SANVITO, Bartolomeo
SANVITO (Sanvido, da San Vito), Bartolomeo. – Calligrafo tra i maggiori del Rinascimento e forse anche miniatore, nacque a Padova nel 1433 o nel 1435, da Alvise e Benvenuta, membri di una famiglia da tempo radicata in città. L’anno di nascita resta incerto poiché le attestazioni in merito sono contraddittorie. Ultimo di otto figli, il primo documento che lo registri individualmente risale al 27 marzo 1451, quando fu invano chiamato a comparire in un processo relativo ai debiti lasciati dal padre. La notizia conferma i dati emersi circa le difficoltà economiche incontrate dalla famiglia, un tempo agiata e impegnata nell’attività di prestito di denaro insieme con lo zio Bartolomeo, fratello di Alvise (Dickerson, 2009, pp. 39-41, 391 nota 1).
A Padova, la sua formazione culturale ebbe luogo a contatto con l’ambiente universitario e in contiguità con le cerchie di artisti coinvolti nella svolta antiquaria avviata da Donatello e da Andrea Mantegna (Nuvoloni, 2014, pp. 495-497). Ne fanno fede, nel primo caso, le relazioni intrecciate con alcuni aristocratici studenti del locale ateneo, come Francesco Buzzaccarini, per conto del quale il 1° giugno 1456 vergò il codice di presentazione del Carme in lode di Giovanni Marcanova (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. XII, 16 [= 4373]), e Bernardo Bembo, che nel 1458 lo scelse come padrino di un suo figlio cui diede il nome di Bartolomeo (Wardrop, 1963, pp. 29 s.; Dickerson, 2009, pp. 43 s.); nel secondo caso, l’innovativo carattere all’antica dei manoscritti allestiti da Sanvito, che presuppone lo studio dei monumenti romani e dei codici tardo-antichi e carolingi, in linea con le ricerche di Ciriaco d’Ancona, Felice Feliciano e Giovanni Marcanova e con le tendenze antiquarie sviluppate nella bottega di Francesco Squarcione (Zamponi, 2006).
La carriera di copista di Sanvito iniziò al principio degli anni Cinquanta, periodo in cui dovette prestare la sua opera anche presso librai e notai. La ricostruzione del suo catalogo è fondata su due soli codici datati e firmati, cui si aggiungono diversi altri firmati con le iniziali «B. S.», otto dei quali anche datati, tutti risalenti a una fase avanzata. Su queste basi, sono stati finora individuati centoventicinque codici interamente di sua mano e cinque o sei solo in parte (Wardrop, 1963; De la Mare - Nuvoloni 2009; per le singole opere e per il catalogo completo si rinvia a quest’ultimo fondamentale contributo, cui va aggiunto Guernelli, 2008 [2011]). In forza soprattutto dei cambiamenti della scrittura, Albinia de la Mare ha suddiviso la produzione scrittoria di Sanvito in nove fasi, evidenziandone così la costante evoluzione stilistica. I codici più antichi, come l’Epistola Sapphus (Oxford, Bodleian Library, D’Orville 166), sono vergati in littera antiqua. Parallelamente egli sviluppò una scrittura corsiva d’ispirazione antiquaria, destinata a grande fortuna. Oltre al Carme per Marcanova, tra i primi esemplari della nuova corsiva denominata ‘italica’ conta un’Epitome di Festo recante lo stemma di Bembo (Milano, Biblioteca Ambrosiana, V. 5 sup.). Già nelle prime opere il calligrafo esegue titoli e incipit in maiuscole antiquarie, ispirate alle epigrafi romane di età imperiale, e disposte in lettere o in righe di colori alternati. Si tratta di una formula forse impiegata a garanzia della sua supervisione e probabilmente indizio di un’attività condotta anche come appaltatore, se oltre una sessantina sono i codici in cui Sanvito si limita a questo tipo di intervento (Nuvoloni, 2007, p. 24).
Cruciale fu il suo contributo alla nascita e diffusione del codice rinascimentale all’antica, in particolare, agli sviluppi del frontespizio architettonico veneto, al revival dei codici in pergamena tinta, alla ripresa delle capitali epigrafiche romane e di un ampio repertorio formale classicheggiante. Intorno al 1460 si collocano importanti commissioni quali il Tito Livio con lo stemma dei Gonzaga di Mantova (Torino, Biblioteca nazionale universitaria, J.II.5) e le Vitæ Malchi et Pauli (Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. II, 39 [=2999]) destinate a Ludovico Trevisan, patriarca di Aquileia, primo di una serie di codici in pergamena tinta vergati in preziosi inchiostri metallici e decorati secondo la moda antiquaria veneta (Marcon, 1987, pp. 264-268). Fin dagli esordi, nei codici copiati da Sanvito risulta massiccio il coinvolgimento di artisti di fama come Gioacchino de Gigantibus, Franco de’ Russi, Giovanni Vendramin, Marco Zoppo e, più avanti, Niccolò Polani, Gaspare da Padova e Antonio Maria da Villafora. Alla mano dello Zoppo si deve l’illustrazione di due dei sei volumi che il copista trascrisse prima del 6 ottobre 1465 per Marco Antonio Morosini, uno dei suoi principali committenti (Barile, 2005). Tra la fine del 1464 e il 1466 Sanvito vergò anche il suo primo di libro d’ore noto (Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.P.13), decorato da inziali prismatiche il cui disegno gli è stato ipoteticamente ascritto (De la Mare - Nuvoloni, 2009, p. 168).
Dopo l’elezione di Paolo II, il veneziano Pietro Barbo, Sanvito fu a Roma dal 1464 al 1466, senza rinunciare a lunghi soggiorni padovani e forse a un viaggio a Firenze, dove potrebbe avere copiato un codice per Piero di Cosimo de’ Medici (Baltimore, Walters Art Museum, W.405), e a Mantova, cui rinvierebbe l’Ars geomantiae (Londra, Victoria and Albert Museum, L. 2464-1950) appartenuta al cardinale Francesco Gonzaga (De la Mare, 1999, p. 500; Toscano, 2006). A Padova, il 17 ottobre 1466 fu chiamato a stendere il contratto tra il pittore Pietro Calzetta e Bernardo de Lazara per la decorazione della cappella del Corpus Christi al Santo. All’atto è allegato il modello per la pala d’altare, uno schizzo a penna che riprende il disegno del Mulino delle ostie del defunto Niccolò Pizzolo, fornito da Francesco Squarcione, che risulta testimone insieme con Sanvito (Signorini, 2011). Generalmente ritenuto di mano di Sanvito, non è escluso che lo schizzo sia opera di Calzetta (De Nicolò Salmazo, 1999, p. 26), con il quale egli fu in rapporti almeno dal 1459 (Dickerson, 2009, pp. 44 s.).
Dal maggio 1469 fin verso il 1497-98 Sanvito dovette risiedere a Roma, effettuando diversi soggiorni a Padova e puntate tra Bologna e Mantova. Dall’aprile 1478 egli risulta legato al cardinale Gonzaga (Dickerson 2009, p. 49), nel cui testamento del 20 ottobre 1483 figura tra i «familiares et continui commensales» insieme con il miniatore Gaspare da Padova, mentre nella corrispondenza relativa alle pratiche per i funerali del prelato è ricordato come «sescalcho» (Chambers, 1992, pp. 136, 190 s.) Il legame con i Gonzaga trapela anche da due lettere inviate da Giovan Pietro Arrivabene al marchese Federico nell’autunno del 1478, in una delle quali il segretario del cardinale, rispondendo alla richiesta di ottenere dal copista un offiziolo, lo ricorda come «Sanvito nostro» (Chambers, 1992, p. 60 nota 78). Alla morte del prelato, tra il 1483 e il 1484, Sanvito trovò lavoro in Curia come notaio, e dal maggio 1487 all’anno seguente come «sollicitator litterarum apostolicarum» (Dickerson, 2009, p. 52). Nel frattempo, dunque, egli si era fatto chierico e, come Gaspare da Padova, era passato alle dipendenze del cardinale Raffaele Riario, della cui familia faceva sicuramente parte nell’autunno del 1489, mentre nel 1492 ne risulta camerario e maestro di casa (Sambin, 1966, p. 274; Dickerson, 2009, pp. 50-53).
L’attività dei due padovani ebbe un impatto decisivo sulla diffusione della cultura antiquaria veneta nell’Urbe. A dare la misura del successo raggiunto provvede anche il rango di clienti come Sisto IV, per il quale Sanvito aggiunse le rubriche in alcune opere trascritte da altri copisti e realizzò il De falso et bono di Bartolomeo Sacchi detto Platina, bibliotecario del papa (Edinburgo, National Library of Scotland, Adv. 18.7.16), il Plutarco per il quale risultano pagamenti complessivi il 9 gennaio 1478, e il Liber de vita Christi di Platina (Biblioteca Vaticana, Lat. 1888 e 2044). Il sodalizio professionale con Gaspare produsse capolavori della miniatura all’antica come i Commentari commissionati da Domizio Calderini per Giuliano de’ Medici nel 1474 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 53.2), il celebre Omero bilingue rimasto incompiuto alla morte del cardinale Gonzaga (Biblioteca Vaticana, Gr. 1626), il Chronicon di Eusebio per Bembo del 1488 circa (Londra, British Library, Royal 14.C.III), la cui decorazione richiama il lavoro sulle epigrafi antiche che Sanvito stava portando avanti con fra’ Giocondo, e un libro d’ore (già Firenze, collezione Ashburner) verosimilmente destinato a Ippolita Sforza e Alfonso d’Aragona, duchi di Calabria (Toscano, 1999). Principali clienti furono chierici e intellettuali gravitanti intorno alla Curia, come lo stesso Arrivabene; i mantovani Ludovico Agnelli, per il quale allestì almeno sette codici, e Ludovico Andreasi, entrambi legati al cardinale Gonzaga; il fiorentino Alessandro Cortesi, che verso il 1488-90 gli commissionò le copie di presentazione del Carmen in lode di Mattia Corvino e della Sylloge di fra’ Giocondo per Lorenzo de’ Medici (Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Guelf. 85.1.1. Aug. 2°) e (Biblioteca Vaticana, Lat. 10228), quest’ultima consegnata in ritardo se Cortesi ebbe a lamentarsi del copista, definendolo «lento e pigro» in una lettera del 5 luglio 1488 (Dickerson, 2009, p. 53). Questi furono anni di grande produttività, sebbene già nei codici copiati verso la fine del nono decennio il ductus tremolante abbia fatto ravvisare l’insorgere di quei problemi di artrite che in seguito divennero evidenti. Verso la metà dell’ultimo decennio del secolo, Sanvito cominciò ad allestire volumi apparentemente già pronti per la vendita, soprattutto opere di Cicerone. Risale a questo momento anche la produzione di codici di piccolo formato, che anticipano le edizioni tascabili dei classici promosse da Aldo Manuzio (Toniolo 2016, pp. 91-96), dalle quali Sanvito, per parte sua, desunse il nuovo sistema d’interpunzione, che impiegò a partire dal 1506 circa (De la Mare - Nuvoloni, 2009, pp. 35, 37, 320-322).
Il 4 maggio 1498 è di nuovo documentato a Padova e il mese successivo ne risulta cittadino e residente. Il 6 marzo dell’anno precedente era diventato canonico della collegiata di S. Giustina a Monselice, un beneficio ecclesiastico che per qualche tempo dovette detenere insieme al canonicato della chiesa dei Ss. Nazario e Celso a Brescia, se il 20 gennaio 1508 risulta avervi rinunciato (De Kunert, 1907, p. 1; Dickerson, 2009, pp. 55-57, 61). Fin verso il 1501 continuò comunque a trascorrere periodi operosi a Roma, come certificano i colophon di almeno otto codici. Rientrato definitivamente nella città natale, egli ricevette commissioni di libri liturgici da alcune delle maggiori istituzioni ecclesiastiche padovane, come attestano l’Epistolario-Evangelistario verosimilmente copiato per il monastero di S. Giovanni in Verdara e il Manuale della cattedrale (New York, Public Library, Spencer 7; Padova, Biblioteca Capitolare, E3), per la cui trascrizione venne pagato nel 1506. Agli ultimi anni padovani risale un Memoriale, pubblicato parzialmente e oggi disperso, nel quale, dal 22 ottobre 1506 al 16 giugno 1511, egli annotò notizie di vario genere. Ne emerge il ritratto di un uomo in contatto con artisti e intellettuali come fra’ Giocondo, con il quale continuava la collaborazione per l’allestimento della ricordata silloge epigrafica che, nelle diverse stesure, lo impegnò fino agli anni tardi. Il Memoriale rivela anche il possesso di «libretti» di versi e di opere d’arte quali «el phetonte de man de Gasparo» e due matrici di rame con parti della Colonna Traiana prestate a Giulio Campagnola (De Kunert, 1907, p. 6); quest’ultime, più tardi, furono date in prestito anche a «fra’ Bernardino da li Zocoli», insieme con «el Triompho fatto de man de Gasparo» e due opere su pergamena tinta «per principij da officiolo» del probabile Lauro Padovano (De Kunert, 1907, p. 12). Un mese dopo l’ultima annotazione, il 19 luglio del 1511, Sanvito fu sepolto nella basilica del Santo a Padova (Piovan, 1995).
Lungamente dibattuta, l’ipotesi che Sanvito sia stato attivo come miniatore è fondata su un’unica attestazione, la frase «manu sua impensaque conscripta ornataque», parte della sottoscrizione autografa apposta all’Epistolario e all’Evangelistario (Padova, Biblioteca Capitolare, E26-27) che il 21 marzo 1509 donò alla collegiata di S. Giustina a Monselice (De Kunert, 1907, p. 14). La frase, tuttavia, si presta a una duplice lettura, poiché mentre attesta inequivocabilmente che la scrittura dei due codici è opera di Sanvito, per la decorazione essa può essere letta tanto come affermazione della sua responsabilità in qualità di miniatore quanto, in alternativa, di finanziatore (De Kunert, 1907, p. 70 nota 1; Alexander, 1969, p. 107). A rincalzo della prima interpretazione sta il fatto che nel Memoriale non c’è traccia di pagamenti per la decorazione dei codici, mentre vi sono ricordate le spese per la legatura. Tale assenza, tuttavia, non esclude pagamenti precedenti la data d’inizio del Memoriale, né forme di accordi diverse dal compenso in moneta (Mariani Canova, 1998, pp. 368 s.).
Caduto il tentativo di riconoscere la mano di Sanvito nella decorazione della quasi totalità dei codici da lui copiati (Ruysschaert, 1986; Erdreich, 2009), parte della critica è incline a ritenere che il suo operato come miniatore sia identificabile nel catalogo del cosiddetto «Sanvito illuminator», attivo quasi esclusivamente in manoscritti esemplati dal copista padovano. Nelle opere dell’anonimo miniatore si coglie un linguaggio all’antica derivato da Gaspare da Padova, ma dai tratti esecutivi più deboli, come si vede nel De officiis e nelle Orationes di Cicerone realizzati per il cardinale Riario verso il 1494-95 (Londra, Victoria and Albert Museum, L. 1609-1954, e New York, Pierpont Morgan Library, 882) e nella Vita di Vittorino da Feltre (Biblioteca Vaticana, Patetta 380), datata il 12 febbraio 1501 e ultimo manoscritto sicuramente copiato a Roma da Sanvito (Alexander, 1969, pp. 107, 109; Toscano, 1999; Bentivoglio Ravasio, 2004, p. 934; Alexander, 2016, p. 283). Pur a fronte dell’omogeneità linguistica del corpus, che tuttavia non nasconde la presenza di collaboratori al suo interno, è stata da altri rimarcata la difficoltà di conciliare una carriera di miniatore che avrebbe avuto inizio solo negli avanzati anni romani con quella ben più antica di copista, ed è stata rilanciata l’ipotesi che il “Maestro di Sanvito” possa essere il «Lancilao» più volte ricordato nel Memoriale, già ritenuto possibile autore delle miniature dei codici di Monselice e verosimilmente identificabile con il «Lanzilago padoano» menzionato da Giorgio Vasari nella vita di Filippino Lippi (De Kunert, 1907, pp. 67 s., 71; Mariani Canova, 2016, pp. 299 s.) e con il «Vincilao» citato nel ricordato testamento del cardinale Gonzaga accanto a Sanvito e a Gaspare da Padova. Contro l’ipotesi che spetti a Sanvito l’illustrazione dei due codici di Monselice, in cui concordemente si riconoscono i tardi esiti del “Maestro di Sanvito”, è stato di recente rilevato come essi rivelino aggiornamenti sulla cultura protoclassicista di fine secolo tali da far ritenere che autore ne fosse un artista più giovane di Bartolomeo, i cui problemi di artrite, inoltre, difficilmente gli avrebbero permesso di realizzare miniature di compiuta qualità formale (Toniolo, 2014, p. 969).
La questione, dunque, rimane aperta, ma riguarda in particolare i limiti dell’operato di Sanvito, che giocò un innovativo ruolo di editor nella creazione di prodotti librari contraddistinti da un rapporto organico fra codice, testo e illustrazione, ma non dovette neppure disdegnare di intervenire negli aspetti della decorazione più legati al lavoro di calligrafo e indirizzare le scelte artistiche dei miniatori con cui collaborò, creando «un inconfondibile stile Sanvito» (Mariani Canova, 2016, p. 299).
Fonti e Bibl.: S. De Kunert, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del Cinquecento (1505–1511), in Bollettino del Museo Civico di Padova, X (1907), pp. 1-16, 64-73; J. Wardrop, The Script of Humanism, Oxford 1963, pp. 19-35, 50-53; P. Sambin, Briciole biografiche del Ruzante e del suo compagno d’arte Marco Aurelio Alvarotti (Menato), in Italia medioevale e umanistica, IX (1966), pp. 265-294; J.J.G. Alexander - A.C. de la Mare, The Italian Manuscripts in the Library of Major J. R. Abbey, London 1969, pp. 104-110; J. Ruysschaert, Il copista Bartolomeo San Vito, miniatore padovano a Roma dal 1469 al 1501, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, CIX (1986), pp. 37-47; S. Marcon, Umanesimo veneto e calligrafia monumentale: codici nella biblioteca di San Marco, in Lettere italiane, XXXIX (1987), pp. 252-281; D.S. Chambers, A Renaissance Cardinal and his Wordly Goods: the Will and Inventory of Francesco Gonzaga (1444-1483), London 1992, pp. 59-62, 122 s., 132-141, 190 s.; F. Piovan, La data di morte di B. S., in Italia medioevale e umanistica, XXXVIII (1995), pp. 335 s.; G. Mariani Canova, La porpora nei manoscritti rinascimentali e l’attività di B. S., in La porpora. Realtà e immaginario di un colore simbolico. Atti del Convegno di studio… Venezia 1996, a cura di O. Longo, Venezia 1998, pp. 339-371; A.C. de la Mare, B. S. da Padova, copista e miniatore, in La miniatura a Padova: dal Medioevo al Settecento (catal.), a cura di G. Baldissin Molli - G. Mariani Canova - F. Toniolo, Padova 1999, pp. 495-511; G. Toscano, Gaspare da Padova e la diffusione della miniatura “all’antica” tra Roma e Napoli, ivi, pp. 523-531; A. De Nicolò Salmazo, Presentazione, in Francesco Squarcione “pictorum gymnasiarcha singularis”. Atti delle giornate di studio… Padova 1998, a cura di A. De Nicolò Salmazo, Padova 1999, pp. 11-28: 26; A.C. de la Mare, Marginalia and glosses in the Manuscripts of Bartolomeo Sanvito of Padua, in Talking to the Text: Marginalia from Papyri to Print. Atti del Convegno… Erice 1998, a cura di V. Fera - G. Ferraù - S. Rizzo, II, Messina 2002, pp. 459-555; S. Maddalo, Sanvito e Petrarca: scrittura e immagine nel codice Bodmer, Messina 2002, pp. 85-108; P. Shaw, B. S., in Letter Arts Review, XVIII (2003), 2, pp. 40-49 e ivi, XIX (2004), 2, pp. 14-23; B. Bentivoglio-Ravasio, Sanvito (Sanvido, da San Vito), Bartolomeo, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, Milano 2004, pp. 928-936; E. Barile, Una lettera autografa di B. S. a Marco Antonio Morosini, in Arte veneta, LXII (2005), pp. 149-152; G. Toscano, B. S. e Gaspare da Padova familiares et continuii commensales di Francesco Gonzaga, in Andrea Mantegna e i Gonzaga (catal., Mantova, 2006-2007), a cura di F. Trevisani, Milano 2006, pp. 103-111; S. Zamponi, Le metamorfosi dell’antico: la tradizione antiquaria veneta, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’Umanesimo, a cura di C. Tristano - M. Calleri - L. Magionami, Spoleto 2006, pp. 37-67; L. Nuvoloni, L’ impresario del libro: i codici londinesi di Bartolomeo Sanvito, in Alumina, XVI (2007), pp. 18-25; F. Toniolo, Oro e colori sulla porpora, in Il Libro d’ore Durazzo, a cura di A. De Marchi, Modena 2008, pp. 106-111, 118-130; A. C. de la Mare - L. Nuvoloni, B. S. The Life and Work of a Renaissance Scribe, a cura di A. Hobson - C. De Hamel, London 2009; S. Dickerson, Chronology, ivi, pp. 39-62, 391-397; E. Cooper Erdreich, Sanvito as illuminator, ivi, pp. 63-86; D. Guernelli, Su un “Libro d’Ore” di B. S., in L’Archiginnasio, CIII (2008 [2011]), pp. 353-393; M. Signorini, A scripta of B. S., in Getty Research Journal, III (2011), pp. 151-162; F. Toniolo, Schede nn. 199-200, in Manoscritti miniati della Biblioteca Capitolare di Padova, a cura di Ead. - M. Minazzato, Padova 2014, pp. 961-980; L. Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito e i suoi artisti nella Padova dei primi anni sessanta del Quattrocento, in Il codice miniato in Europa, a cura di G. Mariani Canova - A. Perriccioli, Padova 2014, pp. 493-508; J.G.J Alexander, Scribes and iluminators in Italian Renaissance illuminated manuscripts, in Palaeography, manuscript illumination and humanism in Renaissance Italy. Studies in memory of A.C. de la Mare. Atti del Convegno 2011, a cura di R. Black - J. Kraye - L. Nuvoloni, London 2016, pp. 281-296; G. Mariani Canova, La dimensione accademica della miniatura del Rinascimento a Padova, ivi, pp. 297-322; F. Toniolo, L'arte del libro. Manuzio e il libro illustrato a Venezia tra Quattrocento e Cinquecento, in Aldo Manuzio. Il rinascimento a Venezia (catal.), a cura di G. Beltramini - D. Gasparotto - G. Manieri Elia, Venezia 2016, pp. 91-105.