BARUC (ebraico Bārūkh; i Settanta Βαρούχ; la Vulgata Baruch)
Compagno e segretario del profeta Geremia: a lui è anche attribuita la paternità di uno dei libri deuterocanonici della Bibbia.
Storia. - B. era figlio di Neria, e sembra che appartenesse a cospicua famiglia, giacché suo fratello Sararia era capo degli alloggiamenti del re Sedecia allorché costui si recò in Babilonia (Geremia, LI, 59; cfr. Gius. Flavio, Ant. Giud., X, 9, 1). A differenza del fratello, che solo una volta ebbe da Geremia un incarico occasionale, B. appare quale assiduo coadiutore di questo profeta nel suo periodo di massima attività, e gli è dappresso fino a quando scompare dalla storia; il contegno poi da lui tenuto nelle varie vicende occorsegli mostra che non furono motivi d'ambizione o di vantaggio personale che lo spinsero a mettersi a fianco a Geremia, bensì ragioni idealistiche e specialmente religiose. Un episodio caratteristico che offre la possibilità di farsi un concetto generico delle relazioni fra B. e Geremia, è quello narrato in Geremia, XXXVI. Della stretta collaborazione, e quasi fusione morale, di B. con Geremia ci sono state conservate altre significative prove. Il cap. XLV di Geremia (che da principio seguiva forse immediatamente il cap. XXXVI suaccennato) contiene un breve vaticinio scritto dal profeta per confortare il suo fido segretario B. in occasione delle persecuzioni da lui patite. Da esso appare che la grande missione a cui Geremia aveva consacrato sé stesso attraverso ogni sorta di sacrifici, era pienamente condivisa - quantunque in sott'ordine - dal suo zelante coadiutore. Inoltre, questa comunanza di aspirazioni tra i due doveva essere ben nota anche alla plebe: troviamo infatti che quando Geremia fu consultato dal popolo dopo la caduta di Gerusalemme, ed ebbe sconsigliato gli scampati dal recarsi in Egitto, costoro, che non amavano restare ancora nella devastata Giudea, attribuirono tendenziosamente questa risposta di Geremia al suo segretario B., quasicché costui lo istigasse e dominasse totalmente nelle sue decisioni (Ger., XLIII, 1-3). Allorché Geremia, imprigionato nell'"atrio di detenzione" durante l'assedio di Gerusalemme, compì l'azione simbolica di comperare un campo dal suo cugino Hanameel, per significare la sua fede nella rinascita della nazione dopo la catastrofe, B. fu presente e ricevette in custodia speciale dal compratore il relativo documento commerciale (Ger. XXXII, 1-15). Caduta la città in mano ai Caldei, B. dovette naturalmente seguire la sorte del suo maestro Geremia, che fu trattato con riguardo dai vincitori perché favorevole ad essi; è quindi legittimo supporre che B. lo seguisse, quando egli con la piena libertà concessagli dai Caldei si ritirò a Masfa (Ger., XL, 6; cfr. Gius. Flavio, Ant. Giud., X, 9, 1): così di fatto troviamo che, dopo l'assassinio di Godolia, B. insieme con Geremia fu costretto a seguire gli scampati che vollero recarsi in Egitto (Ger., XLIII, 1-7). Ciò è quanto si raccoglie circa B. dalle profezie di Geremia.
Secondo poi il Libro di Baruc (di cui vedi appresso) B. si recò in Babilonia, nell'anno quinto dopo la distruzione di Gerusalemme, a leggervi alla presenza degli esuli questo libro: di là poi tornò a Gerusalemme per ripetere la stessa lettura ai Giudei scampati dalla catastrofe e rimasti attorno a Gerusalemme (Baruc, I, 1-14). Nulla si sa della sua morte; secondo una tardiva tradizione rabbinica, accettata anche da S. Girolamo (In Isaiam, XXX, 6, 7), egli sarebbe morto quasi insieme con Geremia; secondo un'altra invece sarebbe rimasto in Palestina fino alla morte di Geremia, dopo la quale si sarebbe trasferito in Egitto per morirvi dodici anni dopo la caduta di Gerusalemme; una terza tradizione infine gli fa fare la stessa fine gloriosa che assegna a Geremia, in quanto che Nabuchodonosor all'epoca della sua conquista dell'Egitto (583 a. C., ovvero 568?) avrebbe trovato ivi i due esuli e li avrebbe condotti seco con ogni riguardo a Babilonia, ove sarebbero morti (Seder ‛ōlām rabbā, 26, 77; Gius. Flavio, Ant. Giud., X, 9, 7). Un manifesto anacronismo si contiene poi in una leggenda rabbinica che fa vivere B. fino ai tempi di Esdra, di cui sarebbe stato maestro.
Il Libro di Baruc. - Manca nel canone ebraico della Scrittura, ma si trova nella versione greca dei Settanta fra Geremia e Lamentazioni, e in quella latina della Vulgata dopo le Lamentazioni. È quindi uno dei libri deuterocanonici. Il testo più antico che oggi ne abbiamo è quello greco dei Settanta; da esso dipendono quello latino dell'Itala, passato nella Vulgata, perché S. Girolamo non tradusse questo libro, non avendolo trovato nel Canone ebraico, e differenziato in più recensioni (Legionense, Cavense, ecc.), e quello siriaco delle versioni Pescitta ed Esaplare. Alcuni scrittori quindi, anche recenti, hanno stimato che il testo primitivo del libro non fosse l'ebraico, bensì il greco, e di questa opinione fu forse partigiano anche S. Girolamo: "librum Baruch, qui apud Hebraeos nec legitur nec habetur, praetermisimus" (Praef. in Ier.). Tuttavia oggi si può ritenere per certa l'opinione, condivisa anche dalla massima parte degli studiosi, secondo cui il testo primitivo sarebbe stato redatto in ebraico. Ciò è dimostrato sia da espliciti richiami all'ebraico conservati nella versione siro-esaplare, sia da varianti ivi addotte e tratte da Teodozione, che non tradusse se non da originali ebraici (o aramaici), sia dai frequenti ebraismi riscontrabili nel testo greco; tali ebraismi, quantunque siano più frequenti nella prima metà del libro che nella seconda, sono sufficienti a dimostrare un prototipo ebraico totale.
Il contenuto del libro si divide agevolmente in tre parti, oltre a una breve introduzione storica. L'introduzione (I, 1-14) narra l'occasione in cui è sorto il libro, riferendo i fatti accennati qui sopra. La prima parte (I, 15-III, 8) contiene una confessione dei peccati del popolo che furono puniti con l'esilio in Babilonia, ed una preghiera alla misericordia divina: questa parte ha molti punti di contatto col Deuteronomio. La seconda parte (III, 9-IV, 4) contiene un elogio della Sapienza, identificata con la legge mosaica: in essa è notevole l'affinità con l'analogo elogio della Sapienza contenuto in Giobbe, XXVIII. La terza parte (IV, 5-V, 9) è un messaggio di consolazione e conforto agli stessi esiliati: in esso non poche immagini ed espressioni ricordano quelle degli analoghi scritti consolatorî che formano la seconda parte del libro di Isaia. Al Libro di Baruc la Vulgata unisce il breve scritto chiamato Lettera di Geremia, che ne forma il cap. VI. Ma è un'unione puramente materiale, risultata dalla disposizione consecutiva dei due scritti, del tutto indipendenti fra loro. Nei Settanta e in altre antiche versioni la Lettera di Geremia è messa subito appresso alle Lamentazioni.
Il libro di Baruc si trova usato e citato come Sacra Scrittura già dai Padri del sec. II. quali Atenagora (Legatio pro Christ., 9) e Ireneo (Adv. Haer., V, 35). Queste allegazioni divengono più frequenti nei secoli successivi, e si riscontra sia presso i Greci, sia presso i Latini il fenomeno di passi di questo libro addotti sotto il nome di Geremia: del quale fatto è spontanea spiegazione la già accennata disposizione consecutiva dei rispettivi scritti e l'intima unione in cui si presentavano alla luce storica le due figure di Geremia e del suo fido segretario. Il passo del libro che è più sfruttato dai Padri è III, 35 segg. (così già nel citato Atenagora) in cui essi videro un'adombrazione del dogma dell'incarnazione.
La questione dell'autore del libro di Baruc è disputata. Gli antichi scrittori ecclesiastici in genere accettarono semplicemente i dati offerti dai primi versetti del libro, i quali ne attribuiscono la paternità a B. nelle circostanze viste qui sopra. Ancora oggi molti studiosi, quasi esclusivamente cattolici, sostengono tale opinione, allegando, oltre alla prova dell'attribuzione fatta dal titolo, altre considerazioni di critica interna: fra queste, l'opportunità dell'argomento trattato, il colore geremiano di molte idee ed anche espressioni, ecc. Tuttavia sono più numerosi i moderni studiosi che negano poterne essere autore B. e l'attribuiscono ad epoca posteriore, pur differenziandosi molto fra loro nel giudizio circa l'origine del libro. Per costoro la testimonianza del titolo non ha valore storico, essendo un'usanza letteraria molto diffusa nel tardivo giudaismo precristiano pubblicare scritti sotto il nome di qualche celebre personaggio della storia israelitica allo scopo di conciliare più autorità e diffusione allo scritto stesso: l'apocrifa Apocalisse di Baruc, in cui il nostro personaggio parla in prima persona, ne sarebbe una riprova. Parecchi ed autorevoli studiosi di questo gruppo (Keil, Schrader, Vatke, Davidson) sostengono, secondo l'antica opinione, l'unità originaria del libro. Altri invece ritengono che esso sia sorto dalla fusione di più documenti, che secondo le varie opinioni sarebbero di diversa indole ed epoca. Per lo più viene diviso in due parti primitive, cioè I, 1-III, 8 e III, 9-V, 9; alcuni tuttavia suppongono un'altra parte a sé nella breve introduzione storica di I, 1-14, e non manca chi vede ancora un altro documento particolare nell'elogio della Sapienza di III, 9-IV, 4. Delle due metà, la prima è attribuita circa ai primi tempi dei Tolomei (Ewald, Reuss), ovvero all'epoca dei Maccabei (Fritzsche), o anche al tempo di poco posteriore alla distruzione di Gerusalemme fatta da Tito (Hitzig, Kneucker Schürer); la seconda metà è ritenuta universalmente posteriore ancora alla prima, e qualcuno la fa discendere fino ai tempi di Adriano (Marshall). Alcuni di coloro che dividono il libro in più di due parti ritengono scritto originariamente in greco almeno l'ultimo frammento.
Fra le prove addotte dagli avversarî della paternità di B. vi sono le seguenti affermazioni contenute nel libro e ritenute inesatte. In I, 7 si dice che Joakim era sacerdote a Gerusalemme, mentre a quel tempo era sommo sacerdote Jodesec che stava in esilio a Babilonia (cfr. I Cronache, VI, 15); in I, 8 si dice che sarebbero stati restituiti ai Giudei esiliati i vasi d'argento fatti dal re Sedecia e portati da Nabuchodonosor in Babilonia; in I, 11 si dice che il figlio di Nabuchodonosor si chiamava Baltassar, mentre si sa che Baltassar era figlio di Nabonide e che il figlio di Nabuchodonosor era Evil-Merodach. Inoltre si fanno rilevare le affinità che intercedono fra la confessione dei peccati in I, 15-18 e l'analogo passo di Daniele IX, 7 segg.; e ciò, dimostrando una dipendenza di B. da Daniele, lo fa scendere ad epoca molto più bassa. Al che i fautori della paternità del B. rispondono: in I, 7 Joakim è chiamato soltanto "sacerdote" e probabilmente aveva un ufficio di preminenza sopra la piccola comunità formatasi nel frattempo in Gerusalemme, mentre l'ufficiale "sommo sacerdote" Jodesec stava in esilio a Babilonia; I, 8 non contradice ad Esdra I, 7 perché quivi si allude ai vasi, specialmente d'oro, che Nabuchodonosor aveva asportati da Gerusalemme nelle sue precedenti incursioni (II [IV] Re, XXIV, 12-13; Daniele, I, 2) e che erano stati sostituiti da Sedecia con altri d'argento (i primi vasi d'oro sarebbero stati riposti da Nabuchodonosor nel tempio del suo dio e poi restituiti da Ciro secondo Esdra, I, 7, mentre gli altri d'argento sarebbero stati asportati nella distruzione finale di Gerusalemme e rimasti preda particolare e quindi riscattabile); il Baltassar di I, 11 potrebbe essere un altro figlio di Nabuchodonosor premorto al padre e quindi sostituito da Evil-Merodach, ovvero un nome differente dello stesso Evil-Merodach, o anche (correggendo i dati cronologici di B. I, 2) sarebbe lo stesso Baltassar di Daniele, V, che era figlio di Nabonide, quantunque ivi sia detto secondo la terminologia dinastica babilonese figlio di Nabuchodonosor. L'accennata affinità fra Baruc e Daniele, si spiegherebbe con la dipendenza inversa, cioè di Daniele da Baruc; o con la dipendenza dei due passi da un analogo formulario divulgato fra gli esiliati.
Bibl.: Fritzsche, Kurzgef. exeg. Handbuch zu den Apokryphen des Alt. Test., I, Lipsia 1851; Reusch, Erklärung des Buch's Baruch, Friburgo in B. 1853; Hävernich, De libro Baruch, Königsberg 1861; Zöchler, Kurzgef. Komment. IX. Apokr., Monaco 1891; Knabenbauer, Commentarius in Danielem proph., Lamentat. et B, Parigi 1891; Schneedorfer, Das Buch Jeremias... und das Buch B. erklärt, Vienna 1903; Stoderl, Zur Echtheitsfrage von B. 1-3, 8, Münster 1922.