MASTRI, Bartolomeo
– Nacque il 7 dic. 1602 a Meldola, presso Forlì, da una famiglia agiata e influente. Il padre, Alessandro, fu capitano e procuratore della Comunità; la madre, Isabella de Pochintesti, apparteneva a una famiglia della nobiltà ferrarese.
Della formazione del M. si hanno poche notizie certe. Secondo Franchini (p. 83), al momento dell’ingresso nell’Ordine dei francescani conventuali aveva terminato gli studi di grammatica, retorica e poesia, ma resta ignoto dove e sotto quali maestri (qualche ipotesi in Forlivesi, Scotistarum princeps…, pp. 25-30). L’ingresso in religione avvenne nel 1617 oppure nel 1616.
Secondo Franchini (pp. 83 s.) il M. fu ammesso come novizio nel convento di Cesena il 26 nov. 1617. L’attendibilità della notizia è revocata in dubbio da Forlivesi sulla base di due dati documentali. In primo luogo il nome del M. non compare nell’elenco degli ammessi al noviziato tra l’agosto 1617 e l’aprile 1618 contenuto nel Regestum Ordinis del ministro generale Giacomo Montanari da Bagnacavallo. In secondo luogo nel registro delle entrate del convento di Cesena per il 1617-84 risulta che il 27 nov. 1617 furono ricevute 40 lire per la «dozina» (le spese di mantenimento) di fra Bartolomeo da Meldola. Essendo la somma indicata poco meno di un terzo di quella normalmente richiesta, se ne deduce che si trattasse di un saldo. Se a ciò si aggiunge che il frate meldolese non è citato con la qualifica di novizio, esplicitata invece in tutti gli altri casi, si inferisce che a quella data egli fosse non già all’inizio del suo noviziato, come vorrebbe Franchini, bensì alla conclusione di esso e perciò avesse terminato il pagamento della sua dozzina. Se così è, la data del 26 nov. 1617 tramandata da Franchini indicherebbe il momento della professione, non della vestizione, obbligando ad anticipare al 1616 l’ingresso del M. in religione.
Compiuto il noviziato ed emessa la professione, il M. fu inviato nel convento di S. Francesco a Bologna, al «secondo seminario», cioè il professato, in cui dimoravano i professi fino all’ordinazione. Il M. vi compì il corso di studi fino al conseguimento del titolo di baccelliere initiatus, il 28 sett. 1621.
Secondo Franchini (p. 84) durante gli anni del professato scrisse e fece stampare un poema in lode di s. Bonaventura, ma l’opera, ammesso che davvero sia stata data alle stampe, è perduta. Cionondimeno la notizia è di un certo interesse: il poema in lode del Doctor seraphicus potrebbe riflettere infatti una fase bonaventuriana della formazione del Mastri.
Da Bologna, nel 1621 o, al più tardi, nel 1622, il M. fu inviato allo Studium di Napoli, dove rimase fino al 1623 e terminò gli studi ginnasiali di prima classe. Durante il biennio napoletano consolidò la sua preparazione teologica, quasi certamente sotto la guida di Giuseppe Napoli (Giuseppe da Trapani), scotista tra i più autorevoli e originali del suo tempo. Nella tarda primavera del 1623 si presentò al M. l’opportunità di dar prova pubblicamente del proprio talento filosofico: insieme con Giuseppe Napoli fu invitato al capitolo generale di Roma nelle vesti di disputante.
L’argomento della disputa è noto tramite Franchini (p. 86): a Roma il M. difese – sembra brillantemente – il trattato inedito di Giuseppe Napoli De concursu causae primae cum secunda, in cui era formulata la dottrina del cosiddetto «decreto concomitante», ossia la tesi secondo cui ai decreti della volontà divina sulle azioni degli uomini si accompagna, inscindibilmente, la libertà di queste stesse azioni, perché l’intervento divino contempla sia la prescienza della determinazione sia la collaborazione della volontà umana.
La carriera del M. come insegnante ebbe inizio il 29 nov. 1623, allorché il generale Michele Misserotti lo nominò magister allo Studio di Parma, presso il convento di S. Francesco al Prato. Dopo nemmeno un anno, nell’ottobre 1624, fu trasferito, con lo stesso incarico, allo Studio di Bologna: qui ebbe come collega, tra gli altri, Anteo Sassi da San Giovanni in Persiceto, noto per i suoi studi sulla metafisica di Scoto. Da Bologna, nel 1625, fu inviato a Roma, al collegio di S. Bonaventura, dove rimase fino al 1628 completando gli studi di teologia. Il triennio trascorso a Roma fu tra i più intensi e proficui della vicenda intellettuale del Mastri. Suoi compagni di corso furono, tra gli altri, i giovani scotisti Modesto Gavazzi da Ferrara e Bonaventura Belluti da Catania. Con quest’ultimo, in particolare, egli strinse un profondo sodalizio umano e intellettuale. Insieme progettarono un corso sistematico di filosofia scotista che, sul modello di ciò che avveniva in altre scuole, potesse essere utilizzato come libro di testo dagli studenti dell’Ordine. Frutto di un’intensa collaborazione, il Philosophiae ad mentem Scoti cursus integer fu portato a termine nel 1647, quando, con la pubblicazione del secondo tomo della Metaphysica, vide la luce l’ultimo dei cinque volumi in cui l’opera era stata progettata.
Questi i singoli volumi del Cursus, nell’ordine in cui vennero dati alle stampe: Disputationes in octo libros Physicorum Aristotelis, Romae 1637; Disputationes in Organum Aristotelis, Venetiis 1639; Disputationes in libros De coelo et metheoris, Venetiis 1640; Disputationes in libros De generatione et corruptione, ibid. 1640; Disputationes in Arist. Stag. libros De anima, ibid. 1643; Disputationes in XII Arist. Stag. libros Metaphysicorum, I, ibid. 1646; II, ibid. 1647. Un’edizione integrale dell’opera, in cinque tomi, fu pubblicata a Venezia nel 1678, dopo la morte del Mastri. Per un regesto completo delle varie edizioni e ristampe del Cursus, cfr. Forlivesi, Scotistarum princeps…, pp. 337-386.
Il M. e Belluti conseguirono la laurea in teologia nel 1628. Nello stesso anno furono nominati, insieme, reggenti dello Studio di Cesena. Qui, oltre a svolgere la normale attività d’insegnamento, lavorarono alacremente al progettato corso di filosofia. Nel 1631 entrambi passarono allo Studio di Perugia. Gli anni trascorsi in questa città (1631-38) furono per il M. di intenso studio (del 1637, come si è detto, è la pubblicazione del primo volume del Cursus, salutata peraltro da un immediato successo); parallelamente ampliò la cerchia delle sue amicizie: conobbe e frequentò Angelo Soriani e Belmonte Belmonti, suoi conterranei, Felice Ciatti, perugino, l’olivetano Secondo Lancellotti.
Terminato il triennio a Perugia, il M. e Belluti fecero richiesta di essere trasferiti allo Studio di Padova, ma si scontrarono con l’opposizione di Matija Ferkic (Ferchio) e Francesco Maria Vaccari, rispettivamente teologo pubblico e metafisico pubblico all’Università patavina, i quali ambivano a ottenere la reggenza. Nonostante le forti pressioni esercitate da Ferkic e da Vaccari sul Senato cittadino e sui Riformatori dell’Università, lo scontro si risolse, nel giro di tre mesi, a favore del M. e di Belluti.
A Ferkic è legata una tra le più impegnative controversie sostenute dal Mastri. Nel 1639 Ferkic aveva pubblicato a Padova una raccolta di Vestigationes peripateticae, nella quale erano sostenute alcune tesi – la eduzione dal nulla (invece che dalla potenza della materia) delle forme naturali, la separabilità e incorruttibilità delle stesse, la circolazione delle anime da un corpo a un altro, ecc. – che furono confutate dal M. e da Belluto nelle Disputationes in libros De coelo et metheoris e in libros De generatione et corruptione, entrambe del 1640. Ferkic reagì con uno scritto apologetico, la Defensio vestigationum peripateticarum (Padova 1646), nel quale rispose duramente alle obiezioni dei due contraddittori. Venutone a conoscenza, il M., che si trovava a Ravenna, progettò di replicare a sua volta, in modo definitivo. I molteplici impegni gli impedirono tuttavia di stendere la risposta di suo pugno, che fu redatta, sulla base delle sue indicazioni, dal confratello Ottaviano Camerani nel 1647. Firmata da entrambi, l’opera – che contiene un prologus ricco di riferimenti autobiografici – apparve a Ferrara nel 1650 col titolo Scotus et Scotistae Bellutus et Mastrius expurgati a probrosis querelis Ferchianis.
Ottenuta l’assegnazione definitiva delle cattedre, il 1° ag. 1638 il M. e Belluti raggiunsero il convento di S. Antonio a Padova, dove rimasero tre anni dedicandosi all’insegnamento e alla disputa (il M. si scontrò con Vaccari sul problema della distinzione tra gli attributi divini) e portando avanti l’attività editoriale intrapresa. Nella primavera del 1641, il M. e Belluti lasciarono Padova. Dopo essere passati per Faenza, dove il M. presiedette il capitolo provinciale del 16-19 giugno (candidato al provincialato, mancò l’elezione per pochi voti), i due si separarono: Belluti fu richiamato in Sicilia da problemi familiari, il M. fece ritorno a Meldola.
Dopo pochi mesi il cardinale Luigi Capponi, arcivescovo di Ravenna, lo volle presso di sé come proprio teologo privato. Dal nuovo ufficio il M. trasse benefici non trascurabili. Il cardinale finanziò la pubblicazione del primo volume della Metaphysica, nel 1646; e forse provvide anche alla seconda edizione della Physica (1644) e alla stampa del secondo volume della Metaphysica (1647). Inoltre, la protezione di Capponi assicurò al M. nuove e importanti amicizie, per esempio quella con Pomponio Spreti, canonico della chiesa metropolitana di Ravenna e vicario per i territori dell’arcidiocesi posti sotto la giurisdizione ferrarese. All’incirca nella seconda metà del 1645, a seguito della rinuncia di Capponi al titolo arcivescovile, il M. tornò stabilmente a Meldola.
Nell’estate del 1646 si trovò coinvolto in una contesa che rischiò di costargli l’esilio da Meldola e da tutti i feudi degli Aldobrandini in Romagna. La genesi della vicenda si situa nel 1642, al tempo della contesa per il dominio su queste terre tra Olimpia Aldobrandini jr., legittima erede del feudo, e il cardinale Francesco Barberini. Nell’estate del 1646, il meldolese Sigismondo Lotti accusò il M. di avere parteggiato, insieme con il fratello Girolamo, per il cardinale Barberini, nel frattempo divenuto papa Urbano VIII. Benché infondata, l’accusa era grave e mosse Olimpia a chiedere al generale Giovanni Battista Berardicelli che il M. fosse allontanato dal convento. Il generale non diede seguito alla richiesta e anzi ne informò i conventuali meldolesi, i quali si adoperarono per evitare l’esilio del Mastri. La vicenda si trascinò per alcune settimane, tra le proteste del M. e nuove accuse di Lotti, ma già in ottobre, dopo un’accorata supplica che il M. rivolse direttamente a Olimpia e grazie alla intercessione del cardinale Capponi, la questione si risolse senza conseguenze per il Mastri.
Al medesimo periodo appartengono anche le controversie dottrinali con il recolletto irlandese John Ponce, con il quale la contesa aveva avuto inizio, sebbene in forme indirette, già dal 1642, quando Ponce aveva pubblicato a Roma un Integer philosophiae cursus ad mentem Scoti. In tres partes divisus, presentandolo, in aperta concorrenza con il progetto del M. e di Belluto, come un’assoluta novità. A partire da questo dato il dissenso si trasferì sul piano dottrinale: tra i punti di maggior controversia fu anche qui la questione della educibilità delle forme soprannaturali dalla materia, ammessa da Ponce e negata dal Mastri.
Nel 1647, durante il capitolo della provincia bolognese, celebrato a Faenza dal 15 al 17 settembre, il M. fu eletto ministro provinciale. Nel 1650, al termine dell’incarico, che svolse con scrupolo ma senza dover fronteggiare impegni di particolare gravità, fece ritorno a Meldola e riprese gli studi teologici: del 1655 è la pubblicazione a Venezia delle Disputationes theologicae in primum librum Sententiarum, primo volume di un corso di teologia estratto da Scoto. Alla tranquillità degli studi il M. fu nuovamente sottratto nel 1659, allorché il nuovo ministro generale dell’Ordine, Giacomo Fabretti, lo scelse come suo collaboratore. Nel tempo trascorso al fianco di Fabretti, dal 1659 al 1664, il M. si recò più volte a Roma, dove conobbe il pontefice Alessandro VII (cui dedicò il secondo volume delle Disputationes theologicae, Venetiis 1659), ma fu spesso impiegato anche in missioni diplomatiche. Nel giugno 1662 Fabretti lo nominò commissario generale dell’Italia come suo sostituto nei periodi in cui egli si fosse trovato all’estero.
Terminata la collaborazione con Fabretti sul finire del 1664 con lo scadere del mandato di quest’ultimo, il M. sfiorò l’elezione al generalato nel capitolo romano del 1665, che naufragò per il mancato accordo tra i rappresentanti di Ravenna e Faenza. Libero da incarichi e incombenze pratiche, si ritirò nel convento di S. Francesco a Meldola, dove trascorse serenamente il resto della vita. Gli ultimi suoi sforzi furono dedicati a promuovere la ristrutturazione edilizia del convento – che non fece in tempo a vedere ultimata – e alla compilazione del trattato Theologia moralis, opera che andava progettando da tempo e che apparve nel 1671 a Venezia.
Il M. morì a Meldola l’11 genn. 1673. Le sue spoglie furono tumulate, con grandi onori, nella chiesa dei minori conventuali di S. Francesco, oggi S. Andrea.
Fonti e Bibl.: L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1650, p. 50b; G.M. Garuffi, L’Italia accademica…, Parte prima, Rimini 1688, pp. 145-147; G. Franchini, Bibliosofia e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali ch’hanno scritto dopo l’anno 1585, Modena 1693, pp. 81-100; Juan de San Antonio, Bibliotheca universa Franciscana, I, Matriti 1732, p. 188a; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos, I, Romae 1908, p. 123b; E. Longpré, Mastrius de Meldola, in Dictionnaire de théologie catholique, X, Paris 1928, coll. 281 s.; P. Mastri, La tavola genealogica della famiglia «Mastri» di Meldola, Forlì 1942, ad nomen; B. Crowley, The life and works of B. M., O.F.M. Conv. (1602-1673), in Franciscan Studies, VIII (1948), pp. 97-152; L. Thorndike, A history of magic and experimental science..., VII, New York 1958, pp. 465-476; F. Costa, Il p. Bonaventura Belluto, OFM Conv. (1603-1676), in Miscellanea francescana, LXXIII (1973), pp. 81-136, 387-437; Id., Il francescano B. M. grande filosofo e teologo scotista, in S. Francesco patrono d’Italia, LIV (1974), 1, pp. 18-21; Ch. Lohr, Latin Aristotle commentaries, in Renaissance Quarterly. XXXI (1978), pp. 570-572; L. Spruit, Species intelligibilis. From perception to knowledge, II, Leiden 1995, pp. 345 s.; J. Schmutz, M. da Meldola, B., in Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, XVII, Herzberg 2000, coll. 905-909; F. Ossanna, B. M. (1602-1673) OFM conv. teologo dell’Incarnazione, Roma 2002, pp. 7-34, 43-53; M. Forlivesi, B. M. da Meldola (1602-1673) «riformatore» dell’Acc. degli Imperfetti, Meldola 2002; Id., Scotistarum princeps. B. M. (1602-1673) e il suo tempo, Padova 2002 (bibl. analitica alle pp. 451-488).