i dati così ricavati e la letteratura medica tradizionalmente legata ai testi di Galeno e di Aristotele. A queste polemiche l'E. fa sovente riferimento nelle dediche di alcune delle sue principali opere come l'Epistola de auditus organo e l'Examen ossium et de motu capitis. Nonostante i rapporti non sempre ottimi con i colleghi accademici l'E. prendeva viva parte alla vita universitaria partecipando alle riunioni che si tenevano talora nella sua stessa stanza, per la compilazione del nuovo statuto della facoltà medica (documenti all'Archivio di Stato di Roma, Miscellanea, t.VIII: Copia reformationis statutorum Coll. ... Urbis phisicorum ... ex libro Secretariatus..., 1578, nn. 4 e 6, dove sono registrate tutte le adunanze del Collegio dei medici della Sapienza). Concreto frutto di questa sua instancabile attività di ricercatore e di studioso sono le opere scritte e pubblicate, sembra, tutte negli anni del suo insegnamento romano.
Nel primo di questi scritti, l'Examen ossium et de motu capitis, Romae 1561, dedicato al filosofo e medico Fabio Amici, suo amico e collega, egli spiega il serio e profondo significato delle sue ricerche e del suo insegnamento, che non mirava ad ingannare i giovani distogliendoli dal rispetto per l'autorità di antichissimi medici come Ippocrate e Galeno, ma soltanto a chiarire i presupposti metodologici delle loro dottrine e degli errori da quei presupposti spesso scaturiti: la scelta degli argomenti nasce dalla necessità di rettificare antiche credenze assunte in modo acritico senza il vaglio di una verifica sperimentale. Cosi, in quest'opera il suo sforzo è volto a dimostrare come l'anatomia descritta da Galeno fosse quella della scimmia e non quella dell'uomo, che invece egli intendeva propriamente illustrare con l'aiuto dell'osservazione diretta.
In maniera analoga nella successiva Epistola de auditus organo, Romae 1562, dedicata a Francesco Alciati, di Civita, l'accento batte sulla necessità di procedere ad una attenta e rigorosa osservazione degli organi (in questo caso dell'orecchio) e del loro funzionamento; e ciò, soprattutto, per la mancanza di descrizioni attendibili e minuziose provenienti dalla antichità e per la superficialità di quelle "moderne", con un trasparente attacco ad A. Vesalio "anatomicae hodie artis inventor, et quasi architectus ab omnibus pene creditur" (p. 154). Considerato con la mente libera dal pregiudizio dell'"autorità", l'organo dell'udito si presenta all'occhio dell'osservatore come un "artificio" estremamente complesso, molto più articolato di quanto non si ritenesse, un meccanismo opportunamente escogitato dalla natura per veicolare la voce "nuncia animi", da cervello a cervello. In questo "artificio", come e stato unanimemente riconosciuto dagli storici della medicina, l'E. scoprì cose che nessuno aveva visto prima: la staffa, la finestra ovale, l'acquedotto, il muscolo interno del martello, la tuba e numerosi altri rapporti funzionali tra varie ossa, fino ad allora ignorati.
Numerose sono anche le informazioni originali che si ricavano dal Libellus de dentibus, Venetiis, V. Luchinus, 1563 (finito nel dicembre del 1562; altra edizione Leida 1707, con prefazione di H. Boerhaave), dedicato al cardinale Marco Antonio Amulio (Da Mula), dove oltre ad una accuratissima descrizione dell'organo, troviamo i primi accenni di una embriologia dentaria. L'opera consta di trenta capitoli nei quali, a partire dal nome, si esamina ogni aspetto dell'organo: sostanza, colore, figura, grandezza, numero, sede, radici e loro forma, proporzione e simmetria. L'E. non manca, da buon umanista, di riportare le opinioni dei vari autori antichi, soprattutto di Aristotele e d'Ippocrate e abbozza, fatto assai nuovo, una spiegazione dei fattori e delle forme della crescita dentaria.
Un interessante documento del lavoro preparatorio alle sue pubblicazioni è offerto dalle Annotationes..., ex Hippocrate, Aristotele, Galeno, aliisque authoribus collectae di Pier Matteo Pini, Romae 1561, sulla base di materiale già raccolto dall'Eustachi. Notevolissima è l'importanza degli Opuscula anatomica, Venetiis, V. Luchinus, 1563 (altra edizione ibid. 1564), costituiti da otto Tabulae et figurae anatomicae, dove si spiega come riprodurre su carta, legno e ferro e come individuare esattamente le parti descritte nel commento; e dal trattato De renibus dedicato a Carlo Borromeo. Seguendo un ordine di esposizione analogo a quello del trattato sui denti, e non senza avere prima sferrato un violento attacco contro coloro che ne sostenevano l'inutilità, egli esamina in quarantasei capitoli raggruppati in base a tre grandi argomenti (De renum structura, De renum officio, De utilitate structurae renum) la somma delle caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell'organo, con frequenti riferimenti ad antiche dottrine, per lo più di Aristotele, sempre attentamente discusse e sovente respinte. Interessanti per le novità introdotte sono soprattutto i capitoli XL-XLVII dedicati alle tecniche di indagine per evidenziare le complesse strutture interne dell'organo con l'iniezione di liquidi nei vasi.
Tutte volte a difendere il metodo dell'esatta osservazione e descrizione dell'anatomia umana contro preconcetti antichi e moderni sono due operette sulle vene, De vena quae ἄζυγος Graecis dicitur; et de alia, quae in flexu brachii communem profundam producit ... e la De humerariae venae propagine quae in flexu brachii ex Galeni sententiam venam communem profundam producit..., s. l. né d., dove, distribuendo la materia rispettivamente in diciotto e quattro "singrammata" e "antigrammata", discute a fondo le accuse rivolte da Vesalio a Galeno verificandone spesso l'infondatezza sulla base di un rigoroso esame dei testi di questo; e in più mette in evidenza la sostanziale vicinanza dei due medici, entrambi legati, nello 'studio dell'anatomia, all'uso delle bestie.
Una efficace testimonianza dell'acribia filologica dell'E. si ricava poi dall'Erotiani Graeci scriptoris vetustissimi vocum, quae apud Hippocratem sunt, collectio..., pubblicata insieme con il Libellus de multitudine, Venetiis 1566. Dedicata al suo protettore, il cardinale Giulio Della Rovere, e diretta ai suoi discepoli "hoc autumnali vitae meae tempore", l'opera doveva soddisfare un'esigenza profondamente sentita fra i cultori di discipline mediche, quella cioè di arrivare a una sicura e chiara interpretazione del "vocabolario" specifico di Ippocrate. Scavando tra i manoscritti della Biblioteca Vaticana, l'E. era riuscito a trovare, seppur lacero e mutilo, il prezioso libretto di Eroziano che consentiva, finalmente di entrare nei "penetrali" del linguaggio tecnico di Ippocrate. Nel suo commento, che venne di nuovo stampato a Lipsia nel 1780, segno di una perdurante fortuna, l'E. mira a dimostrare contro vari interpreti la correttezza delle interpretazioni avanzate da Eroziano e la sostanziale coincidenza di opinione dei due antichi medici.
Interessante dal punto di vista della storia della medicina anche l'opuscolo De multitudine, finito di scrivere a Roma nel luglio 1564, dove in trentaquattro capitoli l'E. si propone di stabilire, da storico e filologo, la vera dottrina di Galeno nel suo discusso libretto sulla costituzione del sangue, e insieme, "da uomo libero", di esporre i propri dubbi di fronte a molte sue ambigue opinioni, proponendo i risultati dei suoi personali studi in tema di "plethos", "plesinone" e "pleonexia", non senza entrare in argomenti squisitamente filosofici, riguardanti l'anima e le sue facoltà e lo spirito del mondo.
Ma l'opera cui maggiormente teneva, il De dissensionibus et controversiis anatomicis, ove riassumeva i risultati della sua piuriennale ricerca anatomica non venne mai pubblicata, e anzi fu considerata a lungo perduta, almeno fino a quando L. Belloni non ritenne di poterla riconoscere nel manoscritto C.IX 117 della Biblioteca comunale di Siena, incompiuto e recante i segni della grafia del Pini. Si erano invece fortunatamente potute da tempo recuperare le Tavole che la illustravano e a cui è rimasta legata la fama dell'Eustachi. Lascìate insieme con molti altri suoi scritti in eredità a Pier Matteo Pini, vennero ritrovate per la pertinacia e l'entusiasmo di G. M. Lancisi, su indicazione di M. Malpighi, fra le carte del canonico Andrea de' Rossi, pronipote del Pini. Acquistate nel 1712, per 600 scudi da parte dei papa Clemente XI, le Tabulae anatomicae, quas a tenebris tandem vindicatas ... praeparatione, notisque illustravit ... Io. M.a Lancisius furono pubblicate a Roma nel 1714, in occasione dell'inaugurazione della Biblioteca dell'ospedale di S. Spirito che poi da lui prese nome (altre edizioni: Ginevra 1717; Amsterdarn 1722; Roma 1728, 1740, 1741, 1742; Leida 1761; Venezia 1769; Roma 1793 e 1798; 1944; Modena 1968). Molte congetture sono state avanzate circa l'autore dei disegni (Giulio Romano, lo stesso Tiziano), ma nulla si sa di certo.
Non sappiamo con precisione quando ebbe termine l'insegnamento romano dell'E.: è certo soltanto che nei Ruoli della Sapìenza per l'anno 1567 la cattedra che era stata sua era tenuta da altri. Da alcune sue lettere conservate tra i manoscritti della Biblioteca Oliveriana di Pesaro (Lettere d'illustri stranieri, cod. N 429, tomo I, pp. 78-79) risulta che, interrotta quasi certamente per motivi di salute la sua attività di insegnante, continuò la professione di medico al servizio del cardinale di Urbino e di altri.
Nell'aprile del 1568 era a Pesaro; nel settembre dello stesso anno a Fossombrone, dove venne colpito da un ennesìmo attacco di gotta. In questa locafità era ancora nel gennaio del 1571 (lettera del 4 genn. 1571 al duca di Urbino, in Arch. di Stato di Firenze, Ducato d'Urbino, classe I, div. G [F.CCLIX, p. 241); Ma nel settembre lo troviamo di nuovo a Roma dove con uno stratagemma fa copiare per il duca d'Urbino un sonetto e tre canzoni scritti dal poeta Curzio Gonzaga in occasione della vittoria di Lepanto sui Turchi. Le ultime notizie che abbiamo sull'E. risalgono all'agosto del 1574 allorché, chiamato al capezzale dei cardinale Della Rovere infermo a Fossombrone, si mise in viaggio per raggiungerlo, ma non arrivò alla meta poìché morì in una imprecisata località (molto vicina a Fossato di Vìco, in provincia di Perugia, come dimostra un codicillo al suo testamento sottoscritto in questa localita un giorno prima della morte) il 27 agosto di quello stesso anno (Arch. di Stato di Roma, Collegio dei notari capitolini, vol. 1569, Adhitiones haereditarum 1570-1579, cc. 432 e 441).
Fonti e Bibl.: In questa bibliografia si farà riferimento soltanto a quei contributi che sono stati essenziali nella stesura della presente biografia. In particolare, oltre alle opere citate nel corso della voce, si vedano: H. Rubeus, De destillatione liber, Ravennae 1582, p. 65; M. M- Oddì, Fabrica et uso del compasso polimetro, Milano 1633, proemio; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 39; L. Nicodemi, Addizioni copiose alla Bibl. napoletana del dottor N. Toppi, Napoli 1683, p. 44; G. Panelli, Mem. degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno, Ascoli 1757-68, II, p. 156; G. B. Buccolini-A. Lazzari-G. Colucci, Mem. d'uomini illustri del Piceno, Fermo 1789-92, XI, f. 27r; F. Vecchiettì-T. Moro, Biblioteca picena, Osimo 1790-1796, IV, p. 50; Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Napoli 1813-30, V, p. 119; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., Milano 1833, III, pp. 554-555; A. Hercolani, Biografie e ritratti di uomini illustri piceni, Forlì 1837-1843, I, p. 15; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, pp. 12, 396; Mem. e doc. riguardanti B. E. pubblicati nel quarto centenario dalla nascita, Fabriano 1913; P. Capparoni, Profili bio-bibliogr. di medici e naturalisti celebri ital. dal sec. XV al sec. XVIII, Roma 1925, pp. 33-37; E. Benassi, La data di morte di B. E., in Il Valsalvo, VIII (1932), pp. 486-491; G. Natalucci, Medici insigni italiani... nati nelle Marche, Falerone 1934, p. 160; G. De Crescenzio, Diz. storico-biogr. degli illustri e benemeriti salernitanì, Salerno 1937, pp. 47, 159, 249; O. Margarucci, Vita ed opere di B. E., Macerata 1937; G. C. Gentilì, Elogio di B. E., Macerata 1937; A. Pazzini, Introduzione, bibliografia e commento, in Le Tavole anatomiche di B. E., Roma 1944, pp. 13-79; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Reggio Calabria 1955, I, p. 292; F. Grondoria, Strutturistica renale da Galeno a Highmore, in Physis, V (1963), pp. 173-195; L. Belloni, Essais d'anatomie de texture au XVIe siècle, in R. Blaser-H. Buess, Aktuelle Probleme aus der Geschichte der Medizin, Basel 1966, pp. 104-110; Id., Dall'"occhiale" di Galileo all'anatomia microscopica di M. Malpighi: Il "Testis examinatus" (Firenze, 1658) di Claudius Auberius, in Rend. dell'Ist. lombardo di scienze e lettere, classe di scienze, B, XCVIII (1964), pp. 205-226; Id., Testimonianze dell'anatomico B.E. per la storia del "Compasso geometrico et militare" (con un contributo al problema del luogo e della data di morte dell'E.), in Physis, XI (1969), pp. 69-88; Id., Il manoscritto senese "de dissensionibus, et controversiis anatomicis" di B. E. (e altri manoscritti del medesimo E.), ibid., XIV (1972), pp. 194-200; Id., Doc. sul viaggio fatale di B. E. (1574) , in Rend. dell'Ist. lombardo di scienze elettere, classe di scienze, B, CVIII (1974), pp. 193-206; Id., B. E. (nel IV centenario della morte), in Simposi clinici, XI (1974), pp. IX-XVI; Id., Streitfragen zwischen B. E. und G. Mercuriali auf dem Gebiete der medizinischen Philologie, in Gesnerus, XXXIII (1976), pp. 188-207; Id., B. E., anatomico del Cinquecento, al lume di recenti ricerche, in Archives internat. dhist. des sciences, XXIX (1979), pp. 5-50; Id., Ancora sul manoscritto "De dissensionibus, et controversiis anatomicis" di B. E., in Physis, XXIII (1981), pp. 581-587; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 284; II, p. 151; Diz. biogr. degli Ital., XXVII, p. 604, s. v. Commandino, Federico.