Baseball
Il National pastime
La storia del baseball affonda le sue radici nell'antica tradizione dei giochi con bastoni e palla. Già nei geroglifici e nei papiri dell'Antico Egitto si ha traccia dell'utilizzo di mazze, clave e palle in giochi e riti praticati soprattutto durante le feste religiose e immagini simili abbondano anche nell'iconografia dei greci e dei romani. Secoli dopo, le cronache riferiscono di riti cristiani incentrati sul lanciare e rilanciare una palla, rappresentazione simbolica della grazia che dal pastore di Dio passa, attraverso i suoi ministri, al 'gregge' ritornando poi a colui che l'ha diffusa: una cerimonia di questo genere, con il vescovo che lancia la palla a un chierico il quale la getta tra la folla che, a sua volta, la rilancia al vescovo, è descritta in riferimento alla Pasqua del 1100 a Vienna.
Nel Medioevo, peraltro, si trovano già diverse testimonianze di attività con bastone e palla praticate per gioco. L'uso di un bastone era previsto in alcune versioni della soule, un passatempo molto in voga in Francia, come quella che si disputava nel piazzale antistante la cattedrale di Reims e consisteva nello spingere una palla, in genere ripiena di segatura, nel campo avversario. In Inghilterra sono testimoniati vari giochi con mazza e palla, come lo stoolball, il paddleball, il trapball, il rounders. Nello stoolball uno sgabello (stool) serviva come 'base' da raggiungere dopo aver colpito la palla con un bastone. Nel rounders erano previste quattro basi segnate sul terreno. Gli stessi giochi sono all'origine anche del cricket.
Il baseball, così come lo conosciamo oggi, nacque nelle colonie americane dallo sviluppo di rounders e cricket, importati dagli inglesi verso la metà del 18° secolo. I coloni adeguarono le regole alle loro esigenze di dinamicità e pragmatismo e crearono il nuovo gioco che assunse via via nomi diversi, come townball, Boston ball o old cat (one old cat, two old cats, three old cats, a seconda del numero di basi usate). Nel 1834 Robin Carver pubblicò a Boston The book of sports, in cui chiama base or goal ball un gioco con regole analoghe a quelle del rounders, ma la data ufficiale della nascita della disciplina è in genere indicata nel 1839 quando un cadetto dell'Accademia militare di West Point, Abner Doubleday, a Cooperstown (New York) disegnò il primo campo e stabilì le prime regole per un gioco praticato dai suoi compagni.
Nel 1845 Alexander J. Cartwright fondò il Knickerbockers Club di New York e pubblicò il primo regolamento tecnico, che è tuttora alla base dello sport. Cartwright, fra l'altro, codificò la forma a diamante del campo interno, con la distanza tra le basi fissata a 90 piedi (27,43 m), misura giudicata ideale per consentire che, su una palla battuta e raccolta da un interno e quindi tirata in prima base, l'eliminazione del corridore potesse avvenire, o non, solo per una frazione di secondo; misura tale, dunque, da indurre la difesa al massimo della rapidità e della coordinazione per effettuare eliminazioni millimetriche in prima base. Il 19 giugno 1846 fu disputato il primo incontro ufficiale, che vide il Knickerbockers Club battuto dal New York Base Ball Club.
Durante la Guerra di secessione (1861-1865) e negli anni immediatamente successivi il baseball si diffuse in tutti gli Stati dell'Unione ed ebbe un ruolo non indifferente nel ricostruire un clima di pacifica convivenza, compromesso dalla guerra. Questo è uno dei tanti motivi per cui il gioco è tanto radicato nella tradizione americana da essere comunemente definito il National pastime. L'altro suo soprannome è Grand old game.
Nel 1862 fu inaugurato il primo stadio recintato, l'Union Ground di Brooklyn (New York), e nel 1866, quando alcuni giocatori a Rockford (Illinois) ricevettero compensi per le loro prestazioni in squadra, il baseball diventò il primo sport in assoluto a essere praticato e regolamentato secondo criteri professionistici. Nel 1876 si costituì la National League of professional Base Ball players, alla quale si affiancò successivamente un'altra lega, l'American Association (che cambiò poi il nome in American League; National League e American League oggi costituiscono la Major League). La prima squadra apertamente professionistica fu quella dei Red Stockings di Cincinnati, protagonista di tournée memorabili grazie ai suoi campioni: il battitore George Wright, il lanciatore Albert Spalding (che a fine carriera fondò l'azienda destinata a divenire un vero e proprio impero nella produzione di materiale sportivo) e il ricevitore Mike 'King' Kelly, ritenuto il più veloce ' in tutta la storia del baseball. Kelly fu la prima grande stella sportiva, idolatrato dai tifosi che addirittura gli regalarono un cavallo bianco per andare allo stadio; a Broadway gli dedicarono anche una canzone Slide Kelly Slide, ancora famosa ai giorni nostri.
Inizialmente gli uomini di base giocavano fermi sulla base stessa e badavano bene a non allontanarsene neppure di un passo in modo da ricevere i tiri in base e così eliminare i corridori. Intorno al 1880, il prima base dei St. Louis Browns, Charles Comiskey, detto 'l'antico romano', durante una partita si sistemò in posizione arretrata rispetto alla base, spostato di alcuni metri verso la destra, per coprire una sezione più ampia del campo interno; quando una palla fu battuta diritta fra prima e seconda base, Comiskey la raccolse e la passò in prima base, dove nel frattempo il lanciatore era accorso a ricevere il tiro. Nacque così l'assistenza, il passaggio, principio fondante del gioco di squadra. Si trattò per il baseball di una svolta determinante: l'impresa di Comiskey, al quale è oggi intitolato un grande stadio a Chicago, è ricordata in una targa di bronzo nel Museo del baseball a Cooperstown.
Un'altra targa dello stesso museo è dedicata al lanciatore William Arthur 'Candy' Cummings, inventore della traiettoria curva. Cummings, che iniziò a giocare con lo Star Club of Brooklyn, comprendendo che il lancio di palle dritte e veloci facilitava il compito dei battitori avversari, cambiò il modo di impugnare la palla e impresse un forte movimento del polso all'atto del rilascio. Inizialmente molti non credevano nemmeno che la palla potesse curvare, ma dopo una dimostrazione eseguita di fronte a sofisticate apparecchiature di rilevamento e ai fotografi con l'ausilio di due pali (la palla passò alla destra del primo e alla sinistra del secondo), anche i più increduli dovettero ricredersi.
Un altro passo da ricordare nella strada delle innovazioni fu compiuto da Clark Griffith, al quale si deve l'invenzione dello squeeze play ("gioco spremuto", detto anche 'suicida'). Durante una partita molto incerta, alla seconda metà dell'ultima ripresa, le due compagini erano in parità e la squadra all'attacco aveva un uomo in terza base e un solo eliminato. Griffith, anziché battere nel modo a tutti noto, presentò la mazza ferma, parallela al terreno, limitandosi a incontrare il lancio e smorzandolo per terra. Prima che la difesa potesse recuperare la palla, il corridore aveva già raggiunto la base e segnato il punto della vittoria. Anche a Griffith sono stati dedicati uno stadio, a Washington, e una targa a Coopertown.
All'inizio del 20° secolo nelle quattordici squadre che facevano parte della National League e dell'American League vi erano più di 400 giocatori professionisti. Dal 1903 le squadre arrivate prime nelle due leghe presero ad affrontarsi in un torneo post-campionato: le World Series (un'analoga serie finale fra le vincitrici della National League e dell'American Association si era tenuta dal 1884 al 1891 con il nome di Championship of United States e si era poi interrotta a causa delle incomprensioni fra i rispettivi rappresentanti). L'edizione del 1903 fu disputata tra i Boston Red Sox e i Pittsburgh Pirates: i primi si imposero in otto partite per 5 a 3. All'evento parteciparono complessivamente più di 100.000 spettatori. Il pubblico che seguiva le partite di baseball era infatti numerosissimo. Allo stadio, approfittando anche dei prezzi contenuti, andavano intere famiglie. Per molti immigrati, che spesso divennero tifosi seguendo le gesta di giocatori provenienti dal loro gruppo etnico, il baseball fu il primo passo verso l'integrazione sociale. Non mancavano tuttavia i problemi: il puritanesimo di alcuni Stati, per es., ostacolò per un certo periodo gli incontri domenicali che vennero dichiarati fuorilegge al punto che alcuni giocatori colpevoli di essersi esibiti nel giorno del Signore furono tratti in arresto. Così i Pirates di Pittsburgh e i Cardinals di St. Louis furono costretti a organizzare un treno speciale per andare a giocare nella libera Pennsylvania.
Nel 1910 il presidente degli Stati Uniti William Howard Taft, ex giocatore semiprofessionista e tifoso dichiarato dei Cincinnati Reds, inaugurò la stagione del baseball, lanciando la prima palla nell'incontro fra i Washington Senators e i Philadelphia Atletics. Fu l'inizio di una tradizione che tutti i successivi presidenti, salvo Jimmy Carter, hanno rispettato per almeno una volta nel loro mandato.
Durante la Prima guerra mondiale molti campioni partirono volontari per il fronte, ma nel complesso le stagioni vennero giocate regolarmente. Nel 1919 un grosso scandalo coinvolse otto giocatori dei Chicago White Sox, accusati di aver venduto la vittoria in World Series ai Cincinnati Red Stocking e per questo radiati. In realtà il caso, a cui si è ispirato il celebre film The field of dreams (L'uomo dei sogni, 1989) con Kevin Kostner, non fu mai chiarito.
Negli anni del primo dopoguerra si impose un giocatore rimasto poi leggendario: George Herman 'Babe' Ruth. La sua è una storia da film e, infatti, è stata raccontata in diverse pellicole di successo: cresciuto in un istituto per bambini poveri di Baltimora, diventò l'uomo più popolare e più ricco d'America, guadagnando più del presidente degli Stati Uniti. Sregolato nella vita privata, quando scendeva in campo non conosceva rivali, soprattutto nella battuta, e scatenava l'entusiasmo della folla con i suoi lunghissimi fuoricampo. Contribuì non poco alla leggenda della sua squadra, i New York Yankees, che portò alla vittoria in World Series per sei volte tra il 1919 e il 1934. Quando morì, il 16 agosto 1948, il presidente Truman interruppe la seduta al Senato per commemorarlo personalmente alla radio.
Compagno di squadra di Ruth negli Yankees dal 1925 era Lou Gehrig, il 'cavallo d'acciaio', figlio di immigrati tedeschi. Giocò 2130 partite di lega consecutive, record superato solo nel 1998 da Carl Ripken che interruppe la sua serie a 2632 incontri con i Baltimore Orioles. Gehrig si ritirò dal gioco nel 1939, minato da un male rarissimo ‒ la sclerosi laterale amiotrofica, poi ribattezzata con il suo nome ‒ a causa del quale morì due anni dopo. La sua vicenda fu riproposta nel film The pride of the Yankees (L'idolo delle folle, 1942), interpretato da Gary Cooper.
Nel 1933 al Comiskey Park di Chicago si disputò la prima All Star Game, confronto tra le stelle delle due leghe divenuto subito un evento centrale della stagione e da quell'anno rinviato solo una volta, nel 1945 a causa della guerra.
Nel 1935 il baseball ancora una volta tracciò il cammino agli altri sport quando venne disputato il primo incontro in notturna: le 632 lampade del Crossley Field di Cincinnati si accesero, comandate dalla Casa Bianca dal presidente Franklin Delano Roosevelt, ed ebbe inizio la partita tra i Cincinnati Reds e i Phillies di Filadelfia alla presenza di 20.422 spettatori.
Terminata la Seconda guerra mondiale (nel 1943 si organizzò anche un campionato femminile, cui arrise per qualche anno una certa fortuna), l'Old game riprese con tutto il suo vigore. Nell'ottobre del 1947, con le World Series tra i New York Yankees e i Brooklyn Dodgers, iniziarono le trasmissioni televisive. Giocatore di punta degli Yankees era Joe Di Maggio: di origine italiana, notissimo anche come marito di Marilyn Monroe, Di Maggio, che riuscì a ottenere almeno una battuta valida in 56 partite consecutive, ha al suo attivo la vittoria di nove World Series.
Sempre nel 1947 fu ammesso in una squadra professionistica, i Los Angeles Dodgers, il primo giocatore di colore: Jackie Robinson. Il baseball, infatti, era popolarissimo anche tra la popolazione afroamericana, ma i neri potevano esibirsi solo nelle Negro Leagues ed era loro vietato utilizzare gli stessi impianti dei bianchi. Robinson fu scelto non solo per le sue indiscutibili doti atletiche, ma soprattutto per il suo carattere d'acciaio e la sua forza di volontà che gli permisero di superare, senza mai reagire, l'iniziale ostilità di avversari e pubblico contrapponendo agli insulti la sua classe indiscutibile finché il suo valore non venne riconosciuto. Robinson aprì la strada ad altri atleti neri, come Roy Campanella, Monte Irvin, Don Newcombe, Willie Mays e Hank Aaron.
Un altro grande campione del dopoguerra fu Ted Williams, protagonista di una lunga carriera nei Boston Red Sox, interrotta soltanto per i cinque anni di servizio militare durante la Seconda guerra mondiale e la Guerra di Corea.
Nel 1961 Roger Maris, anch'egli degli Yankees, infranse uno dei grandi record di Babe Ruth, battendo 61 fuoricampo in una sola stagione, al culmine di un duello quasi quotidiano che lo vide opposto al suo compagno di squadra Mickey Mantle. Quando Maris riuscì nell'impresa tutte le stazioni radio e TV interruppero i programmi e perfino le hostess sugli aerei in volo misero mano al microfono per darne l'annuncio. Il record ha resistito a lungo ed è stato battuto solo nel 1998 da due giocatori: Sammy Sosa dei Chicago Cubs (66 fuoricampo) e Mark McGwire dei St. Louis Cardinals (70); nel 2002 è stato nuovamente superato con i 73 fuoricampo di Barry Bonds dei San Francisco Giants. Nell'aprile del 1974 un altro primato di Ruth cadde quando Hank Aaron, degli Atlanta Braves, raggiunse il numero totale di 714 fuoricampo in carriera.
Un record che oggi le squadre mirano costantemente a migliorare è quello del maggior numero di spettatori, detenuto dai Rockies del Colorado che nel 1993, anno del loro debutto nella National League, hanno registrato 4.463.360 spettatori stagionali. Nel 2001 le due Leghe professionistiche americane hanno realizzato 72.581.101 spettatori paganti, cifra tanto più significativa se si considera che tutte le partite sono trasmesse in diretta da più emittenti radio e televisive. La frequentazione degli stadi è favorita dalle condizioni di sicurezza e comfort che le società si impegnano ad assicurare ai tifosi, anche quando gli impianti si trovano in zone potenzialmente a rischio. Basti pensare che gli Yankees hanno la loro 'casa', il celeberrimo Yankee Stadium, nel Bronx, uno dei quartieri più pericolosi di New York. Sempre nell'ambito della lotta agli epsiodi di violenza è da segnalare la possibilità per gli arbitri di espellere, per mezzo dei sorveglianti, i tifosi troppo esuberanti, fastidiosi o maleducati.
Termometro dell'interesse del pubblico è il lievitare dei compensi ai giocatori: il salario medio dei giocatori di Major League, che nel 1972 ammontava a 34.092 dollari, era già salito a 1.118.679 dollari nel 1994, quando i giocatori scioperarono per 232 giorni, provocando l'interruzione della stagione. Da allora è più che raddoppiato (2.382.235 dollari nel 2002).
Nelle World Series del 1997 si imposero i Miami Marlins battendo (4 vittorie a 3) gli Indians di Cleveland: una vittoria particolarmente significativa perché è stata la prima in assoluto per la città di Miami (che si ripeterà nel 2003) e perché ottenuta da una squadra con diversi giocatori latinoamericani, come il cubano Livan Hernandez (fuggito l'anno prima da Cuba), il colombiano Renteira, i dominicani Alou, Heredia e Alfonseca. Infatti un nuovo fenomeno, conseguenza della sempre maggiore diffusione del baseball nel mondo, deve essere registrato: la dimensione sempre più internazionale che il National pastime ormai ha assunto. Nella stagione 2003 la percentuale dei giocatori della Major League nati fuori dagli Stati Uniti è stata del 28%. Su 812 giocatori 79 provenivano dalla Repubblica Dominicana, 38 da Portorico, 37 dal Venezuela, 17 dal Messico, 11 dal Giappone, 10 dal Canada e da Cuba, 7 da Panama, 6 dalla Corea del Sud, 3 dall'Australia e dalla Colombia, 2 da Aruba, Antille Olandesi e Nicaragua, uno da Germania, Gran Bretagna e Vietnam.
Il baseball fece la sua prima comparsa in Italia a Torino, nella primavera del 1919, per iniziativa di Mario Ottino, ribattezzato dagli amici Max Ott, il quale nella zona di Valsalice insegnò agli amici le regole che aveva appreso negli Stati Uniti. Il gioco venne praticato anche a Roma all'Accademia di educazione fisica, ma si diffuse solo dopo la Seconda guerra mondiale al seguito degli americani. Inizialmente ci fu una certo contrasto fra coloro che volevano praticare il baseball e quelli che avrebbero preferito il softball (disciplina che più avanti, nel nostro paese, sarà esclusivamente femminile, con campo ridotto, pallina più grande e lancio sottomano). Ancora una volta fu determinante l'opera di Max Ott che convinse tutti delle maggiori possibilità offerte dal baseball: il 12 marzo 1948 si tenne a Milano una riunione nel corso della quale le varie società decisero di preferire il baseball firmando quella che venne definita la 'Magna Charta', ovvero un programma operativo comune per gli anni seguenti.
Il 27 giugno 1948, di fronte a 2000 spettatori, si giocò la prima partita ufficiale allo stadio Giuriati di Milano. Alla realizzazione di questo primo appuntamento collaborò in maniera determinante La Gazzetta dello Sport nella persona del caporedattore Franco Imbastaro, che si preoccupò di far stampare numerose locandine, affisse in tutta la città dagli stessi giocatori. Si affrontarono due compagini milanesi: il Milano BC e gli Yankees. L'incontro terminò con un punteggio del tutto insolito, in parità (21 a 21), perché la gara venne interrotta dopo le 18 per oscurità.
Nel 1948 si disputò anche il primo campionato, vinto dalla Libertas Bologna. L'anno successivo l'attività venne divisa in due settori: al Nord quello della Lega italiana baseball, presieduta da Max Ott, al Sud quello della Federazione italiana palla a base, presieduta da Steno Borghese. I due organismi, in rivalità tra loro, tennero i congressi a Bologna in due palazzi diversi. Dopo un fitto scambio di messaggi, i rispettivi rappresentanti decisero di vedersi, ma nessuno dei due schieramenti volle andare dall'altro. Così il primo incontro avvenne per strada, sotto i portici. Poi si decise di proseguire la riunione in una terza sede e dopo un lungo e accesissimo dibattito, grazie alla mediazione di Bruno Beneck (il primo regista della Domenica Sportiva), i due organismi si fusero creando l'attuale Federazione, sotto la presidenza di Borghese. Nel 1953 arrivò il riconoscimento ufficiale da parte del CONI.
Nel campionato di serie A, la prima squadra a mettersi in luce fu il Nettuno (arrivata nel 1965 al suo decimo scudetto), seguita negli anni Sessanta dall'Europhon di Milano. Il giocatore più significativo di quegli anni fu Giulio Glorioso, lanciatore, che alla velocità abbinava tecnica e controllo, ottenendo ottimi risultati anche come battitore. La sua abilità suscitò anche l'interesse dei Reds di Cincinnati, ma Glorioso preferì rimanere in Italia. Altro protagonista fu Gigi Cameroni, tra i pionieri del gioco a Milano, ricevitore della Europhon e della nazionale. Nel decennio successivo si segnalò la Fortitudo Bologna, mentre cominciavano a emergere il Parma e il Rimini. Nel Parma il protagonista fu Giorgio Castelli, ritenuto in assoluto il giocatore più forte nella storia del baseball italiano, richiesto più volte anche dai professionisti americani. Verso la fine degli anni Ottanta brillò il Grosseto che si assicurò lo scudetto nel 1986 e nel 1989. Negli anni Novanta tornò alla ribalta il Nettuno che, grazie al suo inesauribile vivaio, vinse nuovamente il campionato 1990 e 1993.
A partire dal 1986 lo scudetto viene aggiudicato con un play off e una finale al meglio delle sette partite, un appuntamento che, dal 1998 al 2002, ha visto di fronte sempre il Nettuno (che si è confermata come squadra più titolata in assoluto con 17 scudetti) e il Rimini. Nel 2003 la Fortitudo di Bologna ha spezzato questa egemonia conquistando il tricolore nella finale contro il Modena.
La Nazionale azzurra. - L'attività della nazionale italiana iniziò domenica 31 agosto 1952, allo Stadio Torino (oggi Flaminio) di Roma, quando di fronte a oltre 15.000 spettatori si giocò l'amichevole Italia-Spagna, finita 7-3 a favore degli ospiti. La prima palla fu lanciata da Gregory Peck. La prima vittoria italiana si registrò l'anno seguente, il 6 settembre, a Milano, dove gli azzurri superarono la Spagna ugualmente con il punteggio 7-3. Inizialmente la selezione nazionale si misurò soprattutto in ambito europeo e nel 1954 vinse la prima edizione del campionato continentale disputata ad Anversa, in Belgio. A livello europeo gli azzurri sono poi sempre rimasti nelle posizioni di vertice, contrastando la supremazia all'Olanda, tradizionale avversaria di tante sfide.
Nel 1969 alla presidenza della FederBaseball a Giuseppe Ghillini subentrò Bruno Beneck, al quale si deve una serie di iniziative promozionali a favore della diffusione dello sport, dalla costruzione di stadi illuminati al gioco spettacolo, all'utilizzazione di giocatori oriundi (italoamericani con doppio passaporto) anche in nazionale. Nello stesso periodo, a Varsavia, Beneck cominciò a proporre l'inserimento del baseball nelle Olimpiadi, scopo che avrebbe raggiunto nel 1984. Intanto nel 1970, in occasione delle Universiadi di Torino, fu organizzato un torneo dimostrativo e sempre in quell'anno, in novembre, l'Italia partecipò al suo primo Campionato Mondiale (la 19a edizione, giocata in Colombia), piazzandosi al decimo posto.
Nel 1973 il baseball italiano entrò nel grande giro agonistico mondiale segnalandosi per le sue capacità organizzative. A Bologna e Parma si disputò la prima Coppa Intercontinentale, competizione inventata da Aldo Notari, allora presidente della Germal Parma, dominatrice della Coppa Campioni con 11 successi. Nel 1985 Notari fu eletto presidente della Federazione italiana e nel 1993 presidente dell'IBAF (International baseball association), la Federazione mondiale che attualmente riunisce 112 paesi con circa 60 milioni di praticanti.
Nel 1994 gli azzurri conquistarono il risultato più prestigioso della loro storia, meritando l'accesso alle fasi finali dei Campionati Mondiali, giocati in Nicaragua. In quell'occasione, il ricevitore italiano Gigi Carrozza fu eletto miglior giocatore nel suo ruolo. Nel 1995 la nazionale conquistò la qualificazione per i Giochi di Atlanta, dove gli azzurri arrivarono quinti dopo essere rimasti in lotta, fino all'ultima partita, per la qualificazione alle finali. La squadra, condotta da Silvano Ambrosioni, dette il meglio soprattutto in attacco dove Carrozza conquistò il titolo di miglior difensore. Protagonista della spedizione azzurra fu Roberto Cabalisti che, con due vittorie e il maggior numero di fuoricampo del torneo, fece da traino a tutta la squadra. Si distinse anche il giovane Claudio Liverziani, subito nell'occhio dei talent scout professionistici che, nel giro di un mese, gli offrirono diverse possibilità d'ingaggio. Scartata l'offerta dei Los Angeles Dodgers, Liverziani militò per alcune stagioni nei Seattle Mariners prima di tornare in Italia. Nel 1998 un altro giovane azzurro, Andrea Castrì, fu ingaggiato dalla squadra più famosa del mondo: i New York Yankees. Tuttavia, dopo aver giocato nelle squadre satelliti della formazione newyorkese, è tornato in Italia senza essere riuscito a debuttare in prima squadra.
Sempre nel 1998, il baseball italiano ha festeggiato i suoi 50 anni organizzando il Campionato Mondiale, che, grazie alla decisione della Federazione internazionale di ammettere la partecipazione di giocatori professionisti, ha rappresentato l'inizio della nuova era del baseball internazionale.
Il quadro attuale. - Tutta l'attività di baseball e softball in Italia è organizzata, strutturata e controllata dalla FIBS (Federazione italiana baseball e softball). Il baseball è articolato a vari livelli con diversi campionati (serie A/1, A/2, B, C/1, C/2, quindi i campionati giovanili con categorie juniores, cadetti e ragazzi). I club di vertice hanno anche un'attività internazionale con la disputa delle coppe europee (Coppa dei Campioni per i vincitori della stagione precedente, Coppa delle Coppe e Coppa CEB).
Al torneo di vertice (la serie A/1), che si gioca ininterrottamente dal 1948, partecipano dieci squadre, dislocate lungo tutto il territorio nazionale e di proprietà di club privati che si gestiscono autonomamente. Ogni settimana vengono disputate tre partite. Le prime quattro squadre classificate della regular season accedono ai play off (semifinali a eliminazione diretta e finali al meglio di sette partite), la prima contro la quarta e la seconda contro la terza. La prima classificata vince il titolo italiano. Le ultime due della regular season retrocedono in serie A/2. In ogni squadra di serie A/1 possono giocare due giocatori stranieri: un lanciatore che può salire in pedana nella partita del venerdì sera e un altro giocatore (non ricevitore) che può giocare in tutte e tre le partite. Nella serie A/1 il livello tecnico è paragonabile a quello delle leghe di 'singolo e doppio A' statunitense (i campionati di preparazione alle Major Leagues). Molti dei giocatori americani che vi partecipano hanno esperienza nella Major League.
Uno dei punti di forza del baseball italiano riguarda proprio gli impianti: sono 582, dei quali 52 illuminati. Ma quel che più conta è che 340 sono totalmente adibiti al baseball o al softball, rappresentando un patrimonio sportivo con ben pochi riscontri in altre discipline. La capienza va dai 1000 ai 7000 spettatori. Le dimensioni minime imposte dalla Federazione sono 98-122-98 m.
Sebbene partite dimostrative di baseball fossero inserite nel programma delle Olimpiadi di St. Louis del 1904 e di Stoccolma del 1912, nei primi decenni del 20° secolo la mancanza di un'organizzazione internazionale costituì un grosso ostacolo allo sviluppo di attività agonistiche al di fuori dei confini nazionali. L'esigenza di una struttura di coordinamento fu evidenziata da Leslie Mann, un ex giocatore professionista statunitense, fondatore nel 1931 del National baseball congress (NBC), al quale aderì un importante dirigente sportivo internazionale, Avery Brundage (che sarebbe poi stato presidente del CIO dal 1952 al 1972). La NBC iniziò a lavorare per far riconoscere il baseball come sport olimpico.
Nel 1935 Takiso Matsumoto, professore nell'Università di Meiji, invitò a giocare in Giappone una squadra americana, selezionata da un'apposita commissione formata da Leslie Mann, Avery Brundage, Lyman Bingham e dal giudice Mederick Horfman. L'evento ebbe grandissima risonanza: per la prima volta in assoluto una partita fu trasmessa in diretta dalla radio da un continente all'altro. La serie fu vinta dagli Stati Uniti, ma quel che più importa è che in quell'occasione si cominciò a parlare concretamente di costituire un organismo internazionale che avesse come obiettivo l'ammissione ufficiale del baseball alle Olimpiadi.
In preparazione dei Giochi del 1936 a Berlino, cui nuovamente il baseball partecipò come sport dimostrativo, furono contattati tutti i paesi in cui la disciplina veniva praticata, coinvolgendone 35. Molti si dissero disposti a inviare una loro rappresentativa ma al dunque furono due squadre americane a confrontarsi in un incontro, allo Stadio Olimpico di Berlino, cui assistettero 125.000 spettatori (record assoluto di ogni tempo per una partita di baseball). Tale successo convinse ancor di più i dirigenti dell'epoca dell'opportunità di promuovere una grande competizione internazionale, che servisse da strumento di sviluppo e diffusione del baseball anche a livello nazionale. Soprattutto Leslie Mann e John Moores, fondatore e presidente della Federazione britannica, si adoperarono in tal senso.
Così nell'agosto del 1938 si disputò a Londra il primo Campionato del Mondo, che in realtà vide la partecipazione di due sole squadre: Stati Uniti e Gran Bretagna. Quest'ultima, che schierò una formazione composta in gran parte da professionisti canadesi che avevano fatto parte della lega inglese, vinse quattro partite su cinque. Per consolidare e promuovere l'iniziativa di competizioni internazionali, venne fondata la IBF (International baseball federation) con Leslie Mann come segretario-tesoriere.
La seconda edizione del Mondiale si tenne nell'agosto dell'anno successivo a Cuba e vide una grandissima partecipazione di pubblico: oltre 50.000 spettatori festeggiarono a L'Avana la prima di una lunga serie di vittorie della squadra cubana, che si impose su Nicaragua e Stati Uniti. Anche le quattro edizioni successive ebbero sede a L'Avana. Nel 1940, nonostante la Seconda guerra mondiale, parteciparono sette squadre, fra cui quella delle Hawaii; vinse ancora Cuba, davanti a Nicaragua e Stati Uniti. In occasione del Mondiale il colonnello cubano Jaime Mariné fu eletto primo presidente della IBF.
Nel 1941 il Venezuela riuscì a sovvertire tutti i pronostici costringendo alla bella e poi battendo per 3-1 la squadra cubana, che pure era condotta da un manager di grande talento, Joaquin Viego. Il cubano Guillermo Prieto ebbe il titolo di miglior battitore con la media di 545 (12 battute valide in 22 turni), la più alta ottenuta in questi primi anni della competizione.
La quinta edizione, vinta di nuovo da Cuba, fece registrare il primo problema politico: durante una partita tra USA e Repubblica Dominicana una palla fu tirata intenzionalmente contro la panchina dei giocatori statunitensi, che la rilanciarono immediatamente, colpendo alla spalla un giocatore avversario. La folla sugli spalti iniziò a tirare oggetti in campo e polizia e marines dovettero intervenire per calmarla. Il presidente dominicano Rafael Trujillo ordinò il ritiro della sua squadra, ma il comitato organizzatore riuscì a far rientrare questa decisione. Gli Stati Uniti invece abbandonarono il torneo, perdendo per forfait quattro partite, e la questione non finì lì: non parteciparono né all'edizione dell'anno seguente (in cui Cuba conquistò il suo quarto titolo) né a quelle successive, rimanendo fuori dal Mondiale per 26 anni.
La settima edizione (1944) si giocò a Caracas. Per la prima volta furono organizzate due fasi: per la seconda si qualificarono Messico, Panama, Venezuela e Cuba, dopo aver battuto la Repubblica Dominicana nella bella per il quarto posto; il Venezuela ebbe la meglio sul Messico in una finale ricca, ancora una volta, di contestazioni. Durante il campionato si tenne il congresso della Federazione, che fu ribattezzata Federación internacional de béisbol amateur (FIBA). L'anno successivo, ancora a Caracas, il Venezuela si impose con dieci vittorie, senza subire alcuna sconfitta.
Nel 1946 la FIBA contava dodici paesi affiliati, nove dell'area caraibica più Colombia, Venezuela e Panama. In quell'anno non si tenne il Mondiale ma a Barranquilla, in Colombia, si disputarono i quinti Giochi Centroamericani e del Caribe. Nel 1947 il Mondiale si svolse a Cartagena, in Colombia: nel nuovo stadio 11 de Noviembre si imposero i padroni di casa, guidati da Pelayo Chacón. La capitale del Nicaragua, Managua, ospitò la decima e l'undicesima edizione. Nel 1948 Portorico e Repubblica Dominicana chiusero alla pari con sei vittorie a testa e i dominicani prevalsero nelle due partite supplementari. Nel 1950 si ebbe la partecipazione di 12 nazionali; Cuba fu proclamata squadra campione solo l'anno successivo, al Congresso straordinario della FIBA in Messico; Portorico, infatti, che sul campo aveva battuto i cubani, venne squalificata per aver utilizzato giocatori professionisti.
Nel 1951 il Messico, oltre al Congresso, ospitò anche la dodicesima edizione del Mondiale, una delle peggio organizzate. La FIBA dichiarò inagibile lo stadio Venustiano Carranza che non offriva garanzie di sicurezza né per il pubblico né per i giocatori. La partita tra Cuba e Portorico iniziò con ben cinque ore di ritardo per la mancanza delle palline. In ogni caso Portorico vinse il titolo dominando, imbattuto, la fase finale.
Nel 1952 il Mondiale tornò a Cuba con 13 squadre partecipanti. La formazione di casa dominò, grazie anche all'impiego di alcuni giovani lanciatori di grande avvenire. L'anno successivo, a Caracas, Cuba e Venezuela terminarono ancora una volta alla pari, ma i cubani vinsero le due partite di spareggio.
La FIBA al fine di ottenere il riconoscimento olimpico stabilì che ogni Federazione nazionale affiliata dovesse far parte anche del Comitato olimpico del proprio paese e che si dovessero seguire tutti i regolamenti olimpici. Le difficoltà che derivarono da queste decisioni fecero sì che l'organizzazione del Mondiale rimase sospesa fino al 1961.
In quel periodo, comunque, l'attività internazionale non si interruppe e la pratica del baseball si diffuse soprattutto in Europa e in Asia. Nel 1953, dal 27 al 29 aprile, i responsabili del baseball europeo fondarono a Parigi la FEB (Fédération européenne de baseball), alla cui presidenza fu eletto l'italiano Steno Borghese e che organizzò per l'anno successivo il suo primo torneo continentale. Nello stesso 1953 fu fondata nelle Filippine la BFA (Baseball federation of Asia), cui aderirono Giappone, Filippine, Taiwan e Corea del Sud e il cui primo presidente fu il filippino Charles Chick Parsons. Sempre in quell'occasione, a Manila, si disputò il primo torneo continentale, nel quale prevalsero i padroni di casa. Nel 1955 l'NBC statunitense organizzò una Global world series cui parteciparono squadre di Giappone, Colombia, Venezuela, Spagna e USA. Vinsero questi ultimi, mentre l'anno seguente la vittoria andò al Giappone.
Nel 1961 il Mondiale riprese a San José di Costarica, con la quindicesima edizione. Cuba ribadì la sua superiorità con nove vittorie e nessuna sconfitta. I campioni in carica non ottennero il visto dal governo colombiano e non poterono partecipare all'edizione successiva, giocata nel febbraio del 1965 a Barranquilla e Cartagena, in Colombia. Assente anche il Venezuela, la serie fu dominata dai padroni di casa, guidati dal manager cubano Antonio Pacheco, e dal Messico. Le due nazionali chiusero in parità e furono necessarie tre partite di spareggio. I messicani riuscirono ad aggiudicarsi la prima grazie al lanciatore José García, rilevato dal fratello Luís. Ma i colombiani vinsero il secondo incontro e così fu decisiva la terza partita che fu vinta dalla Colombia, sostenuta dal tifo entusiasta del pubblico; il lanciatore Rafael Castro lasciò a zero gli avversari.
Nel 1969, a San Domingo, la diciassettesima edizione vide il grande ritorno di Cuba e, soprattutto, degli Stati Uniti. La vittoria ai Giochi Panamericani di Winnipeg, in Canada, nel 1967, aveva risvegliato l'interesse degli USA per le manifestazioni internazionali e il presidente della rinnovata USBF (United States baseball federation), William P. 'Dutch' Fehring, si convinse a partecipare attivamente all'attività agonistica della FIBA. Il Mondiale si risolse con la grande sfida tra Cuba e Stati Uniti. Vinsero per 2-1 i cubani, guidati dal lanciatore Gaspar Pérez, che ebbe la meglio su Larry Osborne.
Il Mondiale del 1970, disputato a Cartagena e Barranquilla in Colombia, segnò l'esordio delle prime due squadre europee: Italia e Olanda. Parteciparono 12 formazioni e al termine delle partite Cuba e Stati Uniti erano in parità. Il play off (al meglio di 3) determinò l'assegnazione del titolo ai cubani.
A fine novembre del 1971 il Mondiale tornò all'Avana, per una delle edizioni meglio organizzate di quel periodo. Cuba rimase imbattuta e conquistò il suo undicesimo titolo. Al Congresso della FIBA, alla presenza di delegati di 18 paesi, Aldo Notari presentò il progetto di una nuova competizione, la Coppa Intercontinentale, da tenersi ad anni alterni con il Mondiale per incrementare ulteriormente lo sviluppo del baseball internazionale.
Nel 1972 il ventesimo Mondiale, svoltosi in Nicaragua con la partecipazione di 16 paesi (per un totale di 120 partite giocate), vide finalmente in campo anche le squadre asiatiche: debuttarono il Giappone (che finì al quarto posto) e Taiwan (al sesto). Vinse Cuba, che subì una sola sconfitta, a opera dei padroni di casa incitati dal tifo del pubblico. Per la prima volta patrocinò ufficialmente l'evento un osservatore del CIO, mentre i paesi partecipanti al Congresso furono 45. Subito dopo le differenti opinioni e soprattutto le forti influenze politiche portarono a una spaccatura all'interno della Federazione internazionale. Al Congresso che si tenne a Bologna in occasione della disputa della prima Coppa Intercontinentale dalla FIBA si scisse la FEMBA (Federación mundial de béisbol amateur), che decise di disputare il suo Mondiale in Nicaragua. Nel 1973 vi furono dunque due Mondiali: la ventunesima edizione di quello FIBA, all'Avana, dove Cuba ribadì il suo primato senza sconfitte, e quello FEMBA (che negli Albi d'oro verrà ricordato come ventiduesimo) a Managua, dove vinsero gli Stati Uniti, rimasti imbattuti.
Nel 1974 la FEMBA organizzò a St. Petersburg il primo Mondiale disputato negli Stati Uniti. Parteciparono nove paesi: Nicaragua e Stati Uniti chiusero alla pari, con una sola sconfitta, e nella serie al meglio di tre si imposero gli statunitensi, pur perdendo la prima partita. Nel 1975 al Jerry Park di Montreal si tenne la seconda edizione della Coppa Intercontinentale.
La scissione si risolse nel 1976, grazie ai buoni uffici del presidente del Comitato olimpico messicano, Mario Vasquez Raña. A Città del Messico il 4 gennaio 1976 fu fondata una nuova organizzazione unica, che prese il nome di Association internationale de baseball amateur (AINBA; nel 1984 il nome fu cambiato in International baseball association, IBA, mentre nel 1999 si è tornati a International baseball federation, IBAF ), di cui fu eletto presidente il cubano Manuel Gonzalez Guerra. La ritrovata unità fu festeggiata con il Mondiale numero 24, organizzato dalla Colombia a Cartagena. Cuba e Portorico chiusero alla pari (8 vittorie e 2 sconfitte); era previsto il play off al meglio di tre partite, ma la squadra portoricana diede forfait.
Nel 1978, quando fu comunicata la designazione di Los Angeles a sede dei Giochi Olimpici del 1984, nella città californiana si organizzò una riunione dell'AINBA, dove convennero i rappresentanti di tutte le 37 nazioni aderenti. La possibilità di far entrare il baseball nel programma olimpico cementò l'unità d'intenti all'interno dell'Associazione che in quello stesso anno ebbe il riconoscimento del CIO. Sempre nel 1978 il Mondiale per la prima volta varcò l'Oceano: la venticinquesima edizione si giocò infatti in Italia con un altro debutto importante, quello dell'Australia; prevalse Cuba, imbattuta, davanti agli Stati Uniti.
Nel 1980 invece si giocò per la prima volta in Asia, in Giappone. Le squadre asiatiche, Corea e Giappone, non riuscirono ad avere la meglio su Cuba, che rimase ancora una volta imbattuta, e si piazzarono rispettivamente al secondo e terzo posto. Nel 1982 il Mondiale restò in Asia, in Corea. Cuba non partecipò e i padroni di casa vinsero davanti al Giappone. Il miglior battitore fu un europeo, Charlie Urbanus dell'Olanda, che con 14 battute valide su 21 turni (667 di media) ottenne la miglior prestazione in assoluto nella storia del Mondiale, poi eguagliata nel 1994 dal cubano Ermidelio Urrutia.
Nel 1984 si tornò in America, a Cuba, e la compagine di casa si riprese il titolo, imponendosi con due sole sconfitte in un lotto di 14 partecipanti. Nel 1986 si giocò in Olanda e per la prima volta un giocatore europeo, l'italiano Beppe Carelli, ricevette il premio di miglior battitore. Cuba vinse il titolo pur perdendo l'ultima partita contro Taiwan, ultima sconfitta prima di una serie consecutiva di 46 partite vinte, interrotta solo nel Mondiale del 2001 a Taiwan.
Nel 1988 il Mondiale fu di nuovo ospitato dall'Italia e il titolo si decise nella sofferta finalissima tra Cuba e Stati Uniti, vinta dai cubani 4-3. Gli americani schierarono il giovane lanciatore Jim Abbott che, pur essendo privo di una mano, l'anno successivo fu ingaggiato in Major League. Meno contrastati i successi cubani nelle due edizioni successive: nel 1990 a Edmonton in Canada e nel 1994 in Nicaragua.
Intanto il Congresso tenuto a Roma nel 1993 aveva eletto alla presidenza, per acclamazione, Aldo Notari che impresse subito una svolta decisiva trasferendo la sede della Federazione internazionale da Indianapolis, negli Stati Uniti, a Losanna, la capitale olimpica. Il 21 settembre 1996 il Congresso della IBA riunito a Losanna procedette, con 56 voti a favore, 7 contrari e 2 astensioni, alla storica apertura ai giocatori professionisti nelle competizioni internazionali, svolta di fondamentale importanza per il futuro del baseball.
Nel 1998 si giocò, in dieci città italiane, il trentatreesimo Mondiale, da quell'anno denominato ufficialmente Baseball world cup. Cuba vinse nuovamente il titolo, anche se la sua supremazia appariva insidiata dall'inserimento dei professionisti, soprattutto nelle nazionali statunitense e asiatiche. Nel 2001 a Taipei i cubani sono andati incontro a una sconfitta, la prima dal 1986, ma si sono comunque riconfermati campioni, dando un'ennesima prova dell'assoluta bontà della loro scuola.
L'ultima edizione, disputata nel 2003 a Cuba, ha visto ancora una volta prevalere la nazionale di Cuba, che tuttavia nei quarti di finale ha rischiato di essere eliminata a opera del sorprendente Brasile; si è salvata grazie a un fuoricampo da due punti della nuova stella Kendry Morales che ha ribaltato la situazione all'ultima ripresa, proiettando il team caraibico verso la semifinale (8-3 sulla Corea) e la finale (4-2 contro Panama).
Il baseball è entrato nel programma ufficiale delle Olimpiadi nel 1992, ai Giochi di Barcellona. Si è trattato del punto di arrivo di un lungo cammino, iniziato con le gare dimostrative di St. Louis nel 1904 e di Stoccolma nel 1912. Per altre cinque volte poi il baseball ha preso parte alle Olimpiadi soltanto a titolo dimostrativo.
Ai Giochi di Berlino del 1936 si esibirono due formazioni americane, i World Amateurs e gli USA Olympics; in realtà tutti i giocatori facevano parte della stessa nazionale americana, che in assenza di squadre rivali si divise in due. Nel 1952 a Helsinki la squadra campione di Finlandia affrontò una selezione di atleti del Villaggio Olimpico, composta prevalentemente da statunitensi che si prepararono all'evento disputando una gara con una squadra venezuelana, sotto la direzione di un allenatore di football, e vinsero per 14-6 di fronte a 4000 persone. A Melbourne nel 1956 destò grande interesse l'incontro tra una squadra australiana e una selezione dell'aviazione americana di stanza nel Pacifico. Poiché si giocò immediatamente prima delle gare di atletica, alla partita, che fu vinta dagli statunitensi 11-5, presenziarono quasi 100.000 spettatori. Ai Giochi di Tokyo del 1964 la partita dimostrativa di baseball fu disputata da una squadra americana, allenata da Rod Dedeaux, e da una giapponese. Il livello tecnico e di preparazione fu notevole. I giocatori americani, sei dei quali approdarono più tardi in Major League, vinsero per 6-2. Ai Giochi di Los Angeles del 1984 la 'dimostrazione' del baseball non si limitò a una sola partita, come era accaduto nelle edizioni precedenti. Allo stadio dei Dodgers, infatti, si disputò un intero torneo, organizzato grazie alla collaborazione di Peter O'Malley, proprietario del club californiano. Vi parteciparono otto squadre e gli USA prevalsero battendo in finale il Giappone per 8-3. Le partite registrarono una media di 48.000 spettatori, sicché il baseball risultò il terzo sport in assoluto come affluenza.
Nel 1992 a Barcellona il baseball entrò dunque a far parte a pieno titolo dei Giochi. Si organizzò un torneo a otto squadre e Cuba conquistò la prima medaglia d'oro battendo nettamente (11-1) nella finalissima Taiwan. Ad Atlanta, nel 1996, la serie olimpica di baseball, disputata al Foulton County Stadium, fu seguita da 1.134.203 spettatori. L'oro andò a Cuba che confermò la sua supremazia a livello internazionale vincendo la sua 143a partita consecutiva nei tornei ufficiali. A Sydney nel 2000 gli Stati Uniti misero in campo una formazione interamente composta da professionisti, guidata da Tom Lasorda ‒ uno dei manager più famosi e vincenti delle Major Leagues ‒ che più tardi venne nominata "squadra dell'anno dello sport statunitense". Nella finalissima gli americani spezzarono la lunga supremazia dei cubani, imponendosi per 4-0. Il torneo, combattutissimo, vide protagonisti anche Corea e Giappone che si batterono per il terzo e quarto posto. La medaglia di bronzo fu vinta dalla Corea per 3-1.
La classica sfida per determinare la supremazia nel Vecchio continente prese il via nel 1954, un anno dopo la fondazione della Federazione europea. Il torneo si disputò in Belgio, ad Anversa, con la partecipazione di quattro squadre che si affrontarono a eliminazione diretta. L'Italia superò subito il Belgio (6-1), quindi in finale ebbe ragione della Spagna (7-4), che in quel periodo, rinforzata da numerosi giocatori di origine americana, era la formazione più temibile.
La Spagna trionfò l'anno successivo nella seconda edizione, giocata in casa. L'Italia vinse soltanto una partita (16-1 contro la Francia) e si classificò al quarto posto. Aveva problemi soprattutto in attacco, tanto che a fine torneo la media di squadra fu appena di 155, con nessuna battuta di potenza. Nel 1956 si giocò a Roma e l'Olanda conquistò il primo dei suoi 17 titoli, di cui sette consecutivi. Gli azzurri chiusero con due vittorie (su Germania e Spagna), firmate da Romano Lachi e Alfredo Lauri, e due sconfitte (Olanda e Belgio). L'attacco se la cavò leggermente meglio (206 di media). Nel quarto Europeo, a Mannheim in Germania, l'Italia vinse con Belgio e Spagna, ma perse contro Germania e Olanda. Decisamente migliore il bilancio dell'edizione successiva, che ebbe luogo ad Amsterdam: l'Italia arrivò seconda, guidata nel box di battuta dall'attuale manager della nazionale italiana, Giampiero Faraone (.267), e da Andrea Goldstein, stella dell'Europhon Milano.
Nella sesta edizione, in Spagna nel 1960, nella squadra azzurra, arrivata di nuovo seconda, si mise in evidenza un altro milanese, Angelo Novali (.455). Ottima la prestazione in pedana di Giulio Glorioso e di Luigi Manca. Nel 1962 l'Europeo tornò ad Amsterdam e nuovamente l'Italia arrivò alle spalle degli olandesi, la cui formazione era rinforzata da qualche campione proveniente dalle Antille. Della squadra azzurra facevano invece parte alcuni dei giocatori italiani più forti di tutti i tempi: Ugo Balzani, Gigi Cameroni, Giulio Glorioso, Andrea Goldstein. Come ricevitore esordì il giovane Ivan Cavazzano. Due anni dopo si tornò in Italia, a Milano, dove venne inaugurato lo stadio Kennedy. L'Olanda rimase imbattuta, l'Italia perse solo nella finale (3-1). In attacco si distinse Lallo Carmignani (.294), uno dei personaggi più caratteristici di quel periodo, controfigura cinematografica di Steve Reeves, l'Ercole dei kolossal storici dell'epoca. Ma né i suoi muscoli né le bordate di Gianfranco Paschetto bastarono per vincere. La nona edizione si giocò l'anno successivo a Madrid. L'Italia stava crescendo: in attacco chiuse a 313 punti di media, con Alfredo Lauri (.438), Carlo Morelli (.313), Augusto Savignano (.438) e Alberto Spinosa (.444) in evidenza, ma non fu ancora sufficiente: contro l'Olanda riportò una sconfitta umiliante (16-0). Nel 1967 contrasti a livello federale lasciarono fuori dalla decima edizione sia i dominatori olandesi sia la nostra squadra. Si giocò in Belgio e vinsero i padroni di casa. Due anni dopo, appianate le controversie, si giocò a Wiesbaden in Germania. L'Olanda si riprese il titolo, spinta dall'antillano Hamilton Richardson. Gli italiani si piazzarono sempre al secondo posto. Iniziò a mettersi in luce Giorgio Castelli (.412) e fecero bene anche Carlo Passarotto (.412) e Ivan Cavazzano (.429). In pedana si segnalò Gianni Lerker, autore di 13 eliminazioni al piatto.
Nel 1971 si giocò a Parma e Bologna. L'Italia per la prima volta schierò dei giocatori di scuola straniera, fra cui l'oriundo Sal Campisi che firmò due vittorie in pedana. Nel box il mattatore fu Castelli (16 battute su 27 con l'altissima media di .593). Ma ancora una volta fu l'Olanda a prevalere. Gli azzurri persero il primo (2-4) degli ultimi tre scontri diretti, vinsero il secondo (1-0) e cedettero nel terzo (3-7). Nel 1973 si giocò a Haarlem, culla del baseball olandese. I padroni di casa non si fecero sfuggire il vantaggio del fattore campo e vinsero la gara decisiva con l'Italia (6-2). Nella nazionale azzurra esordì Sal Varriale che, venuto in Italia per un'esperienza di tre mesi, vi si fermò per sempre. Nel 1975, a Barcellona, finalmente l'Italia, con la partecipazione di 13 oriundi, riuscì a conquistare il titolo in un'emozionante finale che la vide prevalere 5-1 nel primo scontro diretto, quindi perdere 4-9 nel secondo e trionfare 9-4 nel decisivo. Castelli (.301) e Varriale (.300) furono i trascinatori nel box, mentre in pedana eccelse Mike Romano. Nel 1977, a Haarlem, il trionfo italiano fu completo, con tre vittorie nelle tre partite di finale (4-7, 1-4 e 0-1). Debuttò Beppe Carelli che chiuse a .444, ma chi fece letteralmente impazzire gli avversari fu Rick Landucci. Ottime prove anche per Vic Luciani (.444), Ted Alfieri (.462), Stefano Bernicchia (.429), Claudio Corradi (.391), Ed Orrizzi (.259) e Rik Spica (.484). Il successo fu replicato due anni dopo in Friuli. Si giocò a Trieste e a Ronchi e gli azzurri si imposero per tre volte (5-0, 8-4, 8-5) sull'Olanda. Il riminese Tony Russo fu il leader nel box (.429), mentre in pedana risultò particolarmente efficace Dario Borghino.
Nel 1981, ancora una volta a Haarlem, l'Olanda tornò al titolo, ottenendo in finale due vittorie contro una (8-3, 11-7, 1-8). L'Italia fu penalizzata da alcuni infortuni e non servì a molto il debutto di Paolo Ceccaroli (5 battute su 10 nel box e una vittoria in pedana). Due anni più tardi si tornò in Italia, in Toscana, per la prima edizione valida come qualificazione per le Olimpiadi: l'Italia si aggiudicò nettamente il solo posto in palio per Los Angeles, sconfiggendo gli olandesi per tre volte di seguito (14-1, 3-2, 8-2). Fu il primo Europeo di Roberto Bianchi, che chiuse a .486. Buone anche le prestazioni di Guglielmo Trinci (.343), Peter Rovezzi (.500), Ed Orrizzi (.412), Tony Lo Nero (.310), John Guggiana (.483), Paul Gagliano (.414), Davide Di Marco (.333), John Cortese (.381) e Beppe Carelli (.385). In pedana due vittorie a testa per David Farina, Lou Colabello e Mike Romano. Con il trionfo toscano, però, finì la prima epoca degli oriundi. La squadra azzurra tornò alle origini e pagò lo scotto della sua inesperienza per due edizioni, in cui mantenne comunque il secondo posto. Nel 1985 si giocò ancora in Olanda e Ruggero Bagialemani festeggiò il suo primo Europeo con un ottimo 14 su 28. Buoni anche i risultati di Roberto Bianchi (.469), Beppe Carelli (.394), Claudio Corradi (.500), Gianmario Costa (.438) e Alex Giorgi (.385). I problemi derivarono soprattutto dal monte di lancio. Anche nell'edizione successiva nel 1987, in Spagna, l'Italia non andò al di là della piazza d'onore, pur impegnando duramente gli olandesi. Nel 1989 in Francia gli azzurri riconquistarono il titolo vincendo 8-0 e 7-5 nelle partite decisive. Il merito fu soprattutto dei campioni del Nettuno: Paolo Catanzani (.433), Claudio Cecconi (.471), Marco Ubani (.389), insieme a Marco Mazzieri (.394), esaltarono l'attacco finalmente coperto dal monte di lancio.
Nel 1991, a Nettuno, si giocò la qualificazione olimpica per Barcellona. Gli azzurri furono protagonisti di un'altra impresa, guidati da Roberto Bianchi, Massimo Fochi, Guglielmo Trinci, Marco Ubani. Nove lanciatori italiani firmarono ciascuno una vittoria e per l'Olanda non ci fu nulla da fare. L'Olanda, che continuava a utilizzare giocatori antillani, vinse però le due edizioni successive: nel 1993, in Svezia, e nel 1995 in casa.
Nel 1997, a Parigi, gli azzurri vinsero (4-2) la partita decisiva contro l'Olanda, grazie a un'eccezionale prova di squadra e, soprattutto, al lanciatore Massimiliano Masin. Il giocatore nettunese, concedendo solo 7 valide, ebbe la meglio sull'attacco avversario, neutralizzandone per quattro volte i corridori, colti fuori dalle basi. Nel 1999 si giocò ancora in Italia, ma il fattore campo non fu di aiuto agli azzurri battuti dagli avversari di sempre. Il secondo posto, comunque, valse l'ammissione alle Olimpiadi di Sydney.
Il baseball europeo, intanto, era cresciuto, sia per numero di squadre, sia per livello tecnico. I paesi dell'Est si erano affacciati con sempre maggior determinazione alla ribalta internazionale. Lo ha dimostrato l'Europeo del 2001, giocato in Germania, che ha visto classificarsi al secondo posto, dietro all'Olanda, la Russia, protagonista di una memorabile vittoria proprio contro gli azzurri. Nel luglio 2003 le squadre classificatesi ai primi sei posti al Campionato Europeo, disputato in Olanda e vinto dalla nazionale di casa davanti alla Grecia (solo quinta l'Italia), hanno partecipato al torneo per la qualificazione olimpica di Atene 2004, che si sono conquistate Olanda e Italia.
Il campo di gioco ha la forma di un ventaglio aperto, delimitato ai lati dalle due linee del fuorigioco (foul lines), che separano il territorio buono (fair) da quello non buono (foul), e al fondo dalla barriera del fuoricampo.
Il territorio buono è la zona del campo di gioco che si trova all'interno delle linee del fuorigioco, incluse le linee stesse. Si divide in campo interno e campo esterno. Il campo interno, o diamante, è un quadrato di 27,43 m di lato; agli angoli sono collocate la prima, la seconda e la terza base e la casa base. Il campo esterno è l'area del terreno di gioco che si estende oltre il campo interno ed è delimitata dalle linee del fuorigioco. Queste, in teoria, si prolungano all'infinito ma, in realtà, vanno da un minimo regolamentare di 30 m (campo per i ragazzi) fino a un massimo di 100-120 m (per i grandi stadi).
La casa base è il punto dal quale si inizia il gioco ed è contrassegnata da una pedana pentagonale di gomma bianca. Misura 43 cm sul lato lungo, 30,48 cm sui lati obliqui e 21,05 cm sui due lati più corti.
Le basi sono costituite da un cuscino quadrato di plastica bianca, di 38 cm di lato. Lo spessore deve essere maggiore di 7 cm e minore di 16 cm. Le basi devono essere saldamente ancorate al suolo. Andando in senso antiorario prendono il nome di prima, seconda e terza base.
La pedana del lanciatore è costituita da una piastra rettangolare di gomma bianca di cm 60 x 15 ed è posta quasi al centro del diamante, a 18,44 m dalla casa base, su un monticello (mound) alto 25 cm e con raggio di 2,75 m.
Il box del ricevitore è un'area rettangolare di 2,44 m x 1,09 m, segnata nel terreno non buono dietro la casa base. è riservata al ricevitore della squadra in difesa.
Il box di battuta è un'area rettangolare di 1,82 m x 1,22 m, segnata nel terreno non buono a destra e a sinistra della casa base. È riservato ai battitori della squadra in attacco i quali, presentandosi in battuta, occuperanno di volta in volta il box di destra se si tratterà di battitore mancino o il box di sinistra se si tratterà di battitore destro (intendendo la sinistra e la destra con riferimento alla posizione del ricevitore rispetto al terreno di gioco).
I box per i suggeritori sono due aree di forma rettangolare di 6 m x 3 m segnate sul terreno non buono rispettivamente all'altezza della prima e della terza base. Sono riservati agli allenatori della squadra in attacco che hanno il compito di suggerire agli atleti già arrivati sulle basi come impostare la loro strategia.
Ai lati del campo di gioco in territorio non buono, all'incirca in corrispondenza della prima e della terza base, sono situate le panchine (dugouts) dove rimangono i giocatori che non partecipano alla partita e le riserve, e trovano collocazione tutti i materiali che ogni squadra deve avere con sé: dalla cassetta di pronto soccorso alle bevande, alle mazze, agli elmetti, alle palle, al vestiario di pronto impiego ecc.
La palla da baseball è formata da un nucleo centrale di sughero pressato rivestito da due avvolgimenti di gomma (strati leggeri), un primo avvolgimento di fili di lana (disposti in una sola direzione), un secondo avvolgimento di fili di lana (disposti nella direzione contraria ai fili precedenti), un avvolgimento finale di filo di cotone. Il gomitolo duro e compatto che ne deriva viene poi rivestito con due strisce di pelle bianca di cavallo o di vacca, strettamente cucite con un filo di nylon rosso e con un punto speciale che conferisce alla palla un aspetto inconfondibile. La palla deve pesare non meno di 142 g e non più di 149 g. Deve avere un diametro di circa 7 cm e una circonferenza non inferiore a 22,09 cm e non superiore 23,05 cm.
La mazza è normalmente costruita in legno di frassino bianco opportunamente lavorato e stagionato (esistono mazze fabbricate anche con altri tipi di legno o in alluminio, ma non offrono le stesse garanzie di solidità e resistenza). Si presenta liscia, ha sezione rotonda e una forma che ricorda la clava usata per gli esercizi ginnici in palestra. La lunghezza massima non può essere maggiore di 1,06 m e il diametro nella parte più spessa non può oltrepassare i 7 cm. I pesi e le misure variano in funzione della statura e del peso del giocatore.
Per ricevere la palla lanciata da un compagno o battuta da un avversario i giocatori in difesa usano speciali guanti di cuoio. Ne esistono tre tipi: il guanto del ricevitore è massiccio e imbottito, con una circonferenza che può arrivare fino a 87 cm; quello del giocatore che difende la prima base ha una forma più allungata e può avere lunghezza massima complessiva di 30 cm; infine gli altri difensori usano un guanto a cinque dita, più corto per gli interni, più lungo per gli esterni.
Dell'attrezzatura fanno parte anche altri elementi protettivi. Per es. il volto del ricevitore e dell'arbitro principale è coperto da una maschera in plastica, o ferro leggero, e gommapiuma rivestita di pelle; il battitore che si presenta al box di battuta indossa al posto del berretto un elmetto in plastica resistente, con o senza paraorecchie, rivestito internamente da uno strato di gommapiuma; per proteggere le gambe del ricevitore da colpi e urti violenti si utilizzano schinieri in plastica rigida, imbottiti all'interno e provvisti di snodi all'altezza del ginocchio e delle caviglie per consentire la massima mobilità; il ricevitore e l'arbitro a protezione del torace, del ventre e dell'inguine indossano infine una pettorina fabbricata con tela e cuoio e fissata al corpo mediante cinghie molto resistenti.
Le scarpe sono fabbricate in cuoio e presentano nella pianta e nel tallone una serie di piastrine metalliche triangolari terminanti in lamelle appuntite (spikes) che servono a fare meglio presa sul terreno.
Tutti i giocatori di una stessa squadra indossano divise identiche nei colori del club di appartenenza e portano sulla schiena un numero distintivo. Della divisa fanno parte: maglia con maniche lunghe, casacca a maniche corte, pantaloni, calzettoni, calze sanitarie, scarpe e il caratteristico berretto a visiera.
La squadra. - Una squadra di baseball è composta in media di 15-20 giocatori ma solo nove entrano in campo. Gli altri siedono in panchina, pronti a sostituire un loro compagno quando il manager lo ritenga opportuno. Il manager è il responsabile tecnico della squadra e, come tale, è l'unico che può rivolgersi all'arbitro, sempre e soltanto quando il gioco è fermo. È coadiuvato da vari assistenti (coaches) specializzati nelle singole fasi del gioco (coach di battuta, coach dei lanciatori, coach della difesa, suggeritori).
Prima dell'incontro il manager consegna all'arbitro l'elenco dei giocatori indicando l'ordine con il quale essi si presenteranno successivamente nel box di battuta, quando la squadra giocherà in attacco. Questo ordine dovrà rimanere inalterato durante tutta la partita e gli unici cambi permessi saranno le sostituzioni dei giocatori: ogni nuovo entrato prenderà lo stesso posto, nell'ordine di battuta, del giocatore che esce. Per quanto riguarda la difesa, invece, un nuovo entrato potrà coprire un ruolo difensivo diverso da quello del giocatore che esce (in questo caso ci dovranno essere altri cambi interni per far sì che tutti i ruoli rimangano coperti).
Ogni squadra può procedere alla sostituzione dei propri giocatori purché la stessa avvenga a gioco fermo. I giocatori sostituiti non possono più essere impiegati nel corso della stessa partita qualora siano usciti dal terreno di gioco. Il cambio di posizione o di ruolo sul terreno di gioco non impedisce al giocatore interessato di proseguire la partita.
La partita. - Scopo del gioco è segnare un numero di punti maggiore di quelli dell'avversario. Il pareggio non è ammesso (in caso di parità si giocano riprese supplementari fino a che una squadra prevale sull'altra). Il punto viene segnato non dalla palla, ma dal giocatore quando, superate tutte le basi, completa il giro del diamante e tocca il piatto di casa base senza che la difesa riesca a eliminarlo.
Una partita dura 9 riprese (innings). Nel corso di ogni ripresa ciascuna squadra effettua un turno d'attacco e uno di difesa. Non esistono limiti di tempo: ogni fase termina quando la difesa elimina tre giocatori avversari.
Nel turno d'attacco i giocatori vanno alla battuta uno alla volta secondo l'ordine (line up) prestabilito dal manager. La squadra che attacca terrà quindi tutti i suoi giocatori fuori dal terreno di gioco (nell'apposita panchina), salvo il battitore (batter), situato nel box di battuta. Il battitore, una volta che avrà colpito la palla, lascerà la mazza e correrà verso la prima base tentando di raggiungerla il più velocemente possibile. Nel momento stesso in cui abbandona la mazza e inizia la corsa si chiamerà corridore (runner).
La squadra in difesa dispone i suoi uomini nelle posizioni seguenti: il lanciatore (pitcher) sulla pedana di lancio al centro del diamante (da lui parte ogni azione con il lancio che viene concordato, mediante una serie di segnali prestabiliti, con il ricevitore); il ricevitore (catcher) accovacciato dietro la casa base (il suo compito principale è ricevere i lanci del lanciatore; inoltre, trovandosi di fronte ai compagni nella difesa, deve orchestrarne le strategie difensive); tre giocatori a guardia della prima, seconda e terza base; un giocatore tra la seconda e la terza base (detto interbase); i rimanenti tre distribuiti nel campo oltre il quadrato (esterni, laterali e centrale).
Solo la squadra in attacco può segnare punti. Il gioco ha inizio con il lancio del lanciatore verso il proprio ricevitore, disposto alle spalle del battitore avversario e al quale la palla deve pervenire a un'altezza compresa fra le spalle e le ginocchia e sopra la lastra che segna la casa base. Il battitore ha a disposizione tre lanci regolari (strikes) per respingere la palla con la mazza, altrimenti viene eliminato. Se il lanciatore effettua quattro lanci irregolari (balls), il battitore passa automaticamente alla prima base; il tentativo di respingere la palla con la mazza convalida però un lancio falloso. Se è riuscito a respingere la palla, il battitore, buttata la mazza, corre verso la prima base: è eliminato se la squadra avversaria riesce a far pervenire la palla al proprio uomo lì piazzato prima che il battitore vi sia giunto, o se il suo tiro è preso al volo dagli avversari; diversamente può sostare nella prima base o proseguire verso la successiva, o addirittura percorrere l'intero perimetro del quadrato, segnando allora un punto in una sola battuta; ciò diviene assai agevole se il battitore, colpendo la palla con particolare violenza e precisione, riesce a scagliarla oltre la zona presieduta dagli esterni avversari, realizzando il cosiddetto fuoricampo. Al primo battitore ne succede un secondo, con identico compito.
La squadra in difesa cercherà d'impedire al corridore o ai corridori che hanno conquistato basi di avanzare ulteriormente; in ogni caso suo preciso scopo è quello di eliminare gli avversari. Il ricevitore venuto in possesso della palla cercherà di farla pervenire all'uomo che è di guardia nella base verso la quale un corridore è diretto prima che questo vi giunga. In tal caso il corridore dovrà tornare alla base precedente. La squadra che gioca in difesa può eliminare un corridore se un componente di essa riesce a toccarlo con la mano che tiene la palla, mentre non è a contatto con una base.
La squadra all'attacco cerca di continuare a segnare punti (uno per ogni giocatore che riesce a tornare alla casa base), finché tre suoi giocatori non siano stati eliminati. A questo punto le squadre scambiano le loro funzioni e il gioco riprende fino a completare un inning. Vince l'incontro chi totalizza la somma maggiore di punti nei nove innings.
Leggendari campioni del baseball americano sono stati 'Ty' Cobb, George Herman Ruth e Joe Di Maggio.
Tyrus Raymond Cobb (nato nel 1886 in Georgia), benché annoverato fra i grandi protagonisti della storia del baseball, è stato uno dei giocatori più odiati nella storia dello sport. Fuori dal campo era un vero gentiluomo del Sud, ma quando indossava la casacca si traformava: "È stato il primo sportivo a usare la psicologia ‒ spiegò il suo compagno di squadra Fred Haney ‒sapeva come motivare sé stesso e i compagni, era abilissimo nell'infastidire gli avversari. Nessuno poteva pensare più velocemente di lui, né essere più furbo". Era un competitore feroce: più forte l'avversario, migliore la sua prestazione. Anche il pubblico che lo fischiava lo stimolava a dare il meglio. Se poi non c'era nessuno a stimolarlo, ci pensava il suo orgoglio smisurato. Battitore di contatto, era un maestro a mettere la palla in gioco e poi a correre via alla massima velocità; mettersi sulla sua strada poteva essere molto pericoloso. Le sue scivolate fallose divennero ben presto leggendarie. Dove non arrivava con l'abilità, sopperiva con la sua incrollabile volontà: studiò a lungo e nel dettaglio i lanciatori che, all'inizio, lo avevano messo in difficoltà e arrivò a batterli facilmente. Disputò quasi tutta la sua carriera con i Tigers di Detroit (dal 1905 al 1926), chiudendo con due stagioni a Filadelfia. La sua media battuta è di .367 in 3050 partite giocate; vinse per dodici stagioni (nove consecutive) il titolo di miglior battitore, stabilì record che hanno retto fino ai giorni nostri come quello delle basi rubate e delle valide totali. Irascibile e litigioso, Cobb era anche noto per la sua tenacia e intelligenza, doti che gli consentirono, chiusa la carriera sportiva, di entrare con molto successo nel mondo della finanza.
George Herman Ruth nacque a Baltimora nel 1895. Quando i suoi primi compagni di squadra, gli Orioles di Baltimora, lo videro arrivare al campo al seguito del manager Jack Dunn, dissero: "Ecco Jack col suo babe…". Da quel giorno 'Babe' divenne il suo soprannome, l'appellativo con il quale tutti, affettuosamente, si rivolgevano a lui e con il quale entrò nella storia dello sport. Cresciuto in un orfanotrofio dove aveva iniziato a giocare come ricevitore, divenne presto lanciatore bruciando le tappe, prima con gli Orioles, poi nel 1914, quando aveva solo 19 anni, a Boston con i Red Sox. Nel 1919, per sfruttare la sua ineguagliabile potenza in battuta, venne messo all'esterno: fino ad allora il baseball era considerato uno sport prevalentemente difensivo, ma da quel momento le sue battute spostarono l'interesse sull'attacco. Già nel 1919 riuscì a battere 29 fuoricampo in una sola stagione e l'anno successivo arrivò a quota 54. Nel 1920 passò agli Yankees di New York dando inizio a una vera e propria leggenda, al punto che lo Yankee Stadium, ancor oggi, è chiamato 'la casa costruita da Babe Ruth'. Da quell'anno i Red Sox non vinsero più un titolo. Straordinario in campo, dava sempre il massimo ottenendo risultati strepitosi. Nella vita privata era generoso ed estroverso e amava molto i bambini. Giocò 2546 partite battendo 714 fuoricampo (60 in una sola stagione), con una media battuta di .342. Fu il primo a guadagnare più di un milione di dollari a stagione (cifra straordinaria per l'epoca).
Giuseppe Paolo 'Joe' Di Maggio nacque in California nel 1914 in un famiglia di nove figli. Il padre, pescatore siciliano, fece di tutto per ostacolare la sua passione per il baseball e Di Maggio ebbe una giovinezza difficile che tuttavia ricorderà sempre con affetto, rimanendo saldamente legato alle sue origini. Parte della sua fama gli derivò anche dalle vicende private della sua vita, soprattutto dal matrimonio con Marilyn Monroe. Nel 1943 rinunciò a un ingaggio favoloso e partì volontario per il Pacifico, guadagnandosi i gradi di sergente. Nel 1945 ritornò al baseball battendo 34 fuoricampo con una media battuta di .398. Lo chiamavano 'Yankee Clipper' perché, come un'imbarcazione veloce, stretta ed elegante, veleggiava rapido e sicuro sul campo esterno degli Yankees, l'unica squadra per cui giocò, dal 1936 al 1951, disputando 1787 partite. Il suo record più prestigioso è quello delle 56 partite consecutive in cui, nella stagione 1941, ottenne almeno una battuta valida. La stampa parlava di lui come di un eroe nazionale, considerato tale anche da chi non amava e non seguiva il baseball. Morì nel 1999 all'età di 84 anni.
Fra i maggiori campioni di baseball italiani vanno invece ricordati Roberto Bianchi, Giorgio Castelli e Giulio Glorioso.
Nato a Milano il 2 marzo 1963, Bianchi ha debuttato nel massimo campionato con la Del Monte Bologna nel 1981 e ha terminato la sua carriera dopo 19 stagioni con la GB Modena. Con il numero 32 ha giocato come ricevitore, e all'esterno negli ultimi anni, nella Fortitudo Bologna (dal 1981 al 1989), nella Mediolanum Milano (dal 1990 al 1992), nel Cariparma (dal 1993 al 1996) e nel GB Modena (dal 1997 al 1999). Per tre stagioni è risultato miglior battitore del campionato: nel 1986 con 466 punti di media, nel 1987 con 474, nel 1991 con 460. Nel 1991 ha vinto la 'Tripla Corona', il titolo assegnato al giocatore che riesce a primeggiare contemporaneamente nelle tre categorie d'attacco più importanti: media battuta, fuoricampo e punti battuti a casa. In totale ha disputato 949 partite, chiudendo con una media battuta di .384 e 288 fuoricampo. Ha debuttato in azzurro ai Mondiali del 1982 in Corea e vanta un totale di 150 presenze in nazionale. Ha disputato inoltre 5 Coppe del Mondo, 4 Coppe Intercontinentali, 2 Olimpiadi e 5 Campionati Europei. Dopo il 1999 ha proseguito la sua attività nel baseball come allenatore.
Nato a Parma il 28 agosto 1951, Castelli, soprannominato 'il Principe', è stato secondo molti tecnici il miglior giocatore in assoluto del baseball italiano, il più completo in ogni aspetto del gioco. Fortissimo battitore, ottimo corridore, eccelleva anche in difesa. Nel massimo campionato ha debuttato a Milano con la Tanara Parma l'11 maggio 1968 contro la GBC (1-0). È rimasto poi a Parma fino al 1983, collezionando buona parte dei record di battuta del baseball italiano. Ha vinto 4 scudetti (1976, 1977, 1981, 1982), 2 Coppe Italia (1969, 1971), 3 Coppe del Mediterraneo (1973, 1974, 1976), 5 Coppe dei Campioni (1977, 1978, 1980, 1981, 1983). È stato il miglior battitore della squadra dal 1969 al 1974 e poi per altri cinque anni consecutivi (dal 1976 al 1980) e il migliore del campionato per otto volte (1968, 324 punti; 1969, 474; 1970, 420; 1971, 404; 1973, 424; 1974, 515; 1976, 454; 1978, 540). Nel 1974 ha vinto la Tripla Corona. Vanta 124 presenze nella nazionale maggiore e 9 nella giovanile. Tra i suoi record i quattro fuoricampo battuti nel corso della stessa partita (Frigette Bollate-Germal l'11 giugno 1977).
Giulio Glorioso, nato a Udine il 4 gennaio 1931, in gioventù praticò atletica leggera e altri sport segnalandosi subito per le sue notevoli capacità: a quindici anni, infatti, nel salto in alto superò 1,65 m. Iniziò a giocare a baseball con la Gilda di Roma. Nel 1948 fece parte della squadra dei Ferrovieri che, contro ogni pronostico, vinse la sfida contro l'Ambasciata statunitense. Dick Leone, il tecnico americano della Lazio, individuò in lui le doti del campione e lo ingaggiò. Glorioso iniziò come esterno, per passare poi al ruolo di lanciatore. Prese parte alla prima partita della nazionale italiana: quella del 31 agosto 1952 contro la Spagna. Subito dopo andò negli Stati Uniti dove affinò definitivamente la sua arte di lancio, abbinando a una notevole potenza un grande controllo delle traiettorie. Dopo l'esperienza americana tornò in Italia e diventò l'uomo chiave della nazionale, con la quale disputò 68 incontri. In campionato ha giocato con Lazio, Nettuno, Parma, Milano e Roma. Migliore lanciatore del campionato nel 1959, 1961, 1962, 1963, 1964 e 1966, è risultato anche il miglior battitore del campionato 1960 e 1961.
M. Appel, B. Goldblatt, Baseball's best, New York, Mc Graw Hill, 1977.
B. Beneck, Baseball, il gioco della vita, Milano, Il Castello, 1973.
G. Cameroni, Gigi Cameroni vi insegna il baseball, Milano, De Vecchi, 1987.
R. Considine, The Babe Ruth story, New York, Pocket Books, 1948.
G. Dickey, The history of American league baseball, New York, Scarborough Book Stein and Day Publishers, 1980.
E. Di Gesù, G. Gandolfi, L'enciclopedia del baseball, Torino, GDG, 1985.
Idd., Baseball book, GDG Torino, 1979-1984.
J. Ealo, Béisbol, Cuba, Editorial Pueblo, 1984.
The game and the glory, a cura di J. Reichler, New York, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1976.
R. Gonzalez, The pride of Havana, New York, Oxford University Press, 1999.
IBAF, Media guide, Losanna, IBAF, 2000-03; R. Kahn, A season in the sun, New York, Harper & Row, 1977.
A. Lee, The National League story, New York, Hill and Wang, 1961.
Id., The World Series, New York, G.P. Putnams' Sons, 1969.
M. Mazzotti, Giochiamo a baseball, Milano, Libri dello Sport, 1987.
E. Pagnoni, Milano: 50 anni di baseball, Milano, Nuovalito, 1996.
H. Parrott, The lords of baseball, New York, Praeger Publishers, 1976.
H. Seymour, Baseball: the golden age, New York, Oxford University Press, 1971.
R. Smith, Baseball, New York, Simon and Schuster, 1970.
H. Turkin, S.C. Thompson, The official encyclopedia of baseball, New York, A.S. Barnes & Co., 1979.