MARASCHI (Marasca, de Maraschis), Bartolomeo
Nacque probabilmente a Mantova intorno al 1420 da Giovanni di Giacomo e da una Pietrina della quale non è noto il casato. Appartenente a una famiglia di ceto borghese, dopo gli studi giuridici entrò al servizio di casa Gonzaga, condizione che gli permise una non trascurabile carriera e probabilmente favorì l'ascesa sociale della sua famiglia.
L'Istoria di Schivenoglia sostiene che il mestiere del padre (e di un fratello) del M. fosse quello di pesatore del pesce, ma tanto gli studi giuridici del M. quanto la professione notarile di un fratello, attivo per la curia episcopale, inducono a credere che il livello della famiglia non fosse propriamente dei più bassi; del resto l'Istoria attesta la professione laniera di un altro fratello ("fa arte de lana granda"), e questo situa la famiglia nel ceto borghese mantovano. L'ascesa non doveva essere così recente, visto che un antenato del M., Antoniolo, è attestato come mercante nel 1370, e un altro, Giacomo (probabilmente il nonno del M.), si trova menzionato come notaio nel 1404. È certo comunque che la posizione del M. favorì il consolidamento delle fortune di famiglia, visto che il fratello Francesco fu fattore generale del futuro cardinale Francesco Gonzaga nel 1460 (fu però allontanato dalla carica per malversazioni dopo solo un anno), mentre l'altro fratello, Giacomo, notaio di professione, fu nominato consigliere del Comune mantovano nel 1479.
Non è noto, peraltro, quando il M. sia stato ordinato sacerdote, e le notizie sulla sua vita sono scarse fino al 1458, quando entrò al servizio dei Gonzaga come istitutore di Francesco, allora quattordicenne, destinato alla carriera ecclesiastica. In tale veste seguì Francesco, che a Pavia doveva completare gli studi di diritto.
Data la formazione già avanzata del pupillo (che tuttavia si esercitava con lui nel parlare in latino), le mansioni del M. dovettero presto evolversi verso quelle di amministratore della residenza del giovane principe, preoccupato delle minute esigenze quotidiane legate all'alloggiamento e al buon funzionamento della casa. La carica di magister domus tuttavia non gli fu ufficialmente attribuita fino a che Francesco Gonzaga non fu nominato cardinale, alla fine del 1461. Nella pratica i suoi compiti non differivano troppo da quelli che aveva dovuto esercitare prima di tale data: consistevano tanto in obblighi amministrativi quanto in una sorveglianza generale sul giovane cardinale, come voleva la madre di Francesco, la marchesa di Mantova Barbara di Hohenzollern, ma Francesco Gonzaga avrebbe probabilmente preferito che il severo istitutore si limitasse ai già impegnativi doveri di maggiordomo. Le principali fonti per questo periodo della vita del M. sono infatti le sue molte lettere alla marchesa, che nutriva in lui ampia fiducia, e le risposte della stessa; anche molte altre missive scambiate dalla diplomazia quattrocentesca fanno menzione del M. e sono esplicite nel mostrare una gestione attenta e oculata della casa del cardinale, insieme con un controllo di cui questi doveva essere sempre più insofferente, nonostante l'affettuosa sollecitudine che il M. dimostrò nei suoi confronti in occasione di una malattia, assistendolo "dì et nocte" (Carteggio, II, n. 151). Le preoccupazioni di Barbara non coinvolgevano solo il M. ma chiunque potesse tener d'occhio il figlio: in una lettera alla duchessa di Milano Bianca Maria Visconti, la marchesa raccomandava, a proposito di Francesco, "che'l non si portasse come'l debe, voglia fargli quelle amonitione e riprensione gli paresseno bisognare" (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, 394, n. 123, Mantova 5 maggio 1460).
Già in questo periodo comunque la posizione del M. era decisamente più rilevante di quanto la sua carica farebbe pensare: vari episodi dimostrano sia l'intimità del M. con il suo pupillo (come la sua partecipazione alle piccole scappatelle di Francesco in incognito a Milano) sia la fama di buon amministratore che in tale ruolo il M. si era guadagnato, come gli riconosceva anche la duchessa Bianca Maria Visconti. Non è inoltre da sottovalutare il ruolo di informatore che il M. poteva svolgere già in questi anni per la corte gonzaghesca, anche se tale compito si sviluppò successivamente. Già nel 1460 tuttavia il M. scriveva direttamente al marchese Ludovico III, contrariamente alle sue abitudini di rivolgersi esclusivamente a Barbara, per informarlo delle offerte matrimoniali sabaude a Galeazzo Maria Sforza. L'argomento, come è noto, stava molto a cuore ai Gonzaga, che avevano promesso al futuro duca di Milano una principessa della famiglia.
Nel dicembre 1461 Francesco Gonzaga fu nominato cardinale diacono di S. Maria Nuova e nel marzo 1462 si recò in corte di Roma, seguito dal M., che si dimostrò sempre piuttosto efficiente nel controllare le spese del prelato, in tale ambiente potenzialmente destinate a levitare.
Altrettanto preziosa per la marchesa si rivelò la funzione di informatore che il M. poteva esercitare a Roma, poiché lì arrivavano notizie di ogni genere, come la scoperta di una nuova eresia in Germania nel 1466, un sospetto di peste nel 1465, o la missione del vescovo di Ferrara presso Sigismondo Pandolfo Malatesta nello stesso anno, durante la fase di scontro fra questo e il papa Paolo II. In tale occasione il M. segnalò con lungimiranza che "Credesse che questo Arimino habia partorire nove cosse" (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 842, f. XXXII, Roma 6 febbr. 1465). Non è senza significato che Pastor, nella sua monumentale opera sul Papato, faccia riferimento alle lettere del M. per menzionare episodi della vita di corte, come la malattia del papa.
Il nuovo ruolo del cardinale nella Curia pontificia acuì i contrasti tra il M. e il suo antico pupillo, ormai insofferente della tutela che egli pretendeva ancora di esercitare: non è difficile vedere nelle premure del M. un'attenzione e una sollecitudine paterne, venate di un affetto in qualche misura oppressivo, che tuttavia mal si conciliava con la posizione di Francesco Gonzaga. In più di un'occasione dunque il M. preferì rimanere a Roma ad amministrare la residenza principale del cardinale e non seguire l'itineranza del suo protetto, ormai coinvolto negli usi curiali, per non urtarne la suscettibilità.
La residenza a Roma fu assai proficua per il M., perché gli permise di farsi conoscere alla corte papale, sia per la buona tenuta della casa e i fastosi ricevimenti offerti dal cardinal Gonzaga sia per un'orazione pronunciata di fronte al pontefice il giovedì santo del 1468, sul tema della preparazione alla morte.
In quegli anni il M. ebbe forse un ruolo, come ipotizza Chambers, nella repressione della cosiddetta congiura degli accademici, partecipando all'arresto di B. Sacchi, detto il Platina (avvenuto in casa di Francesco Gonzaga) ed essendo in stretti rapporti con Teodoro De Lellis, che interrogò il Platina nel 1464. Forse per la lealtà dimostrata in tale occasione, nel 1468 il M. iniziò ad avere importanti cariche in Curia, prima la Depositeria pontificia, poi incarichi minori, per completare il quadro con la tenuta amministrativa della casa papale nel 1469. Poiché questa carica corrispondeva all'attività svolta fino a quel momento per il cardinale, se ne deduce che, stante l'incompatibilità delle due funzioni, egli dovette lasciare il servizio gonzaghesco nello stesso torno di tempo.
La sua abilità ebbe modo di mostrarsi presto nei ricevimenti organizzati a Roma per la venuta dell'imperatore Federico III d'Asburgo. Sebbene alcuni di questi incarichi, come il titolo di maestro di cappella pontificia, fossero soggetti alla benevolenza intermittente dei pontefici che si succedettero in quegli anni, le sue capacità amministrative continuarono a essere unanimemente apprezzate, poiché egli mantenne la gestione della casa pontificia fino al 1479.
Intanto nel 1473 il suo sermone fu pubblicato a Roma presso G.F. De Lignamine, con il titolo Oratio… coram Paulo II pon. max. in ede divi Marci in Parasceve 1468 (Indice generale degli incunaboli [=IGI], 6142); in quell'anno, presso lo stesso stampatore, uscì anche il Libro de la preparatione a la morte, un'opera sul medesimo argomento, che il M. aveva composto in quegli anni (IGI, 6143).
Chambers fa notare che i sentimenti religiosi tradizionali che animavano queste opere erano probabilmente di derivazione letteraria, poiché la condotta dell'autore quando si trovò effettivamente di fronte alla perdita di persone care sembra meno rassegnata di quanto ci si sarebbe potuto aspettare dall'autore di tali opere. Anche se non originale nel contenuto, il libro fu il primo dedicato all'argomento a essere scritto in lingua volgare, per poter raggiungere un più vasto pubblico.
Fu questo probabilmente il passo che gli permise di salire l'ultimo gradino della sua carriera, poiché nel 1474 (o forse nel 1475) egli ottenne il vescovato di Città di Castello, prendendone presto possesso e dimostrandosi un presule attento, pur se non sempre presente.
La documentazione lo mostra infatti presente tanto a Roma quanto a Città di Castello, dove fu a più riprese e nei momenti di maggiore importanza della città: se nel 1476 si preoccupava di fare importare grano dalla Marca, nel 1477 si recava a Milano a portare alla duchessa le condoglianze del pontefice per l'uccisione di Galeazzo Maria Sforza; era assente da Città di Castello durante la ribellione del 1478, che portò all'assedio da parte delle truppe pontificie. Nel 1479 in effetti doveva essere a Roma, dove curò l'apposizione di una lapide funeraria nella basilica Vaticana per Pietro Balbo; l'anno successivo tornò nella sua diocesi, dalla quale doveva tuttavia nuovamente allontanarsi negli anni successivi, poiché nel 1482 scrisse al vicario generale pregandolo di tornare in città per esercitare correttamente le sue funzioni. Nel 1483 si recò in Austria dall'arciduca Sigismondo e dall'imperatore per tentare un accordo con l'Ungheria. Nello stesso anno scrisse a Lorenzo il Magnifico a proposito della situazione politica, dando consigli di carattere militare (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, f. LI, n. 204, Casalmaggiore 20 febbr. 1483). La sua presenza in sede fu probabilmente più stabile dal 1484 (dopo una missione a Basilea per esprimere la condanna pontificia di un'eresia), quando presenziò alla pace di Niccolò Vitelli; nel 1486 consacrò una pieve della diocesi e partecipò alle solenni esequie di Niccolò Vitelli; in quell'anno probabilmente si dovette però assentare per brevi periodi per recarsi a Perugia, dove fungeva da vice legato per Giovanni Arcimboldi, quasi certamente conosciuto a Roma. Nel 1486 o nel 1487 dovette effettuare una visita pastorale almeno parziale della diocesi, nelle zone montuose più lontane dalla città, ma Muzi, lo storico locale che cita il fatto, equivoca evidentemente sulla data, indicando il 1489, quando il M. era morto da due anni.
Nel settembre 1487, infatti, mentre probabilmente ancora esercitava la funzione di vice legato, il M. morì a Perugia, dove fu sepolto nella chiesa di S. Pietro.
Lasciò un testamento in cui, oltre a nominare eredi fratelli e nipoti, chiedeva di essere sepolto nella basilica Vaticana; un anno dopo la sua morte fu accontentato e il suo corpo riposò in S. Pietro fino alla ricostruzione cinquecentesca della basilica.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Carteggio Sforzesco, Carteggio estero, 394: nn. 122-123 (Mantova 19 aprile e 5 maggio 1460); Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 842, f. XXXII, Roma 23 gennaio e 6 febbr. 1465; 1621, Pavia 11 dic. 1460; Fondo d'Arco: C. d'Arco, Delle famiglie mantovane, V, pp. 216-219; Mantova, Biblioteca comunale, Mss., 1019: A. Schivenoglia, Istoria di Mantova, c. 58v; A. Ascani, Due cronache quattrocentesche, Città di Castello 1966, pp. 129, 137; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), II, a cura di I. Lazzarini, Roma 2000, nn. 121, 133, 148, 151; III, a cura di I. Lazzarini, ibid. 2000, n. 72; VI, a cura di M.N. Covini, ibid. 2001, p. 53; VIII, a cura di M.N. Covini, ibid. 2000, n. 218; G. Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello…, Città di Castello 1842-44, III, Memorie ecclesiastiche, pp. 34-38, 154 s.; IV, p. 150; V, p. 13; E. Casanova, L'uccisione di Galeazzo Maria Sforza e alcuni documenti fiorentini, in Arch. stor. lombardo, XXVI (1899), 12, pp. 320, 329 s.; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, Venezia 1912, p. 63; A. Tenenti, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino 1957, pp. 101 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, II, Roma 1961, p. 740; Mantova. La storia, II, a cura di L. Mazzoldi, Mantova 1961, p. 59; Mantova. Le lettere, II, a cura di E. Faccioli, Mantova 1962, pp. 34, 116, 130, 147; D.S. Chambers, B. M., master of cardinal Gonzaga's household (1462-1469), in Aevum, LXIII (1989), 2, pp. 265-283; Diz. onomastico mantovano, a cura di C. Baroni, Rivarolo 2002, p. 183; F. Somaini, Un prelato lombardo del XV secolo: il cardinale Giovanni Arcimboldi vescovo di Novara, arcivescovo di Milano, Roma 2003, ad ind.; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, nn. 6142 s.; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, p. 444.