GANDOLFI, Bartolomeo
Nacque il 13 genn. 1753 (non il 24 febbraio come generalmente affermato) da Maria Caterina e da Giovanni Bartolomeo (al battesimo gli fu imposto il doppio nome del padre, ma lui si limitò a usare sempre solo il secondo) nel villaggio di Torria, principato di Oneglia, dove apprese rudimentali nozioni scolastiche.
Poco o nulla si sa della sua formazione, anche se è ipotizzabile una frequentazione della casa professa degli scolopi a Oneglia, tra le cui mura il G., oltre a compiere i primi studi regolari, dovette probabilmente maturare la vocazione religiosa e la decisione di entrare nell'Ordine calasanziano. Inviato ad Ancona per portare a compimento il noviziato, il 25 febbr. 1773 prese i voti in quella città. Per completare la formazione con gli studi filosofici e teologici superiori fu mandato a Roma nella scuola più rinomata dell'Ordine, il collegio Nazareno. Qui probabilmente gli si offrì l'opportunità di inoltrarsi più seriamente di quanto non avesse fatto sino ad allora nello studio delle materie scientifiche, in particolare matematica, chimica e fisica.
Al termine di quel periodo formativo il G. cominciò a sua volta a insegnare, itinerando tra le differenti sedi scolastiche dell'Ordine, dapprima le materie dei corsi inferiori poi quelle dei corsi superiori: per breve tempo ricoprì l'incarico di docente di grammatica a Poli, vicino a Roma, quindi di belle lettere a Norcia e infine, dal 1779, di filosofia nel collegio Barberini degli scolopi di Ravenna, dove si fermò per quasi cinque anni. Segnalatosi come ottimo pedagogo e insegnante, nel 1784 fu richiamato a Roma al collegio Nazareno ove ricoprì la prestigiosa e impegnativa cattedra di filosofia, matematiche e teologia.
Tale nomina si inseriva nell'ambito del potenziamento delle discipline scientifiche e degli strumenti di ricerca collaterali avviato dal rettore del Nazareno, Giovan Vincenzo Petrini, e portato avanti dal suo successore Damaso Michetti. Infatti, fin dal suo arrivo il G. rinnovò i programmi di matematica e li aprì decisamente alle teorie più aggiornate praticando per la prima volta in collegio l'insegnamento dell'analisi, del calcolo integrale e differenziale, sino ad allora rimasti assenti dai programmi scolastici. Il risultato di quell'opera di svecchiamento fu assai positivo, tanto da guadagnargli profondi rapporti di amicizia e collaborazione con il più noto matematico Gioacchino Pessuti, che nel 1787 ricopriva la cattedra di matematiche miste presso l'Università romana.
Comunque, il G. continuò a dedicarsi anche ai prediletti studi di fisica e diede alle stampe il suo primo scritto, in cui analizzava natura e cause del terremoto, sulla spinta dei numerosi fenomeni sismici che negli anni immediatamente precedenti avevano colpito e funestato varie zone del centro e del sud dell'Italia (Memoria sulla cagione del tremuoto, Roma 1787).
Nel 1792 ottenne la cattedra di fisica sperimentale nell'Università della Sapienza in sostituzione di Girolamo Fonda. Anche in tale sede il G. intraprese un'opera radicale di svecchiamento e rinnovamento didattico, dando largamente conto ai discenti degli insegnamenti degli scienziati che avevano profondamente modificato il panorama della fisica e della chimica negli ultimi decenni: J. Priestley, T.O. Bergman e A.-L. Lavoisier.
In particolare, prese a illustrare nei suoi corsi la "chimica francese" e la nuova nomenclatura lavoisieriana, schierandosi con decisione in suo favore. La chiarezza espositiva delle lezioni del G. e le numerose, abili e mai meramente ripetitive dimostrazioni sperimentali pubbliche e private condotte in laboratorio che davano conto delle teorie lavoisieriane sui gas, sulla scomposizione dell'acqua e dell'aria, sulla combustione e la calcinazione dei metalli, richiamarono un gran numero di discepoli e contribuirono all'affermazione di quelle scoperte negli ambienti universitari romani. Soprattutto gli studi sulla composizione e sulla natura degli aeriformi attrassero la sua attenzione di scienziato e su tali argomenti, attorniato dagli allievi più promettenti, si affrettò a ripetere gli esperimenti illustrati da altri ricercatori e a chiedere loro, quando non riusciva a ottenere gli stessi risultati, altre delucidazioni, come fece con L. Spallanzani nel 1798. Ma anche i fenomeni dell'elettricismo costituirono per diversi anni l'oggetto delle sue ricerche, di cui diede conto nella Lettera al sig. d. D. Morichini sull'ottima ed economica costruzione delle macchine elettriche (in Antologia romana, 1797, vol. XXIII) e in una memoria letta nel 1802 in una seduta dell'Accademia dei Nuovi Lincei, di cui era socio (Dissertazione sopra le condizioni necessarie perché una macchina elettrica sia capace del massimo effetto).
Il magistero pedagogico e scientifico del G. fu proficuo e produsse non pochi frutti; alcuni suoi allievi salirono in cattedra nella stessa università: Domenico Morichini, Giovanni Troira, il fisico Saverio Barlocci, i medici Pier Luigi Valentini e Giuseppe De Mattheis. Instaurò pure rapporti amichevoli e fattivi con diversi esponenti del mondo culturale e nobiliare romano, in particolare con il principe Andrea Doria Pamphili Landi, con cui strinse un solidissimo legame almeno sin dalla fine degli anni Ottanta (cfr. la sua Lettera al sig. principe Doria su la falsa ardesia, Roma 1789).
La sua opera principale può essere considerato il Saggio teorico-pratico sopra gli ulivi, l'olio e i saponi (ibid. 1793), che ottenne un lusinghiero successo tra esperti e amatori, i numerosi "gentiluomini-coltivatori" sempre disponibili a mettere in pratica le illuminate indicazioni provenienti da agronomi e scienziati: tra questi si segnalò l'ambasciatore portoghese presso la Santa Sede, Alessandro de Souza Holstein, che acquistò ben quaranta copie del libro per diffonderlo tra i suoi conoscenti e nel suo paese.
Nel Saggio, dedicato a Pio VI, il G. riversava le fatiche di ostinate e pazienti osservazioni fatte nel corso di alcuni viaggi espressamente intrapresi in Italia e nella Francia meridionale allo scopo di esaminare personalmente e dal vivo i vari metodi di coltivazione degli ulivi e di oleificazione laddove essi avevano conseguito i migliori risultati produttivi (Toscana, Regno di Napoli, Riviere liguri, Provenza); in quelle pagine dava pure conto di un gran numero di esperimenti pratici da lui stesso condotti sugli uliveti dei principi Doria Pamphili a Tivoli e Albano nei periodi che riusciva a strappare all'insegnamento.
Il volume era diviso in cinque sezioni (storia naturale e coltivazione degli ulivi, scelta delle varietà arboree, del clima e dei terreni; raccolta e trasporto delle olive; processi di oleificazione; costruzione dei mulini per la spremitura delle olive; saponificazione) e si concludeva con una "istruzione" più pratica, riassuntiva delle indicazioni fornite in precedenza: insieme compendio delle conoscenze sino ad allora note e di nuove esperienze sull'argomento presentate "in un sistema e corpo di scienza per li dotti, e di sicura istruzione e guida per li proprietari e coltivatori", esso rappresentava, come affermava il Pessuti nella sua relazione di revisore alle stampe, l'opera di un "uomo laborioso ed infiammato dal desiderio di giovare al pubblico bene […], profondamente versato nella fisica, nella chimica, nella storia naturale, e nelle scienze meccaniche, per potersi far giudice in tutti i diversi oggetti che si offrivano a discutere in questo vasto e intrecciato argomento" (Saggio teorico-pratico…, p. VII).
Per alcuni anni il G. continuò a dedicarsi agli argomenti di cui aveva trattato nel Saggio. Tra il 1794 e il 1795 furono messi in funzione due mulini a olio costruiti interamente su principî e indicazioni da lui elaborati: il primo a uso del principe Doria Pamphili a Tivoli, che a detta di attenti osservatori riusciva a convogliare all'interno un'elevata luminosità malgrado l'infelice posizione, era mosso dalla forza dell'acqua incanalata secondo ingegnosi ritrovati idrostatici e idraulici e adoperava un meccanismo che attenuava notevolmente l'attrito e l'usura delle macine tenute continuamente in moto. L'altro, costruito a Frascati per l'avvocato Paolo Borsari, identico per disposizione degli ambienti e dei meccanismi, differiva solo per l'utilizzo di forza motrice animale; questo venne subito imitato da molti architetti come spiegava il diplomatico portoghese Luiz Alvarez da Cunha e Figueiredo che aveva assistito interessatissimo al dispiegarsi di quelle esperienze (L. Alvarez da Cunha e Figueiredo, Su due nuovi molini a olio. Lettera… diretta in Lisbona a sua eccellenza il sig. D. Alessandro di Sousa e Holstein, Roma 1795).
Uomo d'ordine, dalla condotta morale sempre ispirata all'irreprensibilità dei costumi e al rispetto della fede cattolica, il G. pretendeva dagli allievi non minore religiosità e morigeratezza di abitudini. Tale rigorismo religioso, comunque, non gli impedì nel 1798, durante la breve stagione della Repubblica Romana, di continuare a operare in Roma, di compiere esperimenti con l'ausilio di diversi dotti al seguito dell'armata francese e di intrattenere con loro amichevoli contatti.
La preoccupazione di giovare al progresso civile e materiale dell'uomo e di trovare una pratica applicazione degli studi all'uso quotidiano è alla base anche degli altri lavori dati alle stampe dal Gandolfi. La Memoria sulla maniera di costruire camini e la relativa Appendice (Roma 1807) analizzavano, sulla scorta delle teorie di Benjamin Thompson conte Rumford, l'utilizzo del fuoco per riscaldare diversi tipi di locali, bagni, cucine, officine, e in particolare la conducibilità termica di sostanze naturali e di differenti materiali di comune ritrovamento nelle campagne laziali per costruire camini e fornaci per fini tanto artigianali quanto domestici, "utili stabilimenti" rapidamente diffusisi a Roma. L'ultimo scritto pubblicato dal G., Acque termali del bagno del sig. senatore Luciano Bonaparte e fumajolo nelle vicinanza di Canino… (ibid. 1810), sulla base di un metodo utilizzato dallo svedese Adolf Murray, esaminava invece la natura chimica di quelle acque, dei sali minerali in esse disciolti e la loro affinità e solubilità.
Con il trascorrere degli anni l'impegno del G. andò concentrandosi pressoché esclusivamente sull'insegnamento nell'Università romana, continuato regolarmente fin verso il 1819, quando a subentrargli nella stessa cattedra di fisica fu chiamato l'ex allievo Saverio Barlocci.
Il G. morì a Roma il 10 maggio 1824.
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