AMMANNATI, Bartolommeo
Scultore ed architetto, nato nel 1511 a Settignano (Firenze) da Antonio Ammannati. Rimasto orfano di padre a dodici anni, entrò per campar la vita nella "accademia" di Baccio Bandinelli. Con questo presuntuoso maestro non rimase però molto tempo, attratto a Venezia dalla rinomanza di Iacopo Sansovino. Questi contribuì, con esempî di eleganza raffinata, allo sviluppo dell'eclettico talento dell'A. scultore. Il terzo maestro fu Michelangelo, le cui opere rappresentarono anche per l'A., come per tanti altri suoi coetanei, l'ideale della bellezza.
I primi lavori di scultura dell'A. sono oggi dispersi. I biografi ricordano alcune figure nel Duomo di Pisa, una Leda per Guidobaldo II di Urbino e tre statue che furon poi impiegate per la tomba del Sannazzaro a Napoli. In un secondo soggiorno a Venezia nel 1540 lavorò col Sansovino a ornare la Libreria, eseguendo un Nettuno e varie sculture decorative; da Venezia passò a Padova nel 1544, dove trovò un munifico protettore in Bernardo Benavides, dotto gentiluomo, che gli fece scolpire un Ercole, un Giove e un Apollo oggi nel palazzo Venezze, e nel 1546 gli fece preparare il suo mausoleo agli Eremitani, abbellito da figure allegoriche dentro un'architettura composta e severa.
Nel 1550 nuovi orizzonti si schiusero all'ingegno dell'A. In quell'anno, sposatosi con Laura Battiferri poetessa, che gli fu compagna amorevole per tutta la vita, si recò a Roma poco dopo l'elezione di Giulio III al pontificato. Alla corte papale lo introdusse il Vasari e alla fine di maggio di quell'anno gli procurò l'incarico di scolpire le statue per le sepolture di Antonio e Fabiano del Monte in S. Pietro in Montorio. Nel 1553 l'A. aveva terminato la bella figura giacente di Antonio, l'altra di Fabiano e le due statue rappresentanti la Giustizia e la Religione, con ricordi delle grazie del Sansovino e con atteggiamenti ricavati da Michelangelo. A Roma per la prima volta l'A. si cimentò in opere importanti di architettura. Lavorò insieme col Vignola e col Vasari, a partire dal 1552, alle costruzioni che Giulio III andava innalzando nella vigna sul Tevere allato alla Via Flaminia, passata in eredità al pontefice dal cardinale Antonio del Monte. L'A. dette il modello della fonte classicheggiante che fu poi incorporata nel palazzo di Pio IV e diresse la costruzione del secondo cortile nella Villa Giulia. Per il papa restaurò inoltre e abbellì il palazzo Cardelli in Campo Marzio, acquistato da Giulio III nel 1551. Nel 1555, alla morte del pontefice, Giorgio Vasari che già da un anno aveva "spedito e Montorio e la vigna" fece venire l'A. a Firenze alla corte di Cosimo I. L'artista era ormai maturo di esperienza e come architetto aveva saputo raggiungere una visione originale, partendo dagli esempî del Vignola e di Michelangelo, e si era creata una sua maniera salda e vigorosa a larghi partiti, ma con particolari gustosi e raffinati.
Il duca Cosimo lo mise dapprima a lavorare di scultura nel salone di Palazzo Vecchio a una grande fontana da collocarsi dirimpetto all'Udienza del Bandinelli. L'opera non fu terminata e il granduca Francesco se ne servì per la villa di Pratolino. Nel 1559, alla morte del Bandinelli, il nostro artista riuscì vincitore contro il Cellini, il Giambologna e Vincenzo Danti nel concorso della fontana di Piazza della Signoria, che fu inaugurata nel 1577. Il colossale Nettuno, che la sormonta, guasta l'impressione dell'insieme ed è stato la causa principale della sfortunata fama dell'A. come scultore, mentre invece i bronzi che decorano la vasca sono modellati con originale vivacità ed eleganza.
Il granduca Cosimo lo tenne in gran conto specialmente come architetto, e nel 1560 gli fece iniziare l'ingrandimento del palazzo Pitti, cui l'A. lavorò fin verso il 1577, costruendovi il magnifico cortile a tre piani di bugnato collegato agli ordini, le finestre terrene della facciata e gran parte degli appartamenti. Negli altri palazzi fiorentini di mole molto minore egli si tenne più vicino alla tradizione toscana di composta eleganza, come per es. in quello di messer Ugolino Grifoni sorto nel 1563, nel palazzo Ramirez del 1568, e nel mirabile palazzo Giugni, il più coerente nell'unione delle parti costruttive con la decorazione. Nel 1569 gettava con grande maestria attraverso l'Arno le tre arcate del ponte a Santa Trinita, uno dei più belli d'ogni epoca.
Anche da altre città veniva richiesta l'opera sua. Da Roma, dove l'A. aveva edificato anche i palazzi Negretti e Ruspoli, il cardinale Ferdinando de' Medici sollecitava fin dal 1570 i disegni per una fabbrica e, dopo l'acquisto della villa Ricci sul Pincio, si valse probabilmente dell'aiuto di lui per ingrandirla e restaurarla. Nel 1572 Gregorio XIII gli affidò la tomba del nipote Giovanni Boncompagni nel Camposanto di Pisa. Da Lucca nel '78 gli venne commessa la ricostruzione del Palazzo della Signoria, del quale egli compì la facciata minore che dà accesso al cortile degli Svizzeri ed iniziò il cortile maggiore. Gli appartengono in quella città anche i palazzi Bernardini e Orsetti. A Volterra sono opere sue il cortile della Badia dei Ss. Giusto e Clemente ed il palazzo Viti.
Nel 1582, quando Gregorio XIII volle ingrandire il Collegio Romano verso l'odierna piazza, fra i varî progetti fu scelto quello dell'A., e la nuova costruzione fu compiuta il 28 ottobre 1584. Verso quel tempo l'A. aveva cominciato a Firenze anche la chiesa di S. Giovannino. Al pari del Collegio Romano questa chiesa dimostra che la sua arte si andava accostando maggiormente alle forme michelangiolesche: a Roma gli ampî portali della facciata severa e spoglia di ornati sono imitati dalle nicchie dei fianchi di S. Pietro; a Firenze le doppie colonne entro incassature ricordano il motivo del vestibolo della Laurenziana.
Nel 1585 l'A. era di nuovo a Roma, consultato da Sisto V per l'erezione dell'obelisco vaticano e di una cappella in S. Maria Maggiore. Nel 1589, mortagli la consorte, l'artista cercò consolazione nella fede, ripudiando in una lettera le sculture di figure nude, come scandalose, e specialmente quelle ninfe e quei satiri che son le sue opere più belle; ché quando invece si mise a creare figure di astratta bellezza cadde spesso nel vago e nell'insipido. Nel 1592 la morte lo tolse all'arte e alle opere di pietà cui s'era dedicato.
Quale architetto l'A. non fu un innovatore ardito, ma merita di esser posto accanto ai più insigni maestri del periodo di transizione fra le forme del tardo Cinquecento e quelle del barocco. Le sue opere migliori sono animate da aspetti pittoreschi, da particolari pieni di fantasia e di belle invenzioni e dalla varietà dei contrasti, ma vivono soprattutto per il saldo vigore dell'insieme e per la solidità con cui sono impostate le masse.
Bibl.: B. Magni, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907 (con la bibl. precedente); A. E. Brinckmann, Die Baukunst des 17. u. 18. Jahrhunderts, Berlino 1919; id., Barockskulptur, Berlino 1922; A. Haupt, Palast-Architektur von Ober-Italien u. Toscana, Berlino 1922; L. Biagi, Di Bartolommeo Ammannati e di alcune sue opere, in L'Arte, XXVI (1923), pp. 49-66; K. Frey, Der literarische Nachlass G. Vasaris, Monaco 1923; L. Planiscig, Die Bronzeplastiken (Kunsthistorisches Museum in Wien), Vienna 1924; F. Boyer, La construction de la Ville Médicis, in Revue de l'art anc. et mod., LI (1914), pp. 3-14, 109-120.