FERRARI, Bartolomeo
Nato a Milano nel 1499 da Luigi e Caterina Castiglioni, di illustre casato milanese. ancora bambino rimase orfano di entrambi i genitori e privato anche del fratello maggiore Francesco che li seguì ben presto nella tomba. Le vicende familiari e i tempi cupi che si vivevano contribuirono certo - accanto alla naturale predisposizione - a ispirare in lui una precoce maturità. Nel 1521 il fratello Basilio, desiderando recarsi alla corte papale in cerca di brillante carriera ecclesiastica, sollecitò la divisione dell'eredità paterna col F. che ottenne, grazie alla sua comprovata serietà, il permesso da parte del Senato di disporre dei propri beni senza la mediazione di un curatore. Si recò più tardi a Pavia per studiare diritto civile e canonico, ma si fermò al grado di notaio facendosi sempre più pressante in lui una scelta di vita radicalmente diversa.
Rientrato a Milano, esercitò il notariato dal 1521 al 1531- Contemporaneamente iniziò la frequentazione dell'abate Gian Antonio Bellotti che dal 1527 aveva introdotto a Milano la nuova pratica delle quarant'ore e fondato la Confraternita della Eterna Sapienza.
Questa confraternita è considerata da alcuni vera e propria antesignana della più tarda Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo. Certo essa è da inquadrarsi nell'ambito del precoce risveglio religioso milanese, di cui fu una delle manifestazioni più significative; contava tra i suoi membri il meglio dell'aristocrazia autoctona e anche di quella francese, ed era favorita dallo stesso re Francesco I come dai pontefici.
Il F., consigliato dal Bellotti, abbracciò ben presto lo stato ecclesiastico e si dedicò in prima istanza all'insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli. Quando, nel 1524, scoppiò la peste in città, attivamente contribuì a soccorrere gli infermi e, nelle fasi successive, a sfamare i sopravvissuti nell'inevitabile disordine e carestia.
Data a questi anni la conoscenza di G. A. Morigia, incontrato presso lo stesso oratorio, di cui diventò presto intrinseco e con cui progettò la costituzione di una società di preti rivolta in modo precipuo alla riforma di clero e laicato. Data probabilmente al 1530 - in un clima politico più rasserenato dopo la conclusione della pace tra Carlo V e Francesco II Sforza - la decisione da parte del F. di abbracciare la vita religiosa: in previsione di ciò redasse testamento in data 12 genn. 1530 designando suo erede il fratello Basilio e, in caso di premorte di costui, l'ospedale Maggiore di Milano.
Tuttavia, la circostanza determinante, sia per il F. sia per il Morigia, fu l'incontro con Antonio M. Zaccaria, un medico già da tempo dedito a opere di apostolato, giunto nel 1530 a Milano in compagnia del proprio ispiratore e padre spirituale, il domenicano Battista Cariani da Crema, e della contessa Ludovica Torelli da Guastalla loro protettrice e mentore.
La creazione della nuova Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo prese forma quello stesso anno. Il F. era ancora semplice chierico, il Morigia laico; giocoforza che, in tali circostanze, alla guida dell'opera si ponesse lo Zaccaria, dotato comunque senz'altro di grande ascendente.
L'iniziativa si colloca in quel moltiplicarsi di fermenti che, dal 1530 in poi, caratterizza la vita di pietà lombarda: tutta proveniente "dal basso" in contrapposizione alla persistente apatia delle gerarchie ecclesiastiche cui mancava un vero impegno riformatore. I tre personaggi erano stati e continuarono ad essere suggestionati dal carismatico Battista da Crema e dagli scritti devozionali di costui, che additava nella tepidità" l'ostacolo principale per una vera vita spirituale. Essi, impegnandosi con severità e dedizione, si proposero di ricostruire un'autentica vita monastica e di edificare i laici con la predicazione e la direzione spirituale. Officiarono fin dall'inizio nella chiesa milanese di S. Barnaba: da qui il nome di barnabiti con cui più tardi saranno universalmente noti.
Nel 1532 il F. divenne sacerdote e nel 33 fu il primo firmatario della supplica rivolta a Clemente VII per ottenere l'approvazione della nuova fondazione: c'è da ritenere che la precedenza datagli rispetto allo Zaccaria fosse dovuta al peso della sua competenza giuridico-legale, retaggio del suo passato professionale. E, soprattutto, dovette influire la presenza come mediatore particolarmente efficace del fratello Basilio, all'epoca tra i segretari del pontefice. A costui e alla sua opera continua si deve con tutta probabilità anche la celere risoluzione della pratica: da Bologna, dove il papa si trovava per raggiungere un accordo con Carlo V, giunse il primo breve di approvazione, Vota per quae, datato 18 febbr. 1533.
Vi venivano indicati gli scopi che i richiedenti si proponevano: ravvivare lo spirito religioso nel clero secolare e regolare e ricondurre il laicato a costumi più elevati. Si concedeva allo Zaccaria, al F. e agli altri compagni di farsi religiosi pronunciando i voti nelle mani dell'arcivescovo di Milano o del suo vicario; si permetteva loro di sottomettersi all'ubbidienza dell'ordinario, di vivere in comune dove fosse loro piaciuto; infine, si dava facoltà di stabilire leggi e norme a piacimento, modificandole secondo le esigenze.
La prima sede prescelta dalla Congregazione fu una piccola proprietà presso S. Caterina dei Fabbri a Porta Ticinese, arricchita, perché troppo angusta, di altri immobili limitrofi tra l'ottobre 1533 e l'agosto successivo. A tali acquisti aveva provveduto lo Zaccaria grazie ad una eredità, e ancor più il F.: tuttavia il numero degli adepti restava ridotto. Alla fine del 1534 erano in nove, essendosi aggregati ai fondatori alcuni nobili milanesi. Il successo della loro predicazione era, però, crescente e, insieme, anche l'ostilità e il malanimo di personaggi potenti contrari e turbati dallo scandalo di una vita di pietà così intensamente proposta.
Si giunse alla denuncia e al processo davanti all'Inquisizione. Probabilmente molto presto sia il Senato sia i giudici curiali raggiunsero la convinzione di una montatura architettata premeditatamente: resta il fatto che non si giunse mai a una sentenza vera e propria forse per non urtare la suscettibilità di taluno dei potenti accusatori. Ma il 24 luglio 1535 a stroncare ogni residuo dubbio giunse la bolla Dudum felicis recordationis, in cui Paolo III confermava - poneva, le facoltà concesse dal predecessore. inoltre, la Congregazione sotto la giurisdizione della S. Sede avocandola all'ordinario per lo spazio di cinque anni; le attribuiva, infine, tutti i privilegi già accordati ai canonici lateranensi. Dal canto loro il F. e gli altri opportunamente decisero di attenuare le fonne di pietà più vistose, le penitenze più esteriori: tutto ciò, insomma, che pareva urtare la suscettibilità di molti.
Dal 1536 era stato eletto superiore il Morigia, rimanendo lo Zaccaria il riferimento spirituale del gruppo e guida delle angeliche, filiazione femminile della Congregazione voluta dalla contessa Torelli e istituita proprio in quello stesso anno. Dal 1537 il F. era stato distaccato a Vicenza, dove era stata fondata una missione favorita dal cardinale R. Ridolfi, vescovo di quella città, e dallo stesso papa Paolo III che l'aveva espressamente voluta.
Il successo in terra veneta fu pressoché immediato: tra i suoi frequentatori parecchi elementi di estrazione nobiliare ben presto abbracciarono la vita religiosa e la fama del loro modo di conferire una nuova valenza al messaggio cristiano uscirà dall'ambito cittadino.
Dal 1542 lo stesso esemplare vescovo di Verona, Gianmatteo Giberti, richiese la presenza dei canonici nella sua diocesi. Vi fu destinato, ancora una volta, il F. con altri due compagni: riportarono ivi a nuova vitalità due istituzioni la cui gestione era molto scaduta. Si trattava dell'ospizio della Misericordia, destinato al ricovero di orfani e infermi, e dell'istituto della Pietà dove si accoglievano i trovatelli. Come era già accaduto altrove il messaggio e l'opera dei padri barnabiti, e del F. in prima istanza, cadde su un terreno già predisposto favorevolmente e in breve tempo gli aiuti concreti e l'interesse non mancarono. Naturalmente, accanto alle iniziative pratiche, l'attività precipua cui il F. si dedicò qui come altrove fu la predicazione, concretizzatasi in cicli di conferenze: in esse certo uno dei messaggi piùreiterati e significativi sarà quello dedicato alla pratica della comunione frequente: le suggestioni in tal senso provenivano da Battista da Crema e dal suo opuscolo Viadella aperta verità (Venezia 1523), in cui assai precocemente si dichiarava "quanto sia utile et necessario il frequentar della Santa Comunione". Nel corso dello stesso 1542, il 29 novembre, il F. succedeva al Morigia come preposto generale della Congregazione, spettando al secondo per comune decisione la cura dei novizi. Sotto la prepositura dei F. e probabilmente anche in forza della sua specifica formazione e competenza legale la posizione giuridica della Congregazione compì un consistente passo in avanti.
Il 23 nov. 1543 Paolo III emanò un'amplissima bolla in cui si concedeva - sollecitata più volte - l'esenzione perpetua dall'ordinario: in questa occasione referenze positive sui padri di S. Paolo le aveva fornite, tra gli altri, anche il domenicano milanese Melchiorre Crivelli che, in qualità di commissario dell'Inquisizione, aveva dovuto investigare sulla condotta morale dei canonici. Del pari risultò rafforzata la loro posizione sul versante dell'autorità laica: è datato 17 luglio 1543, infatti, un diploma concesso dall'imperatore Carlo V, allora a Cremona, grazie alla mediazione di A. d'Avalos marchese Del Vasto, governatore di Milano. Regolamentata così la posizione dell'Ordine, in quello stesso anno si accettarono le prime solenni professioni dei voti, sia pure con una formula provvisoria. Del pari procedette una più stretta normativa all'intemo dell'isfituzione: al 1544 risalgono i primi atti capitolari che sottolinearono alcune osservanze riprese poi dalle più tarde costituzioni.
Intensa fu anche l'opera di organizzazione e di ampliamento di attività del F.: in quest'ottica si giustifica la filiazione veneziana dei padri barnabiti che nella città lagunare si concentrò inizialmente nell'ospedale dei Ss. Giovanni e Paolo. Essa prevedeva anche la presenza di un nucleo femminile di angeliche inizialmente dedicate all'assistenza delle ricoverate e, in un secondo tempo, all'educazione di giovani povere e derelitte, il conservatorio delle "zitelle pericolanti", più tardi denominato della "Presentazione della B. Vergine". Tali iniziative ebbero il plauso e il successo delle precedenti in terra veneta tanto che, nel corso dello stesso 1544, sia Padova sia Brescia richiesero al F. la presenza di padri della Congregazione.
Tale prolungato impegno e sforzo fisico minarono alla lunga in modo irreversibile il fisico, già minato dalle severe penitenze corporali, del Ferrari. Morì il 24 nov. 1544 a Milano, sfibrato dalle fatiche, colto da febbre altissima mentre rientrava dall'ennesima visita al monastero delle angeliche, di cui curava la direzione spirituale.
Bibl.: I. Gobio, Vita dei venerabili padri B. F. e G. A. Morigia, Milano 1858; O. Premoli, Le lettere e lo spirito religioso di s. Antonio M. Zaccaria, Roma 1909, pp. 16-22, 36-42; Id., Fra' Battista da Crema, Roma 1910, p. 52; Id., Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1913, pp. 2, 9- 16, 18 s., 24, 36, 39, 40, 46, 53, 56-60, 63-66, 68-70, 76 ss., 236, 271, 414-417, 420 s., 466, 474, 484 s., 487, 489 s., 499, 500, 535 s., 542; M. Petrocchi, Pagine sulla letteratura lombarda del '500, Napoli 1956, p. 25; Dizionario degli istituti di perfezione, III, Roma1976, pp. 1482 ss.