FUMI (Fumo), Bartolomeo
Nacque verso la fine del sec. XV da una famiglia piacentina sicuramente borghese, alla quale nel secolo XVI appartennero otto notai. Probabilmente vide la luce a Villò di Vigolzone, nei pressi di Piacenza, dove la famiglia possedeva vasti fondi. Ciò sarebbe confermato dal fatto che egli, nelle sue opere a stampa, si definiva come "Villauriensis Placentinus".
Il F. vestì l'abito domenicano verosimilmente a Piacenza, all'inizio del sec. XVI, come si deduce da un atto notarile noto al Poggiali, rogato dal notaio F. Bordoni nell'anno 1502, con il quale il religioso rinunciava ai suoi beni in favore dei suoi fratelli Pier Michele e Bernardino pochi giorni prima di pronunciare i voti religiosi solenni. Dopo circa dieci anni di studi fu promosso al magistero in filosofia, teologia scolastica, morale, diritto canonico e sacra scrittura. Quindi per un certo periodo si diede alla predicazione in diverse città d'Italia.
Stando a una notizia riportata da G.M. Pio, nel suo Trattato della progenie di s. Domenico, citato da Poggiali (p. 244), il F. sarebbe stato nominato inquisitore di Piacenza e Crema nel 1548, rimanendo in carica fino alla morte. Tuttavia non si conoscono particolari circa la sua azione inquisitoriale.
Il F. è ricordato soprattutto per la sua attività di scrittore. La prima sua opera che vide la luce fu il poemetto Philoteae libri quatuor, di 56 pagine in 8° grande (quattro quinti delle quali occupate dai commenti di B. Labedini), stampato a Milano nel 1538 da F. Cantalupi e I. Cicognara, dedicato al vescovo di Piacenza Catalano Trivulzio.
L'opera che gli diede notorietà, anche dopo la morte, fu la Summa, quae Aurea Armilla inscribitur, apparsa per la prima volta a Piacenza nel 1549 per i tipi di G. Muzio e B. Locheta, anch'essa dedicata al vescovo Trivulzio.
Si tratta di un prontuario, composto di 504 voci ordinate alfabeticamente, in cui il F. espone in maniera succinta ciò che ritiene più confacente alle necessità quotidiane dei sacerdoti dediti alla cura d'anime. Nella dedicatoria l'autore presenta la sua opera come un tentativo di offrire gli strumenti fondamentali per risolvere i casi di coscienza. Allo stesso tempo viene data la spiegazione del titolo apposto all'opera: come le donne ebree, secondo quanto afferma il profeta Ezechiele, amavano adornarsi di braccialetti d'oro, così anche i sacerdoti avrebbero dovuto avere sempre tra le mani l'Aurea Armilla. L'opera venne stampata a più riprese a Venezia (1550, 1554, 1569, 1570, e ancora più tardi), ad Anversa (1561, 1570, 1591), a Lione (1594 e 1595). Si contano inoltre almeno due edizioni in lingua italiana, con traduzione del domenicano R. Nannini (Remigio Fiorentino), apparse a Venezia nel 1581 e 1588, quest'ultima riveduta da Giovan Maria Tarsia. A conferma della sua notevole diffusione, Giacomo Manfredi poté contare ventisette diverse edizioni, di cui l'ultima a Lione nel 1695.
Nella Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza lo stesso Manfredi identificò inoltre alcuni manoscritti da lui attribuiti al F., contenenti opere in prosa e in versi, tra le quali meritano di essere ricordati: i commenti alle lettere di s. Paolo; lo Stimulus Judaeorum, in prosa, in cui si illustrano le principali profezie riguardanti Gesù Cristo e si adducono contro i Giudei testimonianze di autori pagani e delle Sibille; Teopraxidos, in dieci libri, per un totale di 6.660 esametri, che narra la creazione, la storia della salvezza e i novissimi; De primo Christi ovilis exortu, in tre libri, che pone in versi il libro degli Atti degli apostoli.
Nel 1534, mentre era priore del convento di S. Giovanni in Canale a Piacenza, ascritto alla provincia domenicana osservante di Lombardia, il F. elaborò gli statuti della Confraternita di S. Pietro Martire, esistente nella chiesa di S. Croce in Piacenza.
Questo tipo di confraternita si riallacciava a istituti analoghi fondati dal domenicano e inquisitore Pietro da Verona, ucciso da eretici e ghibellini nel 1252, che aveva affidato loro il compito di sostenere la politica antieretica nella città e coadiuvare gli inquisitori. Dopo un lungo periodo di inattività, la Confraternita di S. Pietro Martire era stata ripresa a Bologna dal domenicano Corrado di Germania verso la fine del 1450, e il suo esempio venne seguito da altri inquisitori di Lombardia.
Nel 1460 la Compagnia venne fondata a Piacenza, con lo scopo di amministrare i beni dell'Inquisizione e di fornire i fondi necessari a un esercizio del quale al momento non si vedeva con chiarezza la necessità. Probabilmente fu a causa di questa incertezza che il F., alcuni decenni dopo, trasformò la Compagnia dei crociati di S. Pietro Martire in Compagnia di disciplinati, con l'intento di offrire ai suoi membri la possibilità di approfondire la vita religiosa. A questo scopo il F. aggiunse ai precedenti statuti un nuovo regolamento, che affidava il governo della Compagnia al priore dei domenicani, anche se i confratelli si sceglievano un priore laico.
Obiettivo della Confraternita era di permettere ai membri di vivere il più possibile come veri religiosi, pur restando nelle proprie case. Al gruppo fu dato un abito di colore celeste, dovendo i confratelli "peccata flentes, amare coelestia". Quanto all'affiliazione, si distinguevano tre tappe: l'assunzione dell'abito e l'inizio del noviziato, con un cerimoniale ispirato a quello dei domenicani; infine la professione, che incorporava definitivamente il novizio ai crociati disciplinati di S. Pietro Martire. La sua formula intendeva sottolineare il vero e proprio stato religioso a cui veniva assunto il nuovo adepto, avente una connotazione di irrevocabilità, distinta dalla semplice promessa di chi si affiliava alle comuni confraternite, dalle quali si poteva uscire a piacimento.
La riforma del F. porta la data del 29 marzo 1534. In questa occasione i crociati disciplinati di S. Pietro Martire abbandonarono la loro antica sede sociale per trasferirsi a S. Maria in Tempio. Il 25 apr. 1535 il vicario generale del vescovo di Piacenza approvò i nuovi statuti - qualche anno più tardi completati con l'aggiunta di un capitolo - i quali subirono una ulteriore revisione nel 1581. L'opera del F., che orientò i crociati di Piacenza verso una vita religiosa più intensa, di fatto eclissò lo scopo della primitiva Compagnia dei crociati di S. Pietro Martire. La sua configurazione di tipo penitenziale, anche se formulata cronologicamente in pieno Rinascimento, rispecchia piuttosto gli ideali che avevano animato analoghe associazioni di laici nel Medioevo.
Non si conoscono altri particolari circa l'attività del Fumi. La data della sua morte, circa la quale esiste disparità di pareri, è da collocarsi con molta probabilità nel 1555.
Fonti e Bibl.: C. Poggiali, Memorie per la storia letter. di Piacenza, II, Piacenza 1789, pp. 243-250; G. Meersseman, Études sur les anciennes confréries dominicaines, in Archivum fratrum praedic., XXI (1951), pp. 107-112, 189 (trad. it. Ordo fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, II, Roma 1977, pp. 814-817); G. Manfredi, Uno scrittore piacentino da ricordare: B. F., in Boll. stor. piacentino, L (1955), pp. 16-21; J. Quétif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum, II, p. 123.