ZABARELLA, Bartolomeo
– Figlio di Andrea (di Bartolomeo) nacque a Padova nel 1399, in un casato, originario di Piove di Sacco, il cui profilo aristocratico si definì nel tardo Trecento sotto la Signoria carrarese perpetuandosi dopo l’avvento della dominazione veneziana con l’entrata nel ceto consiliare cittadino. Della madre, allo stato attuale delle ricerche, non si ha notizia.
Bartolomeo fu nipote prediletto nonché erede, materiale e spirituale, di Francesco Zabarella (v. la voce in questo Dizionario), docente di diritto, arciprete di Padova, vescovo di Firenze (1410-11) e cardinale dell’obbedienza pisana, del quale seguì le orme sia negli studi giuridici sia nella carriera ecclesiastica.
Zabarella rimase orfano giovanissimo. Degli interessi del pupillus si presero cura gli zii: il futuro cardinale Francesco e il campsor Giovanni. In quel torno di tempo Zabarella avrebbe avuto come precettore il futuro professore di medicina Giovanni da Sermoneta (allora studente a Padova). Più tardi, per volontà dello zio Francesco, fu affidato alle cure di Tommaso Mainardi.
Nel 1415 (27 luglio) era a Bologna, non si sa se occasionalmente o per ragioni di studio; presenziò comunque alla laurea del già citato Sermoneta. Fu tuttavia nella città natale che Zabarella portò avanti gli studi giuridici, dedicandosi, come attestato nel 1417, al diritto civile. Due anni dopo, il 17 ottobre 1419, conseguì la laurea e fu ammesso nel Collegio dei dottori; nel 1421 si laureò in diritto canonico, concludendo dunque il proprio cursus studiorum come doctor utriusque iuris.
Alla morte dello zio cardinale, avvenuta al Concilio di Costanza nel settembre del 1417, Zabarella intraprese la carriera ecclesiastica: dopo due mesi, il 23 novembre, ricevette la tonsura clericale e dopo altri due mesi, il 22 gennaio 1418, giovandosi dell’autorevole parentela e delle conseguenti attinenze, ottenne da papa Martino V la carica di protonotario apostolico. Nello stesso anno riuscì a conseguire, anche con il sostegno del Senato veneziano, una pensione di 400 fiorini sul patrimonio dell’abbazia benedettina di Praglia, beneficio già posseduto dallo zio Francesco.
Nell’arco dei tre anni successivi Zabarella conseguì non sorprendentemente una nomina per la prima prebenda vacante nel capitolo della cattedrale di Padova. Il 27 giugno 1421 si presentò in capitolo in veste, appunto, di canonico sub expectativa; si era resa vacante la prebenda del defunto Antonio Lazzara e i canonici avevano proceduto all’assegnazione di essa ad altro candidato. La decisione fu confermata nonostante le proteste di Zabarella, che tacciò di nullità la collazione effettuata dal capitolo.
Per gli anni immediatamente successivi la documentazione è lacunosa, ma sembra certo che dopo lo scontro del 1421 Zabarella (che secondo Francesco Scipione Dondi Dall’Orologio fu titolare di benefici minori a Piove di Sacco, Este e Merlara, sempre in diocesi di Padova) non abbia conseguito canonicati nel capitolo della sua città.
Parallelamente alla cura prestata nella costruzione della carriera ecclesiastica e seguendo, anche in questo, l’esempio dello zio, Zabarella fu docente nello Studio di Padova, risultando nel 1422 (forse anche nel 1424) titolare della lectura Sexti et Clementinarum. Nel 1427 proseguì le lezioni di Prosdocimo Conti sul II libro delle Decretales (come attesta il codice Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 11503), mentre, tra il 1426 e il 1428, tenne una lectura del IV libro (conservata nel cod. 72 del Collegio di Spagna di Bologna).
Nel 1425 ottenne la sua rivincita sul capitolo padovano, dopo lo smacco del 1421. Morto l’arciprete Benedetto Galli (ottobre 1425), ebbero inizio le trattative per la designazione del nuovo arciprete.
A Bartolomeo non mancavano i sostegni: a Padova gli era favorevole una parte del capitolo e a Roma Martino V in persona (così come il cardinale Gabriele Condulmer, futuro papa Eugenio IV). A Venezia doveva essere ancora viva la memoria dello zio, il cardinale Francesco, che aveva avuto un ruolo fondamentale, in senso filoveneziano, nei frangenti della dedizione di Padova a Venezia nel 1405-06.
Vinta la concorrenza di un ambizioso custode del duomo di Padova, Zilio Calorini, dottore canonista, Zabarella, sostenuto da lettere apostoliche di Martino V, si vide conferire l’arcipretura nel dicembre 1426. Egli amministrò poi il beneficio per lo più in absentia. I suoi intenti non erano infatti quelli di fermarsi all’arcipretura di Padova: neanche due anni dopo, nel gennaio 1427, egli concorse alla proba del Senato veneto per l’arcivescovado di Spalato (dal 1420 nuovamente soggetta alla Repubblica), ma Martino V, negli stessi giorni, aveva già eletto Francesco Malipiero.
L’anno successivo Malipiero fu traslato a Venezia e Zabarella – che evidentemente continuava ad avere eccellenti sostegni in Curia papale – il 13 luglio 1428 conseguì infine la sede dalmata (non granché ambita dai più esigenti cacciatori di benefici veneziani).
La consacrazione vescovile di Zabarella fu tormentata. Prima dovette ottenere una dispensa per difetto d’età (gli mancavano infatti due anni per raggiungere l’età minima di trenta) e poi venne più volte richiamato da papa Martino V affinché provvedesse alla consacrazione. Solo nel tardo 1429, dopo ripetute deroghe, egli venne finalmente ordinato vescovo (a Roma).
Preso possesso della sede, Zabarella lasciò la città dalmata, dove designò come vicario il cugino, e canonico padovano, Caluro Zabarella. Rimanendo attivo negli ambienti dello Studium, egli si trattenne a Padova, risiedendo in contrada Duomo; tant’è che nel biennio 1429-30 compare con frequenza negli Acta graduum in veste di promotore. Nel settembre del 1430 Martino V lo riprese tuttavia per la sua negligentia e gli impose di portarsi immediatamente a Roma.
Per le esigenze del soggiorno nell’Urbe (ove abitò nel palazzo già dei patriarchi di Costantinopoli) prese a prestito 400 ducati, trasmessi mediante lettera di cambio dalla filiale Alberti di Padova alla consorella filiale romana.
Dall’ottobre del 1430 prese stabilmente servizio in Curia, dove collaborò per breve tempo con Martino V e dopo la morte di quest’ultimo (1431) con Eugenio IV, che nel 1432 lo nominò referendario apostolico.
Per gli anni che seguono, non tutte le tappe della carriera di Zabarella sono probabilmente note. È certo tuttavia che Eugenio IV si servì di lui in delicate missioni. Nel 1433 fu inviato come nunzio al Concilio di Basilea, dove giunse l’8 luglio, come annotato da Juan de Segovia, per sostenere le posizioni di papa Eugenio IV contro quelle del cardinale Giuliano Cesarini. Rientrato in Italia, nel 1434 Zabarella seguì il pontefice nella sua fuga a Firenze da una Roma insorta e venne posto a capo dell’importante ufficio dell’Auditorato delle lettere contraddette. Ancora nel 1434 Zabarella fu poi inviato da Eugenio IV a Bologna, per sedare le tensioni innescate dal governatore pontificio Marco Condulmer, nipote del papa, e per alcuni mesi subentrò a costui nella carica. Dopo l’incarico bolognese, Zabarella si insediò, con la curia papale, a Firenze, in una dimora non lontana da S. Maria Novella.
Negli anni della crisi conciliare, con il trasferimento dei lavori da Basilea a Ferrara e infine a Firenze, Zabarella si vide affidare dal pontefice altre e assai rilevanti incombenze. L’8 gennaio 1438 prese parte alla prima sessione del Concilio riunitosi a Ferrara. Il 14 ottobre 1439 fu nominato – chiaro indizio della fiducia in lui riposta dal pontefice – legato pontificio nel Regno di Francia e autorizzato a disporre di tutta la liquidità necessaria alla missione. Egli doveva guadagnare al Concilio papale il re di Francia e recuperare somme spettanti alla Camera pontificia. Alla vigilia della partenza, Zabarella preparò l’orazione da pronunciare di fronte al re di Francia, l’eloquenza e la perfezione stilistica della quale vennero elogiate dal monaco umanista Girolamo Aliotti. Il 15 dicembre dello stesso 1439 Zabarella ricevette dal papa istruzioni e deleghe di poteri per trasferirsi, una volta risolta la missione francese, sempre in funzione di legato, in Inghilterra.
Non sorprende dunque che solo tre giorni dopo (18 dicembre 1439), per volontà papale, Zabarella subentrasse a Ludovico Trevisan, nominato patriarca di Aquileia, nell’arcivescovado di Firenze. Egli raggiunse così una posizione ecclesiastica ben remunerata e di straordinario prestigio, seguendo ancora una volta le orme dello zio cardinale, Francesco, che un trentennio prima l’aveva preceduto sul soglio fiorentino.
La rilevanza della sede fiorentina, elevata ad arcivescovile e metropolitica dal 1419, era per giunta accresciuta, in quell’anno, dall’apertura nella città toscana del grande Concilio ecumenico.
Allo stato attuale delle ricerche non si hanno notizie circa la sua attività pastorale nella diocesi toscana. Essa fu certo segnata da una presenza intermittente, e dalle conseguenti critiche mosse all’arcivescovo, ritenuto estraneo agli interessi cittadini, dalle magistrature fiorentine. Non a caso, nel dicembre del 1443, quando si diffuse la voce di una promozione di Zabarella al cardinalato, la Signoria scrisse al papa (come testimoniato da una lettera del manoscritto Firenze, Biblioteca nazionale, Panciatichiano, 148), chiedendo, in caso di vacanza, la nomina di un arcivescovo non forestiero.
Rientrato dalle legazioni all’estero (fu senz’altro in Francia nel 1440, ma non si hanno notizie del suo trasferimento in Inghilterra), Zabarella nel 1443 fu raggiunto a Firenze dal cugino Bartolo di Giovanni Zabarella, il quale, grazie alle sue pressioni, fu eletto all’ufficio di capitano del Popolo nel secondo semestre di quell’anno. L’ecclesiastico padovano, inoltre, portò con sé a Firenze, affidandogli la carica di camerlengo arcivescovile, il proprio giovane nipote Francesco, poi rimosso nel 1445, su sollecitazione delle magistrature fiorentine, per la sua condotta non irreprensibile.
La stima di Eugenio IV nei confronti di Zabarella si accrebbe dopo il Concilio, inducendo il pontefice ad affidare all’arcivescovo di Firenze, a quanto si evince dalla sua epigrafe sepolcrale, una nuova legazione, questa volta in Spagna. Quest’ultimo incarico, sul conto del quale, allo stato attuale delle ricerche, mancano puntuali indicazioni, dovette svolgersi fra il 1443 e il 1444. Sul finire del 1444 e per gran parte del 1445, infatti, Zabarella fu a Roma, presso la Curia. Era ad esempio nell’Urbe, il 17 luglio 1445, quando venne informato del tumulto di popolo innescato a Firenze da un suo ordine di incarcerazione ai danni di un ecclesiastico cittadino.
Nell’estate del 1445, stando ancora alla sua epigrafe sepolcrale, Bartolomeo sarebbe stato designato cardinale in pectore da Eugenio IV. Sarebbe stato, questo, il coronamento della sua carriera, ma il 1° agosto 1445, ammalatosi, Zabarella lasciò Roma e sulla via del ritorno a Firenze le sue condizioni peggiorarono al punto che il 5 agosto, nella cittadina di Sutri, egli dettò il proprio testamento.
Istituì una cappellania nella cattedrale di Padova, concedendone il giuspatronato alla famiglia Zabarella, dotandola di terreni, arricchendola con la donazione di tutte le proprie vesti e suppellettili liturgiche e affidandola al proprio cappellano personale Simone Ebreicensis. Oltre a ciò, sempre in Padova, fondò un collegio per dieci chierici, nominando questo stesso istituto quale proprio erede universale e dettandone i criteri di gestione: i chierici ammessi avrebbero dovuto avere almeno cinque anni, essere de familia sua (qualora non vi fossero stati nel parentado bambini da avviare alla carriera ecclesiastica, gli Zabarella avrebbero avuto facoltà di selezionare altri chierici) ed essere guidati da un buon maestro. Al collegio, inoltre (che non risulta poi istituito), Zabarella lasciò i libri della propria biblioteca. Per quanto riguarda la distribuzione del patrimonio, invero assai notevole, l’ecclesiastico padovano lasciò al proprio diletto nipote Francesco de Ostiariis tutti i suoi beni mobili e tutti i suoi denari, compresi quelli in banco dicti Francisci et sociorum, e altre notevoli somme ai componenti della sua familia ecclesiastica. Nel testamento si menziona anche una barcha, di proprietà di Zabarella. Esecutore testamentario fu nominato Maffeo abbas veronensis.
Pochi giorni dopo, ripreso il viaggio alla volta di Firenze, Zabarella morì lungo la strada per Siena, nei dintorni di Radicofani, il 12 agosto.
Fin dall’8 agosto la Signoria fiorentina aveva scritto al papa e a numerosi cardinali proponendo una rosa di nomi tra i quali scegliere il sostituito dell’arcivescovo, già dato per defunto. Dopo la non apprezzata esperienza di Bartolomeo Zabarella, si chiedeva esplicitamente di individuare un non forestiero, che garantisse la residenza e una più amorevole azione pastorale. In effetti Eugenio IV rifiutò poi alcuni candidati inadeguati proposti da Cosimo e scelse Antonino Pierozzi.
Zabarella fu sepolto temporaneamente presso il non lontano monastero di Abbadia San Salvatore, senza alcun onore; Aliotti nei giorni successivi (entro il 22 agosto) compose un’orazione funebre mai pronunciata (tradita da più testimoni manoscritta). Il corpo di Zabarella, più tardi, venne trasportato a Padova e sepolto in cattedrale, nella cappella della Beata Vergine, nei pressi della tomba monumentale dello zio Francesco.
Fra le relazioni letterarie di Bartolomeo Zabarella, vanno segnalati, sul fronte padovano, la corrispondenza intrattenuta con il maestro umanista Antonio Baratella e i legami con Pietro Del Monte; sul fronte fiorentino almeno il patronage nei confronti di Aliotti, che lo ricordò fin dalla lettera prefatoria alle sue Epistole, tra le quali se ne incontrano un certo numero destinate a Zabarella. A Firenze, durante il Certame coronario, Zabarella presenziò alla recita dei testi certatori. Rientra nel quadro degli interessi umanistici di Zabarella l’esecuzione di una medaglia (in piombo) che ne raffigura il busto e conservata presso il British Museum (forse coincide con quella riprodotta da Dondi Dall’Orologio, 1805).
Opere. Delle opere canonistiche di Zabarella è sinora riemersa solo la Lectura del IV libro delle Decretales. La tradizione erudita padovana lo segnala come autore di Commentaria e Repetitiones, di una raccolta di cinquantasei Consulta et allegationese di un De iure patronatus; inoltre di Orationes ed Epistolae. Dondi Dall’Orologio (ibid.) gli attribuisce in modo assai vago una relazione sulle sue legazioni: Degli affari di Francia, Spagna, Germania ed Italia.
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