FORTINI, Bartolomeo
Nacque a Firenze il 24 ag. 1402 da ser Benedetto, che fu per pochi mesi primo cancelliere della Repubblica dopo la morte di Coluccio Salutati, e da una Margherita, di cui ignoriamo il casato. Risiedette come il padre nel quartiere di San Giovanni, gonfalone Chiavi. Rimasto orfano del padre all'età di quattro anni (Benedetto morì nel dicembre del 1406), il suo patrimonio fu probabilmente amministrato dagli zii. Nel marzo del 1425 creò una compagnia di arte della seta con Romolo di Bartolomeo di Nicola, che dette in seguito origine a un'accomandita con Leonardo Frescobaldi, operante fra Firenze e Barcellona. Intorno al 1429 si sposò con Checca di Francesco dello Scarfa. Dalla sua denuncia fiscale del 1427 è possibile ricostruire la redditività media dei suoi investimenti nell'industria della seta, che fu, su un periodo di circa due anni, assai alta: del 12%. Tuttavia, a causa dei fallimenti, avvenuti nel 1430, di alcune aziende fiorentine a esse collegate, la sua compagnia e quella di arte della lana dello zio Andrea Fortini dovettero sospendere l'attività. Nel 1427 la denuncia fiscale del F. era stata presentata congiuntamente con quelle degli zii Andrea e ser Paolo Fortini, primo cancelliere della Repubblica dal 1411 al 1427: da essa risulta che i tre avevano raggiunto insieme un patrimonio netto elevatissimo, 19.874 fiorini.
A causa dei fallimenti e dell'impossibilità di recuperare i crediti, essi furono però costretti nell'aprile del 1431 a presentare una petizione ai Consigli della Repubblica per ottenere una "grazia" e una riduzione del coefficiente d'imposta. In quell'occasione dichiaravano infatti di avere perduto oltre 12.000 fiorini e di non essere in grado di continuare a pagare con regolarità i prestiti forzosi. La "grazia", ottenuta per legge, scongiurò loro il pericolo di essere iscritti nello "specchio" (il registro dei contribuenti morosi) e di perdere quindi il diritto a ricoprire uffici del Comune.
Una volta raggiunta la maggiore età, infatti, il F. si era avviato alla vita pubblica. Nel 1429 fu ufficiale della Grascia per quattro mesi, dal 24 maggio al 24 settembre, nel 1430 ufficiale dell'Onestà per il semestre febbraio-luglio, nel 1433 dei Dodici buonuomini dal 15 marzo, mentre l'anno successivo fu, nel suo gonfalone, fra gli imponitori della "novina", uno dei prestiti forzosi a cui erano sottoposti i cittadini. Nel settembre del 1434, nonostante lo zio Paolo, da poco scomparso, avesse nutrito per un trentennio sentimenti fortemente antimedicei, il F. fece parte della Balia che richiamò Cosimo de' Medici dall'esilio.
In quegli anni il F. continuava a rimanere, nonostante le difficoltà incontrate dalla sua azienda, uno dei giovani fiorentini più ricchi del suo tempo. Se nel 1427, insieme con gli zii Andrea e ser Paolo, si era trovato al nono posto fra i contribuenti del suo quartiere e al trentesimo a livello cittadino, continuò anche in seguito a disporre di notevoli mezzi finanziari.
La sua carriera politica continuò anche dopo il ritorno di Cosimo: fu dei Dodici buonuomini dal marzo del 1440 e "sgravatore" (incaricato cioè di diminuire i coefficienti d'imposta) per il suo gonfalone nel maggio dello stesso anno. Nel 1442, l'anno successivo all'acquisto della città da parte del papa per 25.000 ducati, fu inviato, terzo in quella veste, come capitano a Borgo San Sepolcro: dal 16 luglio, vi restò per un anno, anziché per un semestre, come sarebbe stato normale, fino al 5 luglio 1443. In questo suo periodo di governo, secondo Vespasiano da Bisticci, il F. "riformò" la città in modo radicale, abolendo fra l'altro il gioco d'azzardo e prendendo provvedimenti per rendere più operosi e attivi i suoi abitanti. Nel 1444, tuttavia, nonostante questi meriti e sebbene egli avesse fatto parte della Balia medicea del 1434, fu privato di ogni incarico e interdetto dagli uffici pubblici con i suoi eredi per vent'anni.
Secondo Vespasiano da Bisticci il F. - dopo essere stato eletto tra gli ufficiali del "Monte vecchio" - era stato privato dei diritti politici in seguito a un'azione promossa da un personaggio, di cui lo scrittore non fa il nome ma che dice abitante nello stesso quartiere del neoeletto. Questo personaggio - spiega Vespasiano senza chiarire meglio i particolari - "n'aveva fatto grande istantia" per essere nominato al medesimo ufficio e, non essendo riuscito a ottenerlo, aveva fatto "ammonire" dalle autorità lo stesso F. e molti altri suoi concittadini. Lo scrittore prosegue affermando che qualche tempo dopo il responsabile della deposizione e della condanna del F. fu a sua volta colpito, "per le discordie civili", da analoghi provvedimenti e dal confino e che, "none osservando i confini, ebbe bando di rubello", mentre il F. - così conclude - fu riammesso ai pubblici uffici.
L'esame dei dati contenuti nel Registro degli uffici intrinseci (conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze, nel fondo delle Tratte) dimostra che Vespasiano da Bisticci, pur nella indeterminatezza degli elementi da lui forniti, è fonte attendibile. Dal registro risulta infatti che il F. fu realmente eletto nel 1444, per un anno a partire dal 10 marzo, tra gli "officiales ad solvendum debita vetera Montis", magistratura diversa da quella degli ufficiali del Monte, ma che tre mesi dopo fu revocato dall'incarico, insieme con Bartolomeo di Iacopo Ridolfi. Dal registro si trae inoltre che in quel medesimo 3 giugno 1444 fu nominato a succedergli nell'incarico Diotisalvi di Nerone Diotisalvi - lo stesso che nel 1466 fu tra i principali organizzatori della congiura contro Piero de' Medici. Appunto per la parte avuta in essa il Diotisalvi fu colpito, nel settembre 1466, da una condanna al confino. Il F. fu invece fra coloro che, confinati nel 1434 o nel 1444, furono, sempre nel 1466 e nella stessa occasione, restituiti agli uffici.
Il F. morì in una data imprecisabile, fra il 1469 e il 1470: infatti la sua denuncia fiscale del 1469 risulta da lui compilata ma in essa il suo nome e la corrispondente detrazione d'imposta per una "bocca" appaiono cassati dagli scrivani incaricati dei conteggi al momento dell'assegnazione del coefficiente d'imposta.
Aveva sposato, alla morte di Checca di Francesco dello Scarfa, una Mattea, di cui ignoriamo le origini. Lasciava cinque figli, probabilmente avuti tutti dalla seconda moglie: Benedetto e Tommaso, che furono priori rispettivamente nel 1473 e nel 1480, Girolamo, Cassandra e Albiera. Quest'ultima ancora, "admodum iuvenis", sposò Simone di Niccolò Popoleschi, come risulta da un documento del 16 febbr. 1480.
Vespasiano da Bisticci riferisce che il F. era "religiosissimo" e che eccelleva nelle "lettere latine". Sono notizie fededegne. Infatti il F. è probabilmente l'autore di un'opera compilativa di argomento religioso, il De arte moriendi, conservatoci da un codice della British Library di Londra (Additional. Mss. 18219), mentre un testo di analogo argomento, che reca l'intestazione "Bartolomeo Fortino De bene moriendi", è contenuto in un codice della Biblioteca Riccardiana di Firenze (Ricc., 430). Che poi il F. conoscesse le "lettere latine" è circostanza testimoniata da alcuni documenti e da alcuni episodi riferiti da suoi contemporanei, dai quali risulta anche un suo collegamento con l'Accademia Platonica e con Marsilio Ficino. Da una lettera non datata di quest'ultimo, indirizzata a Giovanni di Niccolò Cavalcanti, si viene a sapere che il F. sostenne con il Ficino e Bernardo Giugni una disputa sul tema "de mente", avvenuta prima del 1466 dato che il Giugni morì in quell'anno.
Certamente il F. possedette un buon numero di libri di pregio: tra l'altro i codici Riccardiano 1035 e 485, contenenti rispettivamente il testo della Divina Commedia copiato e illustrato con disegni a penna, da Giovanni Boccaccio, e la prima Deca di Tito Livio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Balie, 30, cc. 20v-22v; Catasto, 80, cc. 556v-559v, 561v-566v; 499, cc. 603v-611r; 927, cc. 184r-186r; Manoscritti, 268 (2), c. 96v; Otto di guardia e balia, Repubblica, 224, cc. 78r, 126v-127v; Tratte, 902, cc. 64r, 111v, 261r-262r, 338r; 984, c. 16r; Provvisioni, Registri, 122, cc. 15r-16v; 170, cc. 120r-121r; Firenze, Bibl. Riccardiana, Ricc., 430, 485, 1035; Lucca, Bibl. statale, Mss. 1394, c. 190rv; Roma, Bibl. Vallicelliana, Mss. F 20, cc. 198v-199v; D. Buoninsegni, Storie della città di Firenze, Firenze 1637, p. 79; Diario fiorentino di Bartolomeo di Michele del Corazza. Anni 1405-1438, a cura di G.O. Corazzini, in Arch. stor. ital., s. 5, XIV (1894), p. 290; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di G. Di Pino, Milano 1944, p. 316; Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, I, Il Zibaldone quaresimale, London 1960, p. 51; Vespasiano da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, II, Firenze 1976, pp. 409-413; M. Palmieri, Ricordi fiscali, a cura di E. Conti, Roma 1983, pp. 33, 67, 75, 89, 95 n. 266; B. Dei, La cronica, a cura di R. Barducci, Firenze 1989, p. 59; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, II, Firenze 1875, p. 35; F.P. Luiso, Studi sull'epistolario e le traduzioni di Lapo da Castiglionchio Juniore, in Studi di filologia classica, VII (1899), p. 237; A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 299, 550; Mostra di codici romanzi posseduti dalla Biblioteca Riccardiana, Firenze 1956, pp. 28 s.; V. Branca, Tradizione delle opere di G. Boccaccio, Roma 1958, pp. 21, 82, 227; L. Martines, The social world of the Florentine humanists, 1390-1460, Princeton 1963, p. 369; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, p. 23; G. Auzzas, I codiciautografi. Elenco e bibliografia, in Studi sul Boccaccio, VII (1973), pp. 14 s.; D. Kent, The rise of the Medici. Factions in Florence 1427-1433, Oxford 1978, p. 188; G.A. Brucker, Firenze nelRinascimento, Firenze 1980, p. 65; Il notaio nella civiltà fiorentina. Secoli XIII-XVI, Firenze 1984, p. 40; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad Indices; Encicl. dantesca, I, p. 646.