MERELLI, Bartolomeo
Nacque a Bergamo il 19 maggio 1794. I nomi dei genitori non sono noti: il padre, amministratore dei conti Moroni, gli garantì una buona educazione umanistica.
Sugli anni della giovinezza si hanno notizie dal libretto anonimo Cenni biografici di Donizetti e Mayr raccolti dalle memorie di un vecchio ottuagenario dilettante di musica…, Bergamo 1875.
Benché si parli di lui in terza persona, tutti gli storici danno per certo che dietro il «vecchio ottuagenario» del frontespizio si celi il M. stesso. Effettivamente una lunga nota biografica ricorda ai lettori che il M. era stato il fautore di «gigantesche teatrali operazioni alle quali si congiunsero tanti avvenimenti importanti e gloriosi per l’arte musicale italiana» (p. 9); sembra proprio una rivendicazione orgogliosa della propria attività impresariale e un memorandum per i posteri «qualora non bastasse loro la non lontana memoria degl’innumerevoli spettacoli che produr seppe il Merelli sulle primarie italiane ed estere scene, per cui una distinta penna italiana lo chiamò il Napoleone degli impresarii» (ibid.).
Da questo opuscolo si apprende che a Bergamo il M. studiò il cembalo «qual dilettante» alla scuola di G.S. Mayr; versato nella poesia, scriveva per il maestro libretti d’opera e di oratorio. Condiscepolo del M. era G. Donizetti (di tre anni più giovane), il quale, benché molto promettente in campo musicale, si trovava ancora indietro sul versante letterario (rimediò più tardi, quando la scuola di musica fu dotata di apposito precettore). Mayr incaricò il M. di impartire a Donizetti qualche lezione e di fornirgli testi poetici per le sue prime composizioni vocali. A parte il pasticcio I piccioli virtuosi ambulanti (per il quale Donizetti scrisse due pezzi), rappresentato nel 1819 dagli allievi nel teatrino della scuola, ben presto i due condiscepoli si misurarono con impegni di un certo rilievo: l’opera seria Enrico di Borgogna era stata rappresentata con buon esito a Venezia nel 1818 su commissione dell’impresario P. Zancla. Sempre per Zancla scrissero nello stesso anno la farsa Il ritratto parlante, della quale si perse subito ogni traccia (ne resta solo la sinfonia); quindi Le nozze in villa, rappresentata a Mantova nella stagione di carnevale 1820-21. Nel 1822 vi fu un salto di qualità con Zoraide di Granata al teatro Argentina di Roma, loro ultima collaborazione artistica.
Importante fu anche la collaborazione con N. Vaccaj, per il quale il M. scrisse quattro libretti. Don Desiderio, per F. Morlacchi (Dresda 1829), solitamente a lui attribuito, è probabilmente il rifacimento di un vecchio libretto di G. Giannetti per G. Mosca (Il disperato per eccesso di buon cuore, Napoli 1816).
L’attività poetica del M. si concluse nel 1829, praticamente in concomitanza con l’esordio nelle vesti di impresario (salvo un ritorno a Vienna nel 1851), mentre fin dal 1826 è documentato come agente di cantanti.
Questo mutamento professionale è stato messo in relazione da Monaldi, primo biografo del M., con un imbarazzante episodio in seguito al quale il M., allontanato da Bergamo, si sarebbe inserito nel mondo operistico milanese. Alcuni studiosi (cfr. Diz. enciclopedico universale della musica) hanno ritenuto la storia del tutto infondata, ma il nocciolo della vicenda è stato effettivamente documentato da Rosselli (1985). Nel 1812 il M., diciottenne, era stato accusato e arrestato per un furto ai danni della nobildonna Ludovica Cerri Farinelli. Dopo sei mesi di prigione i giudici, trovando insufficienti le prove, concessero un supplemento d’indagine che prolungò la detenzione di altri tre mesi; finalmente fu messo in libertà provvisoria sotto sorveglianza. Più che determinare il passaggio all’attività di impresario, iniziata solo molti anni dopo, la vicenda spiegherebbe piuttosto l’abbandono degli studi di diritto (ai quali, secondo la sua stessa testimonianza, era stato destinato) in favore dell’esercizio artistico, nel quale fu impegnato almeno dal 1816 nella veste di librettista.
Dal 1829 al 1850 il M. diresse pressoché ininterrottamente gli imperiali regi teatri di Milano (la Scala e la Canobbiana), inizialmente in società con A. Lanari e G. Crivelli. Con loro gestì nel 1829-31 anche la Fenice di Venezia, ma fu una convivenza difficile, soprattutto perché il M. e Lanari finivano con il farsi concorrenza come agenti. Crivelli morì improvvisamente durante le prove scaligere della Norma di V. Bellini (1831) e il M. diede prova delle sue capacità curando in prima persona l’allestimento. Intuì il genio di G. Verdi, accogliendone alla Scala le prime opere e legando il proprio nome a uno degli episodi più celebri della vita del compositore: abbattuto per la scomparsa della moglie e del figlio, scoraggiato dal fiasco di Un giorno di regno, Verdi voleva abbandonare il teatro e fu il M. a mettergli in mano il libretto di Nabucco (la versione dei fatti più verosimile sembra quella raccontata da Lessona, che l’aveva appresa dalla voce di Verdi). Per la Scala, Verdi scrisse ancora I Lombardi alla prima crociata (1844) e Giovanna d’Arco (1845), dopodiché i rapporti si guastarono: il M., forse anche per la sua parallela attività di agente, investiva sui grandi divi del canto e della danza lesinando sulla messa in scena. Non è chiaro se nei dissapori con Verdi abbia avuto parte la passata relazione del M. con Giuseppina Strepponi (poi compagna di Verdi). Più tardi anche Donizetti ebbe a lamentarsi di lui a Vienna, dove il M., in società con C. Balocchino, si era aggiudicato l’appalto del Kärntnertortheater dal 1836 al 1848.
In questa prima fase della carriera il M. fu inoltre attivo sulle piazze di Varese, Como, Cremona e Napoli (dove nel 1840 curò la prima della Saffo di G. Pacini). Con i guadagni conseguiti acquistò una villa a Lentate, nella campagna presso Milano, dove raccolse quadri e oggetti d’arte; spese molto denaro nel tentativo, rivelatosi vano, di provare illustri origini della sua famiglia, affinché il figlio Luigi potesse essere educato in un collegio di nobili. I moti del 1848-49 gli procurarono gravi danni pecuniari, oltre al sospetto di essere una spia austriaca. Negli anni Cinquanta visse prevalentemente a Vienna; persa la gestione del teatro viennese, riguadagnò quella della Scala e del Regio di Torino nel triennio 1861-63, dopodiché nuovi guai finanziari lo indussero a ritirarsi in una casetta a San Paolo d’Argon, presso Bergamo.
Il M. morì a Milano il 10 apr. 1879.
La sua morte ebbe un’appendice tragica: «suo figlio, avv. Luigi Merelli, di anni 54 si uccise pochi giorni dopo la sua morte insieme alla figlia Cristina di 31 asfissiandosi col carbone, doppio suicidio che restò avvolto dal mistero» (Monaldi, 1918, pp. 118 s.). Un Eugenio Merelli (Milano, 1825-82), documentato quale impresario a Venezia negli anni 1858-59, a Parigi e Vienna nel 1861-74 circa e a San Pietroburgo nel 1868, è dato come suo figlio dai moderni dizionari, mentre l’attendibile Schmidl chiarisce che non si tratta di un suo congiunto.
Con Lanari e D. Barbaja il M. forma la triade dei grandi impresari dell’Ottocento italiano, anche se la sua carriera è scarsamente documentata: secondo Rosselli, «della sua vasta corrispondenza pare che la maggior parte sia andata perduta» (p. 24). Sempre Rosselli sottolinea alcune peculiarità del M.: fu prima di tutto agente artistico e con gli artisti fu il primo, con Lanari, a sottoscrivere contratti in esclusiva a lunga scadenza. Questo comportava, però, dover pagare gli stipendi anche nei periodi di inattività degli artisti; perciò il M. cercava di gestire più imprese e stagioni contemporaneamente in città diverse (specialmente Milano e Vienna). Fu geniale nella scelta dei «divi»: poteva scritturare nella stessa stagione due star della danza come Fanny Cerrito e Maria Taglioni, mettendole in competizione ed esaltando l’interesse del pubblico, in un’epoca nella quale la stagione d’opera e balletto era un evento capitale nella vita cittadina. Di grande importanza per la storia della Scala fu la decisione di ampliare e migliorare l’orchestra, facendone il punto di forza del teatro. Benché tacciato spesso di disonestà, come accadeva agli impresari, sembra essere stato professionalmente corretto. La sua opera di librettista, piuttosto limitata, attende ancora una valutazione critica.
Un suo ritratto, opera di anonimo, si trova nel Museo teatrale della Scala.
Oltre ai libretti citati si ricordano: L’idolo birmano, ossia Il trionfo del bel sesso, melodramma giocoso per musica in 2 atti, Milano 1816 (P. Brambilla); Lanassa, melodramma eroico (con G. Rossi; da La veuve du Malabar di A.-M. Le Mierre), Venezia 1817 (Mayr); Il lupo d’Ostenda ossia L’innocenza salvata dalla colpa, melodramma per musica in 2 atti, ibid. 1818 (Vaccaj); Alfredo il Grande re degli Anglo-Sassoni, melodramma serio in 2 atti, Bergamo 1820 (Mayr); Pietro il Grande, dramma giocoso in 2 atti, Parma 1824 (Vaccaj); La pastorella feudataria, melodramma in 2 atti, Torino 1824 (Vaccaj); Il precipizio ossia Le fucine di Norvegia, melodramma semiserio in 2 atti, Milano 1826 (Vaccaj; musicato anche da L. Rossi con il titolo Le fucine di Bergen); Emma ossia Il protettore invisibile, Vienna 1851 (J. Benoni); la traduzione de Il ratto dal serraglio (W.A. Mozart; partitura a Milano, Biblioteca del Conservatorio G. Verdi, Noseda, I.40). Inoltre, i testi per l’oratorio Samuele (Bergamo 1821) e per la cantata Arianna e Bacco (Baccho placuisse coronam; ibid. 1817), entrambi musicati da Mayr.
Fonti e Bibl.: F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti e artisti… che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, pp. 323 s.; M. Lessona, Volere è potere, Firenze 1869, pp. 94-99; G. Monaldi, Impresari celebri del secolo XIX, Rocca San Casciano 1918, pp. 95-131; Id., B. M., in Musica d’oggi, VI (1924), pp. 232 s.; C. Gatti, Verdi, Milano 1931, I-II, pp. 139 s., 145 s., 150, 156, 158-163, 165, 168 s., 171, 175-177, 181 s., 211, 215, 219, 235, 242-244, 280-282, 370, 434; F. Abbiati, Giuseppe Verdi, I-IV, Milano 1959, ad ind.; Lettere inedite dirette a Donizetti, in Studi Donizettiani, 1972, n. 2, pp. 111-129; M. Conati, La bottega della musica. Verdi e la Fenice, Milano 1983, pp. 10, 20-22, 24, 31, 34, 54, 87, 93, 115, 139, 144; L. Pilon, Gli esordi operistici di Donizetti, in Atti del I Convegno internazionale di studi donizettiani… 1975, a cura di P. Cattaneo, Bergamo 1983, II, pp. 1045-1053; L. Kantner, Donizetti a Vienna, in G. Donizetti, a cura di G. Tintori, Milano 1983, pp. 49-52, 56; A. Weatherson, Lament for a dead nightingale: the cantata «In morte di M.F. Malibran De Bériot», in The Donizetti Society Journal, 1984, n. 5, pp. 155-168; W. Ashbrook, Donizetti. La vita, Torino 1986, pp. 12-14, 16, 18, 25, 130, 147-149, 152, 164 s., 192, 197, 241; J. Rosselli, L’impresario d’opera. Arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, Torino 1985, pp. 24 s., 30, 62 s., 75, 87, 101 s., 106, 122, 126, 134 s., 142, 146-148, 150, 164, 172, 179; J. Budden, Le opere di Verdi, I, Da Oberto a Rigoletto, Torino 1988, pp. 49, 63, 68, 73, 75, 95-98, 118, 123 s., 149, 219-221, 283 s., 570; A. Bonazzi, I riferimenti a G. Donizetti nelle lettere (in italiano) ricevute da Mayr della Biblioteca civica «Angelo Mai» di Bergamo, in Studi su G. Donizetti nel bicentenario della nascita (1797-1997), a cura di M. Eynard, Bergamo 1997, pp. 75-98; A. Rostagno, La Scala verso la moderna orchestra. Gli eventi e i motivi delle riforme da M. ad Aida, in Studi Verdiani, 2002, vol. 16, pp. 159-165; C. Schmidl, Diz. universale dei musicisti, II, p. 89; Diz. enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 49; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, pp. 199 s.
A. Rusconi