FEDELI (De Fidelibus), Bartolomeo
Nacque attorno alla metà del sec. XVII.
L'anno della sua nascita è stato tramandato da un solo biografo, il Donati, che la pone nel 1644 senza citare le sue fonti documentarie. Sul luogo non possediamo alcuna indicazione, anche se è plausibile supporre che fosse nato a Modena.
Nulla si sa della sua famiglia né della sua prima formazione culturale, che si svolse forse presso Ordini religiosi, molto probabilmente presso i gesuiti, Compagnia nella quale il F. entrò, come risulta concordemente attestato dagli storici, che tuttavia non tramandano l'esatta data. R certo comunque che non vi rimase tutta la vita poiché ad un certo momento ne usci per farsi prete della Congregazione di S. Carlo. Ci sfugge la precisa cronologia di questi avvenimenti: resta soltanto a questo proposito l'affermazione, non sappiamo quanto fondata, di C. Sommervogel (Dictionnaire des ouvrages anonymes et pseudonymes, Paris 1884, pp. 82 e 424), che, elencando le opere attribuite al F., la prima delle quali fu edita nel 1691, le dice tutte composte dopo la sua uscita dalla Compagnia. Quest'ultima va comunque sicuramente posta prima del 1686, anno in cui il nome del F. figura negli Statuta ad Collegium theologorum spectantia dell'università di Modena, ove viene designato: "Doctor D. Bartholomaeus de Fidelibus dictae (scil. S. Caroli) Congregationis sacerdos".
L'insegnamento dei F. allo Studio modenese iniziò però prima di quell'anno. Infatti nei Rotuli de' lettori di quella università (Archivio di Stato di Modena, Istruzione Pubblica, Collegio S. Carlo, b. 1) il suo nome figura per più di un decennio, come lettore, alternativamente, di logica (1682-83; 1685-86; 1688-89; 1691-92), di fisica (1683-84, 1687-88, 1689-90, 1692-93), e di metafisica (1684-85, 1687-88, 1690-91, 1693-94). Grande dovette essere il prestigio raggiunto come professore dello Studio modenese, se nel 1690, alla morte di don Francesco Baldi, il F. fu chiamato a ricoprire l'impegnativa carica di rettore (o "guardiano") del collegio ducale dei nobili "S. Carlo", istituto di istruzione secondaria superiore, nel quale si formava il fiore della nobiltà italiana ed europea. L'assunzione di questa carica, che il F. detenne quasi fino alla morte, per ben trentuno anni, segnò certamente una svolta nella sua vita. Come risulta dalle Memorie e da altri documenti manoscritti del collegio utilizzati dal Campori, egli insegnava retorica almeno dal 1689, visto che l'8 e il 9 giugno di quell'anno alcuni suoi allievi vennero interrogati sull'arte poetica e oratoria.
Tra i primi atti del F. come rettore del collegio va posta l'istituzione di un'accademia privata di armi e lettere per sviluppare nei discepoli lo spirito di emulazione, alquanto intiepidito, come sembra, negli ultimi anni del rettorato del Baldi. Ma, oltre che a iniziative di carattere educativo, le cure più assidue del F. furono rivolte al potenziamento materiale dell'istituzione stessa, attraverso l'acquisizione di nuovi spazi e con l'avvio di opere di abbellimento e ornamentazione dei locali del collegio. Gli sono attribuite, oltre alla costruzione di una camerata per gli studenti, le pitture dell'architettura e della galleria fatte eseguire da P. Spaggiari, allievo dei Galli Bibiena, e nel 1710 la costruzione della cappella con pitture di Iacopino e Antonio Consetti. Il F. si prodigò altresì notevolmente per difendere l'autonomia del suo collegio, riuscendo a ottenere nel 1713 alcuni privilegi per lachiesa di S. Carlo circa l'amministrazione dei sacramenti e i funerali di chi morisse in collegio.
Non altrettanto coronata dal successo risultò invece la sua opera per svincolare l'amministrazione del collegio e dell'università dalla Congregazione che, nonostante i suoi sforzi, continuò a legiferare su entrambi gli istituti. Notevole fu anche la sua azione per il potenziamento patrimoniale del collegio. Da documenti di archivio, citati sempre dal Campori, si ricava che nel 1712 il reddito della Congregazione era salito a 14.960 lire e che i suoi beni immobili comprendevano molte case e ben dieci botteghe in Modena. In questi stessi anni il F. si prodigava, con esito parzialmente positivo, per ottenere alla sua Congregazione, che era di tipo misto, laico e religioso, la stessa, mitissima, imposizione fiscale che veniva applicata ai benefici ecclesiastici. Al ristabilimento delle finanze della Congregazione il F. pervenne altresì con una capillare opera di recupero dei crediti che la Congregazione vantava, opera che lo costrinse ad intraprendere viaggi in tutta Europa. Al collegio S. Carlo il F. rimase legato anche nei suoi momenti più difficili: nel 1702, allorché, in seguito all'occupazione francese di Modena, il numero dei suoi membri si ridusse, fra preti e studenti, a venti; e nel 1710, quando il F. si trovò a fronteggiare il problema della carestia, del gelo e del vaiolo con ottanta persone da alimentare, e fu costretto a mendicare cento sacchi di frumento, che ottenne dal duca Rinaldo.
Il prestigio del F., comunque, non risulta legato soltanto alla sua posizione nell'ambito della Congregazione e all'opera che per essa svolse. In realtà grande stima gli derivava dalla sua figura di studioso. L. A. Muratori, che ebbe il F. come "guardiano" nel conseguimento della sua laurea in legge (certificati dei guardiano della Congregazione relativi alla laurea in legge di L.A. Muratori [16 dic. 1694], conservati nell'Archivio storico comunale di Modena, Collegio degli avvocati, I, 14; e nell'Archivio del Collegio S. Carlo in Modena, Atti della Congregazione, dal 16 marzo 1690 al 30 genn. 1768, A, p. 28), ricorda il F. in due lettere, entrambe del 1696 e dirette a G. I. Tori, e ancora in un'altra a M. A. Lazzarelli del 27 apr. 1719, a proposito di uno scambio di libri, e sempre con rispetto, e diremmo quasi con riverenza (due lettere del F. scritte da Augusta nel 1696 e nel 1701 sono conservate manoscritte a Modena nell'Archivio Soli Muratori, n. 2).
Il F. partecipava dunque, nonostante i suoi impegni amministrativi, alla vita letteraria del suo tempo. Era amico di filosofi e scienziati, come B. Ramazzini, che, in una lettera citata dal Crescimbeni, narra di averlo presentato a Leibniz in occasione della sua visita a Modena "come illustre professore di nuova e vecchia filosofia" (lo stesso episodio è ricordato da Leibniz in una lettera del 1690 a C. Marchesini, cancelliere del duca di Modena). Come rileva B. Olivazzi, segretario del collegio S. Carlo negli anni del suo rettorato (citato dal Campori), il F., pur essendo stimato come uno dei migliori filosofi del suo tempo, tra i primi seguaci italiani della filosofia cartesiana, dopo lo Sbardella, non divenne mai famoso "perché si oppose sempre alla pubblicazione dei suoi nobili scritti". In realtà gli sono attribuiti tre scritti a stampa, pubblicati senza il suo nome (due ricordati da quasi tutti i suoi biografi, e un terzo menzionato solo dal Giornale de' letterati d'Italia), recanti, nell'ordine, il titolo Biennium philosophicum diversarum thesium elucubrationeabsolutum, Mutinae 1691, Institutiones philosophiae, ibid. 1706, e, infine, Criterium de universa philosophia, quod publicae sapientum trutinae perpendendum exponitur, ibid. 1717 (fatto pubblicare ad opera di un nobile veneto, Giovanni Domenico Baulino, allievo del collegio).
Essi ebbero probabilmente circolazione soltanto fra i suoi discepoli, per i quali espressamente il F. li aveva scritti, e i suoi stessi biografi non sembra che li conoscessero (il Donati, che scrive a Modena nel 1935, afferma di non averli potuto vedere). P, plausibile tuttavia ritenere che il F. sostenesse in essi una posizione di pacato equilibrio tra vecchie e nuove istanze filosofiche, limitandosi, come si desume da una breve recensione al Criterium apparsa nel Giornale de' letterati d'Italia del 1718, ad esporre le varie teorie filosofiche con chiarezza e didattica semplicità, con un atteggiamento cautamente eclettico, "senza essere tenacemente attaccato alle sentenze di uno solo".
Se si eccettuano vari viaggi all'estero e le vacanze che insieme con la sua scolaresca egli trascorreva nelle vicine località di Sassuolo, Nizola, Campoducale, Rivaltella, sembra che il D. risiedesse tutta la vita a Modena, fino a che nel 1720 il duca Rinaldo, che già da tre anni gli aveva nominato un successore, non lo indusse, per sopravvenute indisposizioni fisiche, a rinunciare al suo incarico. Morì poco dopo, probabilmente a Modena, il 16 febbr. 1721. Al collegio, segno di una profonda affezione. lasciò i suoi libri e la sua eredità, nel caso di estinzione delle famiglie Pellegrini e Seicenari, alla Congregazione.
Fonti e Bibl.: M. Campori, Epistolario di L. A. Muratori, Modena 1901, I, 1691-1698, pp. 178, 190; V, 1715-1721, p. 1980; G. W. Leibniz, Allgemeiner politischer und historischer Briefwechsel, a cura d. Deutsche Akademie der Wissenschaften, VI, Berlin 1923, n. 132, pp. 276 ss.; Giornale de letterati d'Italia (Venezia), XXIX, 1718, pp. 379 s.; G. M. Crescimbeni, Vita di Bernardino Ramazzini, in Le vite degli arcadi illustri, IV, Roma 1727, pp. 93 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese ..., Modena 1782, II, p. 260; C. Campori, Storia del collegio S. Carlo in Modena, Modena 1878, pp. 67, 69-79; B. Donati, L'università di Modena nel Seicento ai tempi del Muratori discepolo, Modena 1935, pp. 68, 116, 128, 130 s., 148, 161; S. Bertelli, Erudizione e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, p. 180 n. 16; G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime ..., Milano 1848, I, p. 136; II, p. 87; C. Sommervogel, Bibliothèque de laCompagnie de Jésus, Bibliegraphie, Bruxelles-Paris 1892, III, col. 583.