MARCELLO, Bartolomeo
Nacque a Venezia probabilmente nella seconda metà del 1402, primogenito del patrizio Benedetto di Bartolomeo e di Maddalena di Bianco di Alvise da Riva. Questo ramo della famiglia, che risiedeva nella parrocchia di S. Marina, era il più importante del casato; il M. rimase orfano del padre assai presto (il 17 febbr. 1421 fu presentato all'estrazione della balla d'oro dallo zio Pietro), per cui dovette farsi carico anche del fratello minore Francesco.
Nulla è noto dei suoi anni giovanili, verosimilmente dedicati all'esercizio della mercatura: dopo essersi sposato, nel 1430, con Elena di Marco di Giovanni Contarini, il 15 dic. 1432 si presentò all'avogaria di Comun, provando di avere trent'anni compiuti, così da poter assumere il comando delle galee che dovevano partire per Beirut.
La fine dell'attività mercantile coincise probabilmente con l'esordio nella politica: il 23 marzo 1437 il M. figura tra i savi agli Ordini, che si occupavano di questioni attinenti la flotta e il commercio marittimo.
Difficile pertanto supporre che, dopo aver ricoperto una magistratura prestigiosa, il M. ne rivestisse altre di ben minore importanza e di solito assegnate a patrizi poco abbienti, quali gli ufficiali di Notte (22 luglio 1438), la Quarantia civile (3 dic. 1441 e 27 dic. 1442), il Piovego (18 ag. 1443) e i giudici di Petizion (13 sett. 1444). È probabile che si tratti di qualche omonimia (accertata è la presenza di un Bartolomeo di Fantino, che nel 1449 figura come capitano in Cadore ed è definito "maior"); sicché la mancanza, nei registri del Segretario alle Voci, del nome paterno rende difficile attribuire con esattezza le cariche.
Il 24 sett. 1447 il M. fu probabilmente eletto sopraconsole dei Mercanti e il 3 dicembre auditore alle Sentenze vecchie, carica in cui figura anche il 23 ott. 1449, allorché fu cooptato tra i consiglieri ducali per giudicare la condotta tenuta da Pietro Pisani nella podestaria bresciana.
L'avvenimento decisivo nella vita del M., cui rimane legato il suo nome, si verificò qualche anno dopo, in occasione della caduta di Costantinopoli in mano turca (29 maggio 1453). Nella circostanza la condotta della Repubblica fu prudente, se non addirittura rassegnata; quando appariva ormai chiaro che Maometto II stava portando a termine la stretta finale sul moribondo Impero bizantino, il Senato decise l'invio di una piccola squadra in Levante, un po' con intenti dissuasivi, un po' per salvaguardare gli interessi e le vite dei mercanti veneziani operanti sul Bosforo. Il 2 marzo 1453 la flotta fu affidata a Giacomo Loredan, ma le commissioni gli furono consegnate solo il 7 maggio; con lui doveva imbarcarsi anche il M. in qualità di ambasciatore. Le sue istruzioni (rilasciate dal Senato l'8 maggio) prevedevano che dovesse adoperarsi a trattenere il sultano dal procedere contro Costantinopoli e favorire in extremis un accordo fra Maometto II e Costantino XI.
Ma quando le navi del Loredan giunsero nell'isola di Negroponte, l'odierna Eubea, la tragedia si era già compiuta; il 17 luglio il Senato inviò al M. nuove commissioni: avrebbe dovuto proseguire il viaggio via terra, quindi farsi perdonare da Maometto II la parte presa dai suoi concittadini alla difesa di Costantinopoli, cercare di assicurare alla città la maggior continuità con l'eredità bizantina e serbare il massimo silenzio possibile circa il massacro dei Veneziani e la depredazione dei loro averi; quel che contava era stabilire con il vincitore un trattato che prevedesse il mantenimento del bailaggio a Costantinopoli e, ovviamente, libertà di commercio.
Il M. giunse sul Bosforo verso la metà di settembre, portando con sé ricchi doni per il sultano e i pascià, ma non riuscì a farsi ricevere da Maometto II, benché fosse in veste di ambasciatore: la prassi ottomana prevedeva infatti tempi lunghi, al fine di logorare la controparte e alzare il prezzo per chiudere la trattativa. E così fu: il 25 sett. 1453 il M. inviò a Venezia il segretario Nicolò Sagundino, per spiegare la situazione venutasi a creare dopo la scomparsa dell'Impero bizantino e per chiedere istruzioni (Sagundino si recò a Roma e a Napoli a illustrare la nuova realtà costantinopolitana, trovandosi a essere uno dei primi testimoni politici del grande rivolgimento). La risposta del Senato, in forma di istruzioni inviate al M., reca la data del 15 genn. 1454: pur di ottenere la pace, Venezia era disposta ad accettare condizioni gravose e in parte umilianti, come versare un tributo annuo di 3000 ducati (aumentabili sino a 5000) per il possesso di Stalimene e di alcune altre isole dell'Egeo già possedute dall'imperatore di Bisanzio e a pagare il riscatto per la liberazione dei Veneziani ancora prigionieri.
Ancora, a ulteriore dimostrazione dell'assillo con cui il Senato cercava la pace, il 22 febbraio il mandato del M. fu ampliato fino a una sostanziale libertà di azione: "Ma perché molte fiate - così la deliberazione senatoria - in simel pratiche l'ocore dele difficoltà e qualche conditione de non grande importantia per le quale la pace se porìa impedire, et questo perché a tute cose non se po dare compidamente ordene, et essendo il loco molto lontano, et el desiderio nostro de haver pace, ve disemo e commandemo che, se oltra le condition e modi che ve habiamo scrito, el sopravvenisse alcuna difficultà, o altra cosa che non fosse di grande importantia, che havesse ad impedire tal conclusione, vui debiè tal cosa conzar e componer come meglio far poreti […], et non star per tal cosa che, come havemo dito, non fosse de grande momento, de venir ala conclusione, et sic in nomine Domini concludete" (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Deliberazioni, Secreta, reg. 20, c. 9).
Sulla scorta delle istruzioni ricevute, il 18 aprile fu possibile al M. stipulare la pace sulla base dei trattati precedenti, ma sostituendo alla franchigia doganale goduta sino allora, e che aveva fatto di Venezia la protagonista privilegiata nei traffici del Bosforo, un dazio del 2% su tutte le merci vendute o comprate dai suoi mercanti; la figura del bailo era confermata, ma la residenza fu portata a Galata, sulla sponda opposta del Corno d'Oro, dove pure sarebbero stati ospitati tutti i sudditi della Serenissima, essendo risultati vani i tentativi del M. di ricostituire territorialmente la colonia veneziana nel vecchio quartiere. Tuttavia la nuova sede disponeva pure di una chiesa, già appartenuta agli Anconetani.
Nonostante tutto, quindi, il M. aveva ottenuto un buon risultato, specialmente se confrontato con le condizioni ben più dure accordate da Maometto II alle altre comunità latine, come i Genovesi; il gradimento del Senato si manifestò in robusti invii di denaro per bonificare i molti debiti contratti dal M., che nel frattempo era tornato a Venezia in compagnia di alcuni inviati ottomani, e nella sua nomina a bailo, il primo a essere accreditato presso i nuovi dominatori. L'elezione reca la data dell'8 luglio 1454, le commissioni gli furono consegnate il 16 agosto; partì subito alla volta di Costantinopoli insieme con gli ambasciatori del Gran Signore, il greco Demetrio Crisovergi e il capo dei mercenari, Ahmed.
Quel che successe in seguito non è chiaro; dopo un anno verosimilmente tranquillo, sorsero problemi per via di alcuni Turchi giustiziati a Negroponte, possedimento veneziano: l'avvenimento era cosa normale in quei tempi, ma anziché gettare acqua sul fuoco, il sultano ingigantì la questione e, nella circostanza, sembra che il M. non si sia comportato con la necessaria prudenza, tanto da abbandonare la carica e tornare in patria in compagnia di un ambasciatore ottomano, ma senza il permesso del governo marciano. Pertanto, il 26 apr. 1456 il Senato ordinò la carcerazione del M. e affidò agli avogadori di Comun il compito di processarlo, con facoltà di sottoporlo a tortura; qualche settimana dopo, il 13 maggio, gli furono comminati due anni di carcere, seguiti da bando decennale.
Da questo momento cade il silenzio sul M., che figura già morto l'11 ott. 1459, allorquando il suo primogenito, Francesco, fu presentato da alcuni parenti all'avogaria di Comun per l'estrazione della balla d'oro.
Oltre a Francesco, il M. aveva avuto dalla moglie un altro figlio, Pietro: entrambi si sposarono, ma nessuno ebbe discendenza, per cui questo ramo del casato si estinse nei primi anni del XVI secolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, IV, c. 469; Avogaria di Comun, Balla d'oro, regg. 162, c. 99v; 163, c. 327v; ibid., Prove di età, reg. 177, cc. 13r, 40r; Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, cc. 2r, 6r, 7r, 30v, 106v, 109r, 153r; 14, cc. 49v, 53r; Senato, Misti, reg. 60, c. 4r; Senato, Terra, reg. 3, cc. 122v, 124r, 125r; Senato, Mar, reg. 5, cc. 43r, 49v-52r, 147v, 165v-166r; Senato, Deliberazioni, Secreta, reg. 20, cc. 3v-4v, 9, 29v-30v, 88v-89r; N. Barbaro, Giornale dell'assedio di Costantinopoli. 1453, a cura di E. Cornet, Vienna 1856, pp. 74-82; M. Sanuto, I diarii, III, Venezia 1880, col. 315; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 91; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1999, pp. 489, 498 s., 501, 503, 506, 520; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, I, 2, Venezia 1718, pp. 704, 708; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 260 s., 309 s., 528, 531; L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1942, pp. 619 s.; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 1967, pp. 117 s.; C. Coco - F. Manzonetto, Baili veneziani alla Sublime Porta. Storia e caratteristiche dell'ambasciata veneta a Costantinopoli, Venezia 1985, p. 24; M.P. Pedani, In nome del Gran Signore. Inviati ottomani a Venezia dalla caduta di Costantinopoli alla guerra di Candia, Venezia 1994, p. 100; G. Gullino, Le frontiere navali, in Storia di Venezia…, IV, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, Roma 1996, p. 206; E. Concina, Dal Medioevo al primo Rinascimento: l'architettura, ibid., V, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, ibid. 1996, pp. 57, 59 s.; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996, pp. 33, 36, 38 s.; G. Gullino, Loredan, Giacomo, in Diz. biogr. degli Italiani, LXV, Roma 2005, p. 756.