RAMBERTI, Bartolomeo
RAMBERTI, Bartolomeo. – Nacque a Venezia verso il 1503 da Andrea e da Chiara (di cui non è conservato il cognome).
La sua famiglia era originariamente istriana e teneva a Venezia due spezierie, una all’insegna del Pomo d’Oro, l’altra all’insegna del Leon d’Oro: Bartolomeo apparteneva appunto al ramo detto dal Pomodoro. Un suo consanguineo, Filippo, era stato «docente di medicina straordinaria» (Bottaro, 2010, p. 435) nello Studio Patavino nell’ultimo scorcio del XV secolo.
Ramberti ebbe come insegnanti Gabriel Trifone e Antonio Telesio (che insegnava studia humanitatis, stipendiato dal Consiglio dei dieci, dall’ottobre 1527); padroneggiò precocemente la lingua latina: accostatosi all’Accademia formata da Aldo Manuzio, fece pratica come correttore dei testi destinati a essere pubblicati dalla tipografia aldina. Quindi, fu scelto per entrare nella Cancelleria della Repubblica veneziana e prese servizio l’11 dicembre 1525 come segretario straordinario del Consiglio dei dieci.
Nel 1530, insieme con Mario Savorgnan, Ramberti ebbe l’incarico di segretario di Niccolò Tiepolo, ambasciatore presso Carlo V; rimase in servizio anche quando Tiepolo fu sostituito da Marcantonio Contarini e seguì la corte imperiale fra la Germania, l’Italia e la Francia per ventisei mesi.
Il 30 dicembre 1532 fu nominato segretario del Senato. Un anno dopo, venne incaricato di seguire Daniello Ludovisi, suo cugino, in una missione diplomatica straordinaria presso il sultano Solimano, a Costantinopoli.
Il Senato temeva che la pace con la Porta fosse in pericolo: il 1° novembre 1533, infatti, il provveditore dell’armata veneta Girolamo da Canal aveva in parte distrutto, in parte catturato una squadra turca scambiandola per una flotta dei pirati algerini. Ramberti e Ludovisi si erano messi in viaggio il 4 gennaio 1534. Percorse le coste dell’Istria e della Dalmazia fino a Dubrovnik, essi avevano raggiunto Trebinje all’inizio di febbraio; quindi, attraverso la Serbia e la Moravia, alla fine dello stesso mese erano giunti a Sofia, in Bulgaria. Superata la Macedonia, alla metà di marzo arrivarono a Costantinopoli. La missione di giustificare l’errore non fu difficile e Ramberti approfittò del viaggio per stendere una relazione, pubblicata anonima per la prima volta nel 1539, presso gli eredi di Aldo Manuzio, con il titolo Libri tre delle cose dei Turchi. Essa seguiva un altro scritto senza indicazione di responsabilità, il Commentario delle cose de Turchi, et del Sig.r Georgio Scanderbeg attribuito a lungo a Paolo Giovio, ma in realtà diverso dall’omonima opera del comasco e di cui fu autore Paolo Angelo, prete albanese con convinzioni religiose eterodosse.
Il lavoro di Ramberti ebbe un successo più che discreto: venne ristampato nel 1541 da Bernardino Bindoni e rifuso nel 1545 nei Viaggi fatti da Vinetia, alla Tana, in Persia, in India, et in Costantinopoli (Venezia, Figliuoli di Aldo, 1545).
I tre libri corrispondevano a tre diverse parti: nella prima, Ramberti ripercorre il viaggio da Venezia a Costantinopoli; la seconda tratta della corte del Sultano. Di Solimano I, al potere dal 1520, Ramberti descrisse dapprima minutamente la corte, dagli addetti ai servizi alla sua persona fino agli esponenti del vertice politico-amministrativo e militare (sangiacchi, beylerbeyi, bassà, visir). Il Serraglio delle mogli del sultano, quello dei ragazzi allevati in comunità, come pure il Serraglio dei «Giannizzerotti» (c. 21v) attirarono decisamente la sua attenzione.
Apre quindi il terzo libro con il ritratto del Sultano: «di complessione melanconica» (c. 30rv), consumatore abituale di oppio, Solimano gli appare più incline alla pace che alla guerra, piuttosto clemente, interessato alla filosofia greca e alla teologia islamica. Si adegua però in tutto – a suo giudizio – al volere del suo principale ministro, Ibrahim pascià, vivendo per lo più ritirato. Dopo cenni agli ordinamenti militari (criticati per lo scarso peso delle fanterie), Ramberti passa a illustrare «il governo nelle cose occorrenti per giornata» (c. 33v), compresa l’amministrazione della giustizia. L’opera si conclude con un ritratto di Alvise Gritti, figlio illegittimo del doge Andrea, residente a Costantinopoli: abile faccendiere, ben accetto alla Sublime Porta, Gritti gli appare – dopo Ibrahim pascià – il «secondo huomo che habbia auttoritate et grado in quell’imperio» (c. 36r).
Furono pochi i punti di contatto di questo scritto con quello presentato ufficialmente da Daniello Ludovisi il 3 giugno 1534. Al Senato, il compagno di viaggio di Ramberti espose un relazione sul modello consolidato descrivendo l’estensione dei domini del sultano, l’organizzazione delle sue forze, le sue relazioni con altri sovrani, le qualità positive o negative dei suoi ministri e limitò ad alcuni cenni la trattazione relativa alla forma del governo. Originale – e non priva di notazioni etnografiche ante litteram – la relazione di Ramberti appare anche al confronto con il Commentario delle cose dei Turchi di Giovio (Roma 1531) e con il Libro della origine de Turchi et imperio delli Ottomani di Andrea Cambini, stampato a Firenze nel 1529.
Tornato in patria, Ramberti fu spedito dal Senato al convegno di Nizza nel 1538 (fra il papa Paolo III, Carlo V e il re di Francia Francesco I) come segretario degli ambasciatori Niccolò Tiepolo e Marcantonio Cornaro. Quindi, dopo che Pietro Bembo fu creato cardinale (19 marzo 1539), Ramberti diresse la Biblioteca Nicena (primo nucleo dell’attuale Marciana). Nel 1543, poi, fu nell’ambasceria che incontrò Carlo V di passaggio in territorio veneziano. L’anno seguente si hanno notizie di una sua malattia. Concluse la carriera come residente a Milano, nel 1546.
Morì intorno al 1547 in luogo ignoto. Ebbe moglie forse del casato Martinengo, ma non figli.
Durante la sua attività di segretario, Ramberti rimase in contatto con gli amici letterati: oltre al citato Antonio Telesio, si incontrano nel suo epistolario i nomi di Lazzaro Bonamico, Pietro Aretino, Bernardino Maffei, Damian Pflug, Sperone Speroni. Alcuni corrispondenti appartenevano a quel mondo culturale fra gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento incline ad autonome esperienze religiose: Gaspare Contarini, Pietro Carnesecchi, Cosimo Gheri, il cardinale Reginald Pole e lo stesso Paolo Manuzio (che nel 1541 gli dedicò la sua edizione degli Officiorum libri tres di Cicerone). Di questi rapporti rimangono tracce nelle lettere di Ramberti (o a lui indirizzate) conservate nel ms. 71 della Biblioteca del Seminario arcivescovile di Padova, nei due volumi delle Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini (entrambi Vinezia, D. Giglio, 1558) e nelle Epistolae clarorum virorum (Venezia, P. Manuzio, 1556).
Ramberti collezionò anche iscrizioni antiche. La sua raccolta, gli Epitaphia a diversis orbis terrae regionibus Benedicti Rhamberti veneti diligentia, ac studio olim collecta, è conservata nella Biblioteca Antoniana di Padova (ms. 638); Paolo Manuzio ne fece una copia, attualmente nella Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat. 5242).
Esplicita attribuzione autoriale è indicata dalla Relazione di un viaggio da Venetia a Constantinopoli di Benedetto Ramberti fatto nel 1533 col suo cugino germano, il magnifico Daniello dei Ludovici..., conservata a Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 47.
Fonti e Bibl.: G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1764, pp. 556-573; G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, II, Milano 1852, p. 128; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori: studio bio-bibliografico, Roma 1927, pp. 101 s.; C. Göllner, Turcica, I, Die europäischen Türkendrucke des XVI. Jahrhunderts, Bucarest-Berlino 1961, pp. 309 s.; M. Sanudo, I Diarii, XL, Bologna 1969, ad ind.; LVIII, Bologna 1969, ad ind.; A. Laporta, La vita di Scanderbeg di Paolo Angelo (Venezia, 1539): un libro anonimo restituito al suo autore, Galatina 2004, p. XV; F. Bottaro, Studium Paduanum e Ducale Dominium nel lungo Quattrocento, tesi di dottorato, Università degli studi di Padova 2010, http://paduaresearch.cab. unipd.it/3557/ (2 giugno 2016); B. Jezernik, Europa selvaggia. I Balcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali, Torino 2010, ad ind.; P. Preto, Venezia e i Turchi, Roma 2013, ad indicem.