SIGINOLFO, Bartolomeo
– La data di nascita di questo funzionario angioino, tra i più autorevoli collaboratori di Carlo I e Carlo II d’Angiò, non è nota.
La genealogistica, sulla sola base della forma cognominale, ha ipotizzato che la famiglia (a proposito della quale si veda la voce Siginolfo, Giovanni in questo Dizionario) non fosse di origine locale.
Comunque, sin dall’inizio della dominazione angioina i Siginolfo risultano radicati nella società napoletana e inseriti nell’alto funzionariato (in generale ampiamente ‘francesizzato’), come effetto del sostegno fornito alla nuova dinastia, non diversamente da altre casate (i Rufolo, i Della Marra). A questa opzione filoangioina si associò una politica matrimoniale che indusse Bartolomeo e il fratello Sergio a imparentarsi con prestigiose famiglie francesi presenti nel Regno, come i de Aunay, i de Jamville, i de Milliac, i de La Gonesse, gli Etendard; senza trascurare peraltro – a ulteriore consolidamento della propria posizione – i legami matrimoniali con esponenti della pur sempre influente nobiltà napoletana. Al di là dell’importanza del ruolo svolto dai singoli soggetti, la parabola dei Siginolfo quasi paradigmaticamente riflette le scelte di un vasto settore della élite del Regno in questi decenni.
Forse perché non primogenito, Bartolomeo aveva inizialmente intrapreso la carriera ecclesiastica: nel 1275 era canonico della cattedrale di Napoli e rettore della chiesa di S. Andrea de Apolita di Capua. Ma presto abbandonò quella strada, e nel 1279 fu insignito della militia e doveva già essere titolare di beni feudali se in tale occasione il re ordinò che ottemperasse nei suoi confronti all’obbligo della subventio. La nomenclatura che lo qualifica nei registri della Cancelleria angioina rivela la sua progressiva affermazione decollando dall’ambito dell’hospitium regio: miles, dilectus familiaris noster et fidelis, camere nostre vallectus, dilectus cambellanus noster, magister camerarius, conte di Telese.
Siginolfo partecipò con il fratello Sergio alla guerra di Sicilia; fatti ambedue prigionieri nella battaglia di Falconara (1299), furono riscattati in cambio, tra gli altri, di un’importante personalità, Giovanni Chiaromonte. La crescente, incondizionata fiducia di Carlo I e poi di Carlo II, sempre enfatizzata negli atti pubblici, si concretizzò nell’assegnazione di possedimenti cospicui.
Nel 1292 ricevette il castrum di Montorio (con i diritti sulla fiera di S. Stefano di agosto e sul mercato settimanale); nel 1293 fu investito in forma feudale di apothecae demaniali (con reddito di 20 once annue) e in proprietà ereditaria di domus della Curia con giardini e pertinenze nella platea di Forcella (Napoli). Nello stesso anno ebbe la metà del casale di Teverola (del quale già possedeva l’altra metà) e il castrum di Atina, cui l’anno successivo (1294) rinunciò a favore di Roffredo Caetani, fratello del futuro Bonifacio VIII; a prova dell’ottimo rapporto con il re, la rinunzia avvenne dietro affettuosa richiesta di quest’ultimo (così come fecero altri concessionari dei beni confiscati al proditor Rinaldo d’Aquino in Terra di Lavoro e Molise). Il flusso di donazioni e concessioni continuò da parte di Carlo II: nel 1302 ebbe la masseria di Motta di Cappella (Foggia), nel 1294 Pascarola e Melito, a compenso della rinunzia ad Atina e Teverola, nel 1302 in dono la masseria di Motta de Cappellis (nel territorio di Foggia); nel 1305, cinque delle nove quote di Telese con il casale di Pullano, e successivamente le altre quattro parti di Telese; il 27 maggio 1305 Carlo II riconobbe a Siginolfo come conte di Telese e ai suoi ufficiali la facoltà di esercitare il merum et mixtum imperium (un privilegio per il mese di maggio e per la già trascorsa parte della seconda indizione, all’epoca ancora molto raramente elargito) su Telese e Montorio e sulle altre terre in suo possesso, e il 12 febbraio 1309 come conte di Caserta sui suoi domini per un semestre (Moscati, 1934, p. 235); gli furono inoltre donati il lacus degli Astroni con tutta l’area prope thermas Puteolanas e le terre di Pimonte e Pino in territorio amalfitano con facoltà di cessione, e il diritto di esportazione (ius exiturae) per 1000 salme di frumento. Come residenza della moglie e della familia gli fu donato il castrum Avericarum in Provenza.
La larga disponibilità finanziaria consentì a Siginolfo di fornire prestiti alla famiglia regia: ad esempio, nel 1306 Caterina, principessa di Acaia, gli restituì 100 once d’oro prestatele su pegno di gioielli. L’acquisto della contea di Caserta, vendutagli per 2000 once nel 1304 da Pietro Caetani con facoltà di riscatto, diede luogo a un aspro contrasto. Due mesi dopo la vendita Caetani aveva tentato di recedere dall’atto, continuando inoltre a fregiarsi del titolo di conte di Caserta, benché Carlo II autorizzasse invece Siginolfo a utilizzarlo; il re – che sostenne sempre la causa di Siginolfo nella vertenza – diede il suo assenso nel 1306, ma solo due anni dopo ratificò finalmente l’atto con il quale Roffredo III Caetani, conte di Fondi, riconosceva la vendita, fornendo anche la quietanza del pagamento.
Negli stessi anni, il cursus honorum di Siginolfo si dipanò in una serie significativa di cariche, a Napoli e nelle province del Regno. Nel 1298 fu nominato conciergius del palatium di Belvedere; nel 1302 fu capitano dell’Aquila. Nel 1306 fu poi designato come magister camerarius (e le sue funzioni sono specificate nei Capitula dicti camerariatus officii concessa in personam domini Bartholomaei Siginulfi de Neapoli): una posizione di grande rilievo e responsabilità – e non a caso la Vita di Clemente V stesa forse da Tolomeo di Lucca parla di Siginolfo come di un «dominus in regno». Nello stesso anno s’impegnò in provvedimenti fiscali a Napoli, i cui proventi avrebbero consentito indispensabili interventi urbanistici, e insieme con il maestro razionale Giovanni Pipino e con il giureconsulto Lorenzo Acconciaioco collaborò con il re al programma di restaurazione del dominio angioino in Provenza, per essere poi procuratore regio nelle trattative con Genova. Nel 1309 fu infine giustiziere degli scolari dello Studium di Napoli. Come conte di Telese e gran camerario, Siginolfo compare tra gli esecutori testamentari di Carlo II (morto nel 1309); inoltre, alla morte del fratello Sergio (1306), subentrò nell’ufficio di grande ammiraglio che questi ricopriva, con la facoltà di nominare un luogotenente, che designò in Giovanni Siginolfo.
Ma giunto all’apice del successo, Siginolfo fu protagonista di una repentina disgrazia politica. Dai documenti della Cancelleria angioina si desume l’accusa che avesse attentato attraverso sicari (satellites) alla vita di Filippo di Taranto, figlio del sovrano; ma la già citata Vita di Clemente V (Tolomeo da Lucca, Vita..., cit., p. 35) riferisce di una «turbatio in domo Regis» provocata da una relazione adulterina che Siginolfo avrebbe intrattenuto con Ithamar, consorte di Filippo, deplorando inoltre la pubblicità che ne era stata fatta.
All’epoca dei soggiorni di Giovanni Boccaccio a Napoli l’argomento doveva ancora essere oggetto di commenti, come sembra intravedersi in controluce nella VI novella della terza giornata del Decamerone, nella quale si può ipotizzare che la vicenda venisse ironicamente manipolata invertendo le parti, attribuendo a un Siginolfo il ruolo di marito tradito. In effetti, è probabile che Siginolfo – controllando uffici di grande rilievo, disponendo di un’importante posizione economica e gestendo abilmente il suo potere politico – godesse di tale prestigio da poter essere considerato un soggetto pericoloso per la Corona, e quindi da eliminare. La storiografia recente ha tentato di approfondire la questione; in particolare Giuseppe De Blasiis a fine Ottocento propose varie interpretazioni della vicenda, tutte possibili.
Nel 1311 Siginolfo ricevette l’ordine di presentarsi, entro un anno dal bando promulgato contro di lui, ad carceres di Castel dell’Ovo per essere giudicato; i suoi beni furono devoluti ob suas culpas alla Curia regia (Camera, 1841-1860, II, p. 189). Il re fece dichiarazioni di drammatica e addolorata delusione e condanna del comportamento di Siginolfo: rievocava l’affetto con cui il conte di Telese era sempre stato trattato a corte, la generosità delle concessioni fattegli, la fiducia sempre riposta in lui e la familiarità accordatagli, tanto da averlo scelto come padrino di battesimo dei propri figli, mentre la sua risposta era stata il tradimento.
Nel tracollo politico di Siginolfo furono coinvolti anche suoi congiunti (ad esempio, il fratello Giovanni e i figli di questo) e un gruppo di nobili che avevano solidarizzato con lui in un progetto i cui contorni ci sfuggono. I suoi seguaci furono confinati ad Amalfi e poi a Sulmona, ma trattati con riguardo. Ancora nel 1313 si faceva loro divieto di entrare a Napoli.
Proscritto, Siginolfo si rifugiò in Sicilia presso Federico d’Aragona, schierandosi con lui nella lotta contro gli Angiò. Le informazioni sono tuttavia scarse; era ancora attivo nel 1328, e lasciava intendere di godere sempre di una tale influenza da poter organizzare moti antiangioini nel Mezzogiorno e reclutare truppe a sostegno di Pietro d’Aragona; ma non riuscì a realizzare questo suo ultimo tentativo di affermazione. Si ignora la data della sua morte.
Nei decenni successivi, la famiglia Siginolfo superò la crisi e riprese i suoi percorsi attraverso carriere burocratiche e militari, sia pure in posizioni meno importanti di quelle gestite in precedenza. Il percorso esistenziale di Bartolomeo Siginolfo sarebbe stato poi elaborato dalla genealogistica come un’icona simbolica della varietas fortunae: ancora nel Seicento Ferrante Della Marra (1641) considerava Bartolomeo un «esempio memorabile de’ scherzi della fortuna, e da connumerarsi tra gli huomini grandi da somma altezza caduti» (p. 385).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, C. De Lellis, Notamenta ex registris Caroli II, Roberti et Caroli ducis Calabriae, IV/II, cc. 34, 38, 199, 201, 305, 1050; S. Sicola, Repertorium quartum regis Roberti, cc. 184, 201, 213; Napoli, Biblioteca nazionale, IX C (= C. Borrelli, Adparatus historicus ad antiquos chronologos illustrandos), 14, cc. 109, 297, 709; 17, cc. 119-120, 123-124, 127, 129, 138-139, 148, 184-185, 229, 243, 258, 443; I Registri della cancelleria angioina..., a cura di R. Filangieri et al., Napoli 1950-2010, XIII (1959), p. 17, XXX (1971), pp.197-201, XXXI (1980), p. 197, XLV (2000), p. 84, XLVI (2002), pp. 23 s., XLVII (2003), pp. 228, 245, 258, XLVIII (2005), pp. 57, 68, 117, L (2010), pp. 11, 21 s., 228, 230, 260; S. Pollastri, Les Gaetani de Fondi. Recueil d’actes. 1174-1623, Roma 1998, doc. 76, p. 198, doc. 93, pp. 209-212, doc. 94, pp. 212-216, doc. 98, pp. 217 s., doc. 99, pp. 218 s., doc. 111, pp. 228 s., doc. 113, pp. 230-232, doc. 114, pp. 232-235.
Thomae Fazelli De rebus Siculis decades duae, Panormi 1560, p. 513; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese ne’ Seggi di Napoli imparentate colla Casa Della Marra, Napoli 1641, pp. 385-390; C. Tutini, Discorsi de’ sette officii overo de’ sette Grandi del Regno di Napoli. Degli ammiranti, Roma, 1666, pp. 93-100; Tolomeo da Lucca, Vita Clementis V, I, Parisiis 1693, p. 35; A. Di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori..., III, Napoli 1769, p. 129; M. Camera, Annali delle Due Sicilie..., II, Napoli 1860, p. 189; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano. Un periodo delle Istorie siciliane del secolo XIII, Palermo 1842, p. 248; G. De Blasiis, Le case dei principi angioini nella piazza di Castelnuovo, in Archivio storico per le province napoletane, XII (1887), pp. 289-435 (in partic. p. 289); Id., Racconti di storia napoletana, Napoli, 1908, pp. 144-147; A. Cutolo, Il Regno di Napoli negli ultimi anni di vita di Carlo II d’Angiò, Milano 1924, pp. 14-16 e docc. XV, XXIX, XXXVI; R. Moscati, Ricerche e documenti sulla feudalità napoletana nel periodo angioino, in Archivio storico per le province napoletane, n.s., XX (1934), pp. 224-256 (in partic. pp. 235 s.); R. Delle Donne, Alle origini della Regia Camera della Sommaria, in Rassegna storica salernitana, n.s., XV (1991), pp. 21-61; G. Vitale, Elite burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioino-aragonese, 2003, pp. 241-247; S. Morelli, Per conservare la pace. I giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò, Napoli 2012, pp. 96,107 s., 305-307; G. Vitale, Giochi di specchi, in Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento. Per il VII centenario della nascita di Giovanni Boccaccio (Napoli-Salerno 23-25 ottobre 2013), a cura di G. Alfano et al., Firenze 2014, pp. 189-200.