LASAGNI, Bartolomeo
Nacque a Roma il 25 ag. 1773 da Gioacchino e da Rosa Certi. Il padre, nato in provincia di Reggio Emilia, nel 1748 si era trasferito a Roma dove aveva intrapreso l'attività di commerciante.
Dal matrimonio aveva avuto quattro figli maschi e tre femmine. Benché di modeste condizioni economiche, la famiglia era imparentata con esponenti della nobiltà e dell'alta borghesia come i marchesi Marini, i banchieri Modetti e, più tardi, i conti Alborghetti.
Studente di lettere e filosofia presso l'Università Gregoriana, il L. si iscrisse successivamente alla Sapienza e vi si laureò in giurisprudenza. Ottenuta l'abilitazione all'esercizio della libera professione, divenne a 23 anni primo assistente di studio dell'avvocato concistoriale F. Riganti.
All'epoca della Repubblica Romana del 1798-99, a differenza del fratello Nicola e del cognato, l'avvocato F. Brunetti, che rivestirono importanti cariche pubbliche, il L. non si compromise. Così, mentre Nicola fu più volte arrestato sia dai Francesi, sia dal restaurato governo pontificio, egli nel novembre del 1800 fu assunto come "primo secreto" nel tribunale della Sacra Rota.
Perso il padre nel 1802, il L. dovette provvedere alla famiglia, che allora comprendeva la madre, la sorella Marianna, rimasta nubile, e un fratello disabile. Nel febbraio 1806 fu promosso assistente di studio di mons. D. Bardaxí y d'Azara, uditore di rota, alle cui dipendenze si trovava anche T. Bernetti con cui strinse, come con V. Bartolucci e altri colleghi, un'amicizia destinata a durare.
A interrompere la carriera rotale, che probabilmente lo avrebbe condotto alla prelatura, giunsero l'occupazione napoleonica e l'annessione di Roma all'Impero. Di ispirazione profondamente religiosa e fondamentalmente legittimista, il L. rifiutò di far parte della commissione incaricata del riordino del sistema giudiziario, ma poi, seppure con poca convinzione, dovette per necessità pratiche aderire al governo e accettare, nel luglio del 1809, la nomina di giudice alla Corte imperiale di appello di Roma. Qui non tardò a far valere la sua competenza, e quando l'anno dopo Napoleone decise di destinare alla Corte di cassazione a Parigi un giureconsulto che rappresentasse l'ex Stato pontificio, il suo nominativo occupò il primo posto nella terna proposta dall'inviato dell'imperatore. Malgrado le iniziali resistenze, quando la sua nomina venne ufficializzata il L. partì per la Francia e il 2 luglio 1810 entrò come consigliere nella Corte suprema, assegnato dapprima alla sezione penale, e presto trasferito a quella civile.
Non ebbe particolari problemi di ambientamento e di integrazione. L'erudizione, le qualità morali e il tratto gli aprirono facilmente le porte dei più diversi ambienti sociali: assai stimato nel mondo giudiziario, aveva accesso a corte e intratteneva rapporti di amicizia con personaggi di ogni estrazione, testimoniati, specialmente quelli con gran parte dell'aristocrazia romana (Corsini, Torlonia, Borghese, Altieri, Chigi, Bonaccorsi, Ruspoli, ecc.), nel suo voluminoso carteggio. Oltre a essere in relazione con alcuni giacobini romani del 1798, ebbe pure modo di rivedere Bernetti, che in quel periodo si trovava a Reims. Ben presto divenne anche un importante punto di riferimento per le più svariate pratiche da sbrigare a Parigi.
Alla caduta di Napoleone, quando ormai si apprestava a tornare in Italia, gli fu offerta la conferma nell'incarico. Decise di rimanere e prestò giuramento al restaurato regime borbonico. Ottenuta la naturalizzazione francese, perse la croce di cavaliere dell'Ordine della Riunione conferitagli nel marzo 1813 da Napoleone, ma ebbe in cambio, nel maggio 1818, la nomina a cavaliere della Legion d'onore seguita, nel settembre del 1823, da quella immediatamente superiore di ufficiale.
Intanto, rimanendo in continua corrispondenza con la sorella Marianna, continuava ad assistere la famiglia e ad aiutare il fratello Nicola con sovvenzioni e interventi presso amici e personaggi influenti per procurargli un impiego. Insieme con l'infaticabile sorella, assicurò un'adeguata formazione ai figli del fratello, i quali, trasferitisi da Caprarola a Roma, ottennero brillanti risultati sia negli studi sia nell'affermazione sociale: Gioacchino e Francesco entrarono nel novero degli avvocati più affermati di Roma e Pietro divenne cardinale.
Il 14 maggio 1818 il L. si unì in matrimonio con la ventiduenne Jenny Delorme, appartenente a una famiglia agiata della borghesia francese, ma l'unione fu di brevissima durata giacché la sposa, il 12 settembre dello stesso anno, morì di tisi. Benché interamente dedito all'attività giudiziaria, le sue capacità, unite alla profonda conoscenza della Curia romana e alla lunga amicizia col cardinal Bernetti, divenuto da poco segretario di Stato di Leone XII, gli fecero assegnare dal governo di Carlo X la missione di mediazione tra Parigi e Roma in seguito alla difficile situazione venutasi a creare in Francia con la pubblicazione delle due ordinanze del 16 luglio 1828 drasticamente limitative dell'influenza ecclesiastica, in particolare di quella dei gesuiti, nell'insegnamento. La missione, confidenziale e segreta (agosto-ottobre 1828), che aveva lo scopo di evitare l'intervento del papa a sostegno delle forti resistenze dell'episcopato francese e dei sostenitori di F.-R. de Lamennais, raggiunse pienamente il suo intento, anche per il modo convincente con cui il L. seppe illustrare al papa e a Bernetti la delicata posizione del re francese, rassicurandoli sulla moderazione con cui le ordinanze sarebbero state attuate dal governo.
Tale esperienza, che meritò al L. la commenda della Legion d'onore, comunque non ebbe seguito perché egli, che già nel 1823 non aveva voluto far parte del Consiglio di Stato, non solo non accettò altre missioni, ma respinse le offerte per la nomina alla Camera dei pari. Solo nel marzo del 1846 si risolse ad assumere la carica, già altre volte offertagli, di presidente della sezione civile della Corte di cassazione. Nonostante l'età, esercitò con autorevolezza ed efficienza le sue funzioni, tanto da eliminare in breve tempo tutto l'arretrato che si era accumulato negli anni precedenti.
Nell'agosto del 1850, il L. chiese e ottenne dal governo della Repubblica francese di potersi ritirare a vita privata. In segno di omaggio fu insignito del titolo di presidente onorario della Cassazione e della gran croce della Legion d'onore. Ritornato a Roma il 1° marzo 1851, scrisse l'opuscolo Méditations d'un philosophe catholique, apostolique, romain sur la raison humaine et la foi divine, ispirato alla più pura ortodossia, che fece stampare nel 1854 a Parigi con una tiratura assai limitata.
Colpito da infermità, il L. morì a Roma il 21 ott. 1857 e fu sepolto nella chiesa di S. Luigi dei Francesi dove, su un pilastro della navata sinistra, lo ricorda un medaglione in mosaico accompagnato da un'iscrizione in latino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Archivio Lasagni, bb. 6-11, 13; Roma, Museo centr. del Risorgimento, bb. 16, 65; Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Esteri, Rubr. 261, b. 542. Nella b. 8/A dell'Archivio Lasagni sono conservati anche alcuni articoli sul L. apparsi sulla stampa del tempo (Le National e Le Siècle del 28 marzo 1846, L'Époque e La Voix de la vérité del giorno dopo, Gazette des tribunaux del 6 e 7 apr. 1846, L'Univers del 14 apr. 1854) e inoltre, in estratto, il discorso pronunciato in suo onore dal procuratore generale della Corte di cassazione A. Dupin il 4 nov. 1850, pubblicato il giorno successivo nel Moniteur e, in versione italiana, nel Giornale di Roma del 14 nov. 1850. Tra i profili del L.: G[ioacchino] L[asagni], Cenni biografici, in Giornale di Roma, 28 ott. 1857 (poi nell'opuscolo B. L.: articoli necrologici estratti dal "Giornale di Roma" dell'anno 1857, Roma 1866); C. Ravioli, B. L., in Id., Della vita e delle opere del march. Luigi Marini, Roma 1858, pp. 84-88; A. Taillandier, L. B., in Nouvelle Biographie générale, XXIX, Paris 1862, pp. 710 s.; F.F. Carloni, Gl'Italiani all'estero…, III, Scienze giuridiche, a cura di U. Carloni, Città di Castello 1908, pp. 101 s.; A. Pasquali-Lasagni, Un romano magistrato di Francia: il presidente L., in Roma, VII (1929), 4, pp. 145-160 (è il più documentato e completo, ed è scritto dal pronipote che si è incaricato della sistemazione dell'archivio della famiglia Lasagni e della sua donazione allo Stato). Considerazioni sulla missione romana del 1828 in J. Burnichon, La Compagnie de Jésus en France. Histoire d'un siècle (1814-1914), Paris 1914, pp. 420-424, che utilizza documenti conservati a Parigi, Archives des Affaires etrangères; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963, ad ind. (non risultano esatte, tuttavia, le qualifiche di barone e banchiere attribuite al L., né la data del suo arrivo in Francia); Restaurazione e crisi liberale (1815-1846), a cura di C. Naselli, in Storia della Chiesa, XX, 2, Torino 1975, p. 710. Altri riferimenti in J.-V.-A. de Broglie, Souvenirs, III, Paris 1886, p. 161; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese (1789-1815), II, Torino 1889, p. 107; L. Madelin, La Rome de Napoléon, Paris 1927, p. 64; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX, a cura di L. Felici, III, Roma 1971, pp. 94, 146; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento. Il tramonto della "città santa". Nascita di una capitale, Bologna 1985, pp. 293, 322.