FERRUCCI, Bartolomeo
Nacque a Firenze nel 1377 da Francesco di Bindo e da Ravenna di Filippo Carnesecchi. I Ferrucci erano tradizionalmente dediti alla mercatura ed all'attività bancaria, cosa che li portava non di rado a rimanere lunghi periodi lontano da Firenze.
In particolare il padre del F., Francesco di Bindo, aveva collaborato per molti anni con la compagnia dei Bardi, soprattutto a Venezia ed a Montpellier; in quest'ultima città egli, dopo il fallimento dei Bardi nel 1346, aveva impiantata una propria casa bancaria, operante fino al 1363, anno in cui aveva fatto definitivamente ritorno a Firenze. Il ritorno in patria coincise, secondo una ben radicata tradizione familiare, con il suo ingresso nella vita politica e nella pubblica amministrazione. Presumibilmente morì prima del giugno 1378, epoca in cui scoppiò il tumulto dei ciompi, dal momento che non si fa alcuna menzione di lui in nessuna delle cronache che descrivono l'avvenimento.La mancanza di notizie sul primo periodo di vita del F. non ci consente di sapere se egli abbia seguito la tradizione familiare, che prevedeva una gioventù dedita agli affari, preferibilmente fuori Firenze. L'unico fatto certo è che il F., in occasione della "portata" al Catasto del 1427 non dichiara di svolgere una qualche attività lavorativa e che in quella del 1433 dice espressamente "non ho avviamento nessuno".
Le più antiche notizie che lo riguardano risalgono al 1413, quando cominciò ad esercitare cariche pubbliche, tanto politiche che amministrative, sia all'interno della città sia nel dominio. Nel 1413 fu podestà di Castelfiorentino. Nel 1415 fece parte per la prima volta della Signoria in qualità di priore per il quartiere di S. Spirito, carica poi ricoperta di nuovo nel 1424. Nel 1416 esercitò l'ufficio di podestà a Calenzano e, sempre nello stesso anno, quello di castellano di Pistoia. Nel 1418 fu castellano di Arezzo e nel 1419 vicario di Lari. Nel 1420 fece parte dei Dieci di balia e negli anni successivi ricoprì di nuovo incarichi in varie località del dominio.
Il 1ºott. 1430 entrò in carica come camarlingo degli ufficiali di Torre, il magistrato che sovrintendeva ai lavori pubblici.
Il mandato del F. scadeva alla fine di marzo 1431, ma la revisione della sua gestione fu intrapresa nel novembre successivo. I sindaci scoprirono un ammanco di cassa di più di 400 fiorini, pertanto accusarono il F. di appropriazione indebita davanti al giudice competente, l'esecutore degli ordinamenti di giustizia. Il F. si difese dicendo che, nonostante avesse liberamente accettato di rivestire l'incarico, in seguito a causa di "magis arduis negotiis", aveva dovuto nominarsi un sostituto (di cui non fece il nome), da lui ritenuto idoneo a disimpegnare le incombenze dell'ufficio. Tale difesa non fu però ritenuta valida. Egli pertanto fu riconosciuto colpevole e condannato a restituire le somme riscosse e non versate nelle casse del Comune, a restituire anche la percentuale di 2 soldi per lira da lui percepita sulle stesse ed in più ad un'ammenda pari al doppio della cifra contestata. La sentenza non fu però eseguita perché nel frattempo il F. presentò un'istanza di sospensione alla Signoria in carica, che fu poi messa ai voti nei Consigli, ove fu approvata con larga maggioranza. In seguito, nel maggio 1433, il F. ottenne anche la remissione completa della pena, grazie ad un deliberato della Balia allora in carica, di cui egli stesso faceva parte in qualità di "arroto" per il quartiere di S. Spirito.
La Balia del 1433 era stata voluta dall'oligarchia capeggiata dalla famiglia Albizzi per liberarsi dei propri oppositori; infatti uno dei primi provvedimenti di questa Balia fu il decreto di esilio per la famiglia Medici ed alcune altre famiglie. Probabilmente il F. approfittò del suo incarico per indurre i colleghi ad approvare un provvedimento di sanatoria nei propri confronti; oppure tale provvedimento, approvato in deroga alla legislazione vigente, fu una sorta di compenso al F. da parte della fazione al potere per l'appoggio prestato.
L'anno seguente la situazione si rovesciò con il ritorno dei Medici dall'esilio e la cacciata degli Albizzi e dei loro seguaci. Il F. tuttavia non subì né l'esilio né la confisca dei beni, con cui i Medici colpirono più di settanta famiglie aderenti alla fazione rivale, segno che egli, benché membro della Balia albizzesca del 1433, non era considerato molto compromesso. L'ascesa al potere dei Medici lo privò tuttavia della possibilità di accedere alle cariche pubbliche, con il provento delle quali integrava i magri introiti dei suoi modesti possedimenti terrieri. Tali possedimenti furono da lui ceduti, attorno al 1442, all'ospedale di S. Maria della Scala di Siena, in cambio di un vitalizio per sé e per la moglie, Margherita Malefici, dalla quale non ebbe figli.
Morì a Firenze nel 1443.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 67, c. 231;343, c. 202; 441, c. 334; 612, c. 345; Balie,24, cc. 3v, 8, 39; Provvisioni-Registri, 122, cc. 374 ss.;D. Velluti, Cronaca familiare, a cura di I. Del Lungo - G. Volpi, Firenze 1914, pp.127 s., 133(per il padre Francesco); L. Passerini, Note alla vita di F. Ferrucci scritta da F. Sassetti, in Arch. stor. ital., App., IX(1853), pp. 462 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Ferrucci di Firenze.