GOSIO, Bartolomeo
Nato a Magliano (oggi Magliano Alfieri), presso Alba, il 17 marzo 1865 da Giacomo e da Antonia Troia, studiò a Torino e poi a Roma, ove nel 1888 si laureò in medicina e chirurgia. Iniziò subito la sua attività come funzionario della pubblica amministrazione entrando a far parte dei laboratori della Sanità pubblica realizzati da F. Crispi e L. Pagliani, che ne aveva assunto la direzione, ubicati a Roma nel vecchio isolato di via S. Eusebio. Vinta una borsa di studio per il perfezionamento all'estero, si recò a Berlino, ove trascorse un semestre presso gli istituti di M. Rubner e H. Thierfelder specializzandosi nelle tecniche applicate all'igiene. Ripreso il lavoro nei laboratori pubblici di Roma, ove fu nominato dapprima assistente, quindi coadiutore, dette inizio a una serie di ricerche di carattere prevalentemente sperimentale. Uno dei suoi primi studi riguardò un particolare ordine di miceti (microrganismi noti allora come i fomiceti e denominati oggi ficomiceti), che individuò e descrisse, e al quale assegnò il nome di arsenomiceti o arseniomuffe perché dotato della peculiare proprietà di scomporre i preparati fissi di arsenico.
L'applicazione di tali acquisizioni ai vari campi dell'igiene pratica gli consentì di mettere a punto un metodo biologico per la dimostrazione della presenza di arsenico in un qualsiasi substrato e rappresentò la base per l'ulteriore sviluppo di quelle che in generale chiamò "bioreazioni" (Azione dei micofiti sui composti arsenicali fissi, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, II [1891], pp. 715-719; Azione di alcune muffe sui composti d'arsenico, ibid., III [1892], pp. 201-230; Sulla gassificazione dell'arsenico operata da alcune muffe e relative applicazioni pratiche, in Giornale della R.Accademia di medicina di Torino, s. 3, XL [1892], pp. 591-594; Ulteriori ricerche sulla biologia e sul chimismo delle arseniomuffe, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, XI [1900], pp. 661-667, 693-699, e in Il Policlinico, sezione medica, VII [1900], pp. 457-468; Sulla ricerca dell'arsenico per via biologica, in Bollettino dell'Istituto sieroterapico milanese, XI [1932], pp. 597-602). Con il metodo delle bioreazioni utilizzò composti di tellurio e di selenio per realizzare un procedimento profilattico che definì della "sterilità visibile", basato sulla suscettibilità di tali composti, in particolare del tellurito potassico, alla bioriduzione a opera delle cellule batteriche: una loro piccola quantità, aggiunta a materiale di cui si volesse accertare l'incontaminazione, avrebbe dato luogo, in caso di inquinamento con microrganismi, alla formazione di un sedimento o di una flocculazione di colorito bruno o nerastro (I telluriti e i seleniti come rivelatori d'inquinamento batterico, in Il Policlinico, sezione pratica, XIII [1906], pp. 183-185; Studi sulle bioreazioni dell'arsenico, tellurio e selenio e loro applicazioni, Roma 1907).
Più tardi, notevole interesse avrebbe suscitato l'interpretazione patogenetica data dal G. di una singolare forma morbosa a prevalente impronta emoglobinurica manifestatasi nel 1924 e nel 1925 fra i pescatori della laguna della Vistola, sulla costa baltica: i residui arsenicali presenti nei liquami reflui dalle fabbriche ivi operanti giunti a contatto con le muffe contenute nella vegetazione delle acque lacustri avrebbero sviluppato, a seguito dei fenomeni di biodegradazione da lui descritti e in determinate condizioni ambientali e meteorologiche, vapori potenzialmente dannosi e addirittura letali per gli individui che vi fossero esposti (Sul così detto morbod el Frisches Haff di Danzica, in Il Policlinico, sezione pratica, XXXII [1925], pp. 161-164; si veda anche Enc. Italiana, XXXIV, p. 111, s.v. Tossicologia). Più accreditata è oggi la teoria secondo la quale la malattia avrebbe origine dal consumo alimentare di pesci che avrebbero ingerito particelle resinose depositatesi sul fondale della rada in seguito allo scarico in acqua da parte delle cartiere dei residui della lavorazione della cellulosa (si veda Enc. medica italiana, V, col. 1449, s.v.Emoglobinuria. Malattia di Haff).
Due problemi allora di grande interesse e attualità per la sanità italiana attirarono l'attenzione del G. sin dall'inizio della sua attività scientifica: la malaria, all'epoca un vero flagello nelle zone rurali, ove mieteva numerose vittime ed era causa di ingenti danni socio-economici, e la pellagra, la cui incidenza tra le popolazioni contadine che facevano abbondante uso alimentare di mais destava serie preoccupazioni.
In Italia, dopo le scoperte di A. Celli, E. Marchiafava e C. Golgi sugli agenti etiologici delle varie forme di febbre palustre e sulla loro sensibilità al chinino, e dopo l'individuazione da parte dl G.B. Grassi nelle zanzare del genere Anopheles dei vettori del plasmodio, lo Stato si era impegnato in una vasta campagna profilattica volta all'eradicazione della malaria. Il G. si fece sostenitore del concetto enunciato da R. Koch della cosiddetta "bonifica umana" che indicava nel trattamento chininico precocemente instaurato nei soggetti colpiti e a lungo proseguito il metodo ottimale per la radicale soppressione dei focolai endemici. Con lo studioso tedesco, che applicando il suo metodo aveva già conseguito buoni risultati in Nuova Guinea e nell'isola di Brioni, il G. collaborò nella conduzione di una campagna antimalarica nella Maremma grossetana tra fine Ottocento e inizi Novecento, i cui deludenti esiti furono ricondotti alla dimostrata impossibilità di una regolare somministrazione del farmaco a popolazioni non isolate e molto mobili nel territorio (La malaria di Grosseto nell'anno 1899. Contributo epidemiologico e profilattico, in Il Policlinico, sezione medica, VII [1900], pp. 177-206, 253-272; La campagna antimalarica dell'anno 1901 nella Maremma grossetana, Roma 1902; Die Bekämpfung der Malaria in der Maremma Toscana, in Zeitschrift für Hygiene und Infektionskrankheiten, XLIII [1903], pp. 156-205). Il G. proseguì comunque sulla strada intrapresa, sostenendo sempre l'utilità della bonifica umana e conducendo nuove campagne in Calabria e in Basilicata (I portatori di malaria; appunti demoprofilattici, in Propaganda sanitaria, II [1908], pp. 2-6, e in Giornale della malaria, II [1908], pp. 337-347; Un triennio di lotta antimalarica nella Calabria e Basilicata. Studi e proposte, Roma 1908). In seguito illustrò dettagliatamente i suoi principî guida nella conduzione della lotta antimalarica (Science and practice inthe fight against malaria, in International Journal of publichealth, I [1920], pp. 178-187; I coadiuvanti nella bonifica umana, in Annali d'igiene, XXXII [1922], pp. 293-298; Il problema del paludismo, in Gazzetta medica siciliana, XXVI [1923], pp. 37-44; Considerazioni d'attualità nel trattamento profilattico e curativo della malaria, in Terapia, XXVI [1936], pp. 97-104); insistette sull'importanza della razionale organizzazione e pianificazione della difesa contro la malattia fondando, tra l'altro, la scuola di malariologia di Nettuno, presso Roma, per il perfezionamento di medici e infermieri e la preparazione del personale ausiliario (Organizzazioni antimalariche alla luce delle nuove dottrine, Roma 1925); propose l'istituzione di strutture sanatoriali per i bambini malarici, la prima delle quali sarebbe sorta a Rocca di Papa, in provincia di Roma, nel 1909 (Sanatori per bambini malarici, in Rivista di malariologia, sez. 1, XV [1936], pp. 345-357).
La elevata incidenza della pellagra tra vasti strati della popolazione costituiva all'epoca un grave problema sociosanitario, soprattutto per l'incertezza che ancora regnava sulla vera etiologia della malattia, della quale era stato messo con certezza in luce soltanto il rapporto con l'alimentazione maidica (soltanto nel 1938 C.A. Elvehjem avrebbe potuto dimostrarne l'origine nella carenza nella dieta della vitamina PP, presente nel mais in forma non assorbibile). Il G. fu un convinto assertore della teoria cosiddetta tossicozeidica, riconducibile in buona sostanza ai concetti enunciati da C. Lombroso, che identificava gli agenti responsabili della malattia nei prodotti tossici sviluppatisi nel mais guasto: in una serie di importanti contributi di ordine sperimentale credette di poter riconoscere in alcuni fenoli tossici originati nel mais guasto per l'azione di vari ifomiceti i veleni agenti causali della pellagra (Contributo all'etiologia della pellagra; ricerche chimiche e batteriologiche sulle alterazioni del mais, in Giornale della R. Accademia di medicina di Torino, s. 3, XLI [1893], pp. 484-487; Sull'azione fisiologica dei veleni del mais invaso daalcuni "ifomiceti"; contributo all'etiologia della pellagra, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, VII [1896], pp. 961-981, in collab. con E. Ferrati; Il progresso degli studi sull'etiologia della pellagra, in Atti del Secondo Congresso pellagrologico italiano, Bologna 1902, pp. 222-242; Per l'etiologia della pellagra, in Rivista pellagrologica italiana, III [1903], pp. 177-184; La reazione fenolica del granturco in rapporto ai suoi parassiti vegetali, ibid., VI [1906], pp. 2-7; Ulterioriosservazioni sui prodotti fenolici degli ifomiceti, ibid., pp. 73-76; Sul problema etiologico della pellagra [relazione], in Atti del Congresso pellagrologico italiano 1906, Udine 1907, pp. 30-64; Riflessioni etiologiche sulla pellagra, in Rivistapellagrologica italiana, XII [1912], pp. 173-177; I nuovi contributi allo studio del tossicozeismo, in L'Igiene moderna, VI [1913], pp. 353-359; Neue Beiträge zum Studium der Maistoxikologie, in Berliner Klinische Wochenschrift, LI [1914], pp. 869-872; Riflessioni sul problema etiologico della pellagra. Relazione al VI Congresso pellagrologico italiano, in Rivista pellagrologica italiana, XXII [1922], pp. 3 s., 6-12, in collab. con G. Antonini).
Per l'accuratezza e l'importanza dei suoi studi il G. si impose subito all'attenzione della comunità scientifica, ricevendo apprezzamenti anche all'estero. Il suo metodo biologico per la dimostrazione della presenza di arsenico fu largamente impiegato soprattutto in medicina legale (si veda, per es., R. Maggiora, Alcune prove con la recente modificazione del Gosio almetodo biochimico di ricerca dell'arsenico, in Bollettino dellaSocietà medico-chirurgica di Modena, XVI [1902], pp. 149-163), le reazioni coi telluriti e i seleniti da lui introdotte per la sterilità visibile furono utilizzate da vari istituti a garanzia di prodotti come le lecitine, il catgut per le suture chirurgiche, le gelatine emostatiche; ricevette l'XI premio Riberi dall'Accademia medica di Torino, il premio della Fondazione Pagliani, la medaglia d'oro dall'Istituto di medicina tropicale di Amburgo; per i suoi lavori sugli arsenomiceti, nel 1923 fu proposto per l'assegnazione del premio Nobel e classificato in terna.
Percorse tutta la sua carriera scientifica nella Sanità pubblica: nominato professore straordinario di igiene all'Università di Sassari, rinunciò all'incarico per assumere nel 1899 la carica di direttore dei laboratori della Sanità. Fece parte del consiglio della Società per gli studi della malaria. Lavorò in vari settori dell'igiene e della batteriologia, dando alle stampe oltre 70 pubblicazioni scientifiche.
Condusse importanti studi sul bacillo tubercolare, mettendo in luce il rapporto esistente tra tubercolosi umana e bovina (Rapports entre la tuberculose bovine et la tuberculose humaine, in Bulletin de l'Office international d'hygiène publique, IV [1912], pp. 1380-1447, in collab. con R. Santoliquido; Rapporti della tubercolosi bovina con la tubercolosi umana, Roma 1913; La batteriologia nella tubercolosi, in La tubercolosi. Scienza e legge nella lotta contro la tubercolosi…, II, Roma 1928, 3, pp. 5-10; Über natürlich-hypovirulente Tuberkelbazillenstämme, in Deutsche Medizinische Wochenschrift, LVIII [1932], pp. 501-503); sulla batteriologia e la profilassi della peste e del colera (Zersetzungen zuckerhaltigen Nährmaterials durchden Vibrio-cholerae Asiaticae Koch, in Archiv für Hygiene, XXII [1894], pp. 1-27; Ricerche sul bacillo della peste bubbonicain rapporto alla profilassi, in Annali d'igiene sperimentale, n.s., VII [1897], pp. 261-272, in collab. con V. De Giaxa; Esperienze sulla trasmissione della peste bubbonica ai bovini, in Il Policlinico, sezione medica, IV [1897], pp. 286-290; L'arsenicatura delle pelli in rapporto alla profilassi controla peste, ibid., V [1898], pp. 311-322, nonché Die Arsenikatur der Felle in Hinsicht auf die Prophylaxis gegen Bubonenpest, in HygienischRundschau, VII [1897], pp. 1217-1226; Sul ricambio del bacillodella peste bubbonica in terreno glucosato, in Rivista d'igienee sanità pubblica, IX [1898], pp. 47-53, in collab. con P. Biginelli; Sulla trasmissibilità della peste bubbonica aipipistrelli, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, cl. di scienze fis., mat. e nat., s. 5, XI [1902], 1, pp. 448 s., e anche Sur la transmissibilité de la peste buboniqueaux chauves-souris, in Archives italiennes de biologie, XXIX [1903], pp. 74-76; Zur Methodik der Pestvaccin-Bereitung, in Zeitschrift für Hygiene und Infektionskrankheiten, L [1905], pp. 519-528; Le misure di disinfezione anticolerica, in Gazzetta medica siciliana, XV [1912], pp. 53-57); sull'etiologia dell'influenza, la cui natura virale sarebbe stata accertata solo nel 1933 (Ricerche batteriologiche sull'influenza, in Annali d'igiene, XXXII [1922], pp. 1-5 [fascicolo monografico che contiene alcuni articoli dei suoi collaboratori sull'argomento]; Ricerche sul potere tossigeno del bacillo di Pfeiffer in rapporto alla patogenesi dell'influenza, ibid., pp. 6-26, in collab. con A. Missiroli; Sulla preparazioned un siero antinfluenzale, ibid., pp. 58-64; Considerazioneriassuntiva, ibid., pp. 293-298; Ergebnissebakteriologischer Influenzaforschungen, in Zeitschrift für Hygiene und Infektionskrankheiten, XCIX [1923], pp. 314-322; Perl'etiologia dell'influenza, in Terapia, XXIII [1933], pp. 65-70); sull'igiene applicata e la batteriologia (Sulla conservazione della birra per mezzo dell'acido carbonico, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, IV [1893], pp. 61-77; Über Links-Milchsäure bildende Vibrionen, in Archiv für Hygiene, XXI [1894], pp. 114-122; Cemento, terra cotta e grès come materiali di tubatura per le acque potabili, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, VI [1895], pp. 899-911; Sulla depurazione per filtrazione intermittente delle acque di fogna e sui vantaggi dei filtri depuratori di pozzolana, in Ingegnere igienista, I [1900], pp. 68-71, in collab. con E. Monaco ed E. Rimini; Su un nuovo metodo di preparazione degli ifomiceti a scopo diagnostico, in Il Policlinico, sezione medica, VII [1900], pp. 735-738; Indicatoren desBakterienlebens und ihre praktische Bedeutung, in Zeitschrift fürHygiene und Infektionskrankheiten, LI (1905-06), pp. 65-125; Circa il reperto fenolico nelle culture di alcuni aspergilli e penicilli, in Rivista sperimentale di freniatria e medicina legaledelle alienazioni mentali, XXXII [1906], pp. 620-625; Riscontroed isolamento dei prodotti del ricambio di ifomiceti tossici, in Bull. della R. Acc. medica di Roma, XXXV [1909], pp. 209-212; Valore batterio-diagnostico dell'arbutina, con speciale riguardo ai bacilli dissenterici, in Annali d'igiene, XXVII [1917], pp. 213-218). Nel 1901 pubblicò a Torino, in collaborazione con L. Bonavia, il Manuale pratico di chimica applicata all'igiene.
Il G. morì a Roma il 13 apr. 1944.
Fonti e Bibl.: Necr. in Il Policlinico, sezione pratica, LI (1944), p. 322, e in Rivista di malariologia, XXIII (1944), pp. 70-72, 221 s.; A. Ferrannini, Medicina italica (Priorità di fatti e di direttive), Milano 1935, p. 178; V. Genty, B. G., in Les médecins célèbres, a cura di R. Dumesnil - F. Bonnet-Roy, Genève-Paris 1947, p. 334; L. Agrifoglio, Igienisti italiani degli ultimi cento anni, Milano 1954, pp. 100-105; C. Pogliano, G. B., in Diz. biogr. della storia della medicina e delle scienze naturali (Liber amicorum), II, Milano 1987, pp. 117 s.; G. Corbellini - L. Merzagora, La malaria. Tra passato e presente, [Roma] 1998, p. 56; I. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte [1880-1930], I, p. 519.