Bartolomeo Facio
S’incontrò e si scontrò con Lorenzo Valla sul piano della più schietta professione umanistica, l’arte del dire, la storiografia, l’etica, senza farsi coinvolgere però dagli aspetti più acuti e specifici della dialettica e della filologia, un suo coetaneo, Bartolomeo Facio (La Spezia 1405 ca.-Napoli 1457), anche lui passato attraverso i centri più rinomati dell’epoca, da Pavia a Venezia, da Roma a Napoli, per svolgere il compito d’insegnante pubblico e privato, ma anche quello di notaio, di cancelliere e di ambasciatore: fu infatti precettore dei figli del doge Francesco Foscari, di altri patrizi veneziani e del doge genovese Francesco Adorno, e fu inviato ambasciatore a Napoli da parte della Repubblica di Genova. Ai tempi di Niccolò V tentò di entrare nella cancelleria pontificia, fu in relazione con Guarino Guarini, che lo introdusse a Venezia, con Poggio Bracciolini, che lo sostenne nella composizione dell’Invectiva in Vallam (1446), e con il Panormita, che gli fu particolarmente amico e con il quale fu alleato nella polemica contro Valla.
Argomenti che furono propri di Valla trattò Facio nel De differentiis verborum (1436 ca.), sul significato dei vocaboli e sui sinonimi, un manuale d’impronta scolastica che figura manoscritto anche con il titolo di Elegantiae; nel De vitae felicitate (1445), dove in un dialogo tradizionalmente impostato sulla controversia fra vita attiva e vita contemplativa il Panormita figura (contrariamente al De voluptate) difensore di quest’ultima, e nel De excellentia et praestatia hominis, che riguarda un tema caro agli umanisti, ma da lui tutt’altro che problematicamente svolto con riferimento alle difficoltà teologiche del libero arbitrio, come da Valla.
Le sue ambizioni di storico e di narratore d’impostazione retorica, e ben lontane dall’esperienza storiografica di Valla, si rivelano però in un racconto sulle origini della guerra fra Galli e Britanni, nella lunga narrazione in versi del De bello Clodiano (1444), nell’eloquente traduzione della novella X 1 del Decameron e, soprattutto, nel De rebus gestis ab Alphonso primo Neapolitanorum rege (1451-57), opera storica in dieci libri, che deriva dalla committenza regia e dove il prevalente modello liviano s’intreccia con quello cesariano, rispondendo a un preciso intento ideologico di legittimazione del monarca aragonese. Il dissidio fra i due umanisti si acuì per varie ragioni, da una parte per le critiche rivolte da Facio all’opera storica di Valla, e per l’appoggio dato alle accuse rivolte a quest’ultimo dall’Inquisizione, dall’altra per il duro attacco da parte di Valla alle annotazioni su Livio e alla storia veneta di Facio. Ma fra le critiche rivolte da Valla a Facio ne figura una particolarmente significativa per il profilo dei due umanisti, ed è quella rivolta da Valla alla struttura incongrua con lo statuto dialogico del De vitae felicitate, dove non vi sarebbe traccia di reale scontro dialettico (introduzione all’Antidotum in Facium, a cura di M. Regoliosi, 1981, p. XXXIII). Segno evidente della consapevolezza metodologica di Valla, a differenza del suo avversario, nell’affezione allo scontro polemico e ad accentuare i termini delle contese.