Basi scientifiche per la normativa sul controllo della qualità delle risorse idriche
A partire dagli anni Sessanta la percezione dei danni arrecati all'ambiente naturale ha indotto le autorità politico-legislative dei paesi industrializzati a introdurre, o rinnovare, la normativa per la salvaguardia ambientale delle risorse idriche. È ora necessaria una riflessione sui risultati ottenuti dalle diverse politiche di controllo, per adeguare la normativa in atto e agire sugli ecosistemi acquatici senza modificarne i delicati equilibri, ma utilizzandone le notevoli capacità di trasformazione e di adattamento. Cercheremo di stabilire i termini del problema dei microinquinanti e metteremo in rilievo la necessità di definire su basi scientifiche la normativa per il controllo e la prevenzione della contaminazione delle acque. Analizzeremo l'utilizzo delle conoscenze scientifiche per verificare come ulteriori avanzamenti della ricerca possano migliorare le procedure per il controllo della contaminazione; cercheremo inoltre di definire le basi scientifiche di future strategie.
Definizione e applicazione dei criteri di qualità per le acque
Il termine microinquinanti (o microcontaminanti) deve essere ridefinito, in quanto questo termine assume significati diversi in funzione del contesto in cui viene utilizzato. I contaminanti delle acque possono essere classificati secondo un'ampia varietà di modi, per esempio, a seconda delle loro caratteristiche chimiche, dello stato fisico, dei comparti ambientali in cui vengono scaricati o rilevati, delle fonti di contaminazione da cui provengono, dei vari tipi di effetti che provocano, degli organismi che possono danneggiare e così via.
Considereremo microcontaminanti tutte quelle sostanze, naturali o di sintesi, che, disperse nell'ambiente in seguito ad attività umane sia civili sia industriali, possono essere presenti nei corpi idrici in quantità limitate. Gli incrementi provocati dall'attività antropica, rispetto alle concentrazioni presenti in ambienti non contaminati, possono danneggiare le diverse componenti della struttura biologica degli ecosisterni o influenzare i cicli biogeochimici.
La definizione sopra esposta è in accordo con il concetto di contaminante specifico (specific pollutant), definito dal Water management group dell'OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) come la sostanza che, introdotta nell'ambiente come risultato di attività umane, nelle condizioni date riduce la qualità dell'acqua a causa dei suoi effetti tossici sugli esseri umani esulI' ecologia acquatica. L'analisi di questa classe di contaminanti si differenzia pertanto dai classici parametri globali come la richiesta biochimica di ossigeno (BOD, Biochemical Oxygen Demand), la richiesta chimica di ossigeno (COD, Chemical Oxygen Demand) e le sostanze in sospensione (SS). I contaminanti specifici sono stati definiti da altre organizzazioni come contaminanti in tracce, microinquinanti, contaminanti refrattari.
Nella normativa italiana per la prevenzione della contaminazione delle acque (legge n. 319 del 1976, detta comunemente legge Merli) all'incirca 30 elementi, composti o classi di composti sono attualmente soggetti a limiti di accettabilità per gli effluenti. Sono circa 1500 le molecole di larga diffusione classificate nell' lndex of solubility, toxicity and biodegradability del Water Research Centre in Gran Bretagna. Anche l'EPA (Environmental Protection Agency, Agenzia per la protezione ambientale) degli Stati Uniti ha stabilito precisi criteri di qualità delle acque per un gran numero di elementi o sostanze. In molti paesi è in atto la tendenza ad aumentare il numero delle sostanze da tenere sotto controllo o da includere in nuove normative.
La definizione di inquinamento delle acque più correntemente accettata è ancora quella data dalla GESAMP (Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Pollution, Gruppo di esperti per gli aspetti scientifici dell'inquinamento marino), che nel 1970 definì l'inquinamento marino come "l'introduzione da parte dell 'uomo, direttamente o indirettamente, di sostanze o energia nell'ambiente marino (inclusi gli estuari), in modo da provocare effetti deleteri, quali danno alle risorse viventi, rischio per la salute umana, impedimento alle attività in mare, inclusa la pesca, deterioramento della qualità per altri usi delle acque e riduzione delle attrattive dell' ambiente" (GESAMP, 1970). Tale defrnizione considera la contaminazione delle acque principalmente come limitazione agli usi possibili; è stato perciò necessario formulare criteri di qualità differenziati in funzione dei vari usi.
Alla fine degli anni Novanta non sono stati più considerati i criteri di qualità per gli usi nei quali è minore l'esigenza di acque non contaminate e ci si è principalmente concentrati sulla formulazione di criteri per i quattro usi che richiedono una buona qualità dell'acqua: uso potabile, agricolo, balneare ed estetico, vita acquatica. Dopo gli anni Ottanta si è diffusa e consolidata l'opinione che il criterio di qualità riferito alla vita acquatica sia il più importante in quanto un ecosistema acquatico, del quale non siano state perturbate struttura e funzioni, possiede in ogni momento una qualità dell'acqua adeguata, immediatamente o dopo semplici trattamenti, a tutti gli usi.
Negli stessi anni si è affermata l'idea che ogni ambiente acquatico abbia, per un determinato contaminante, una capacità recettiva, identificata con l'intervallo, fra la concentrazione zero o naturale del contaminante e la concentrazione alla quale si verificano effetti di perturbazione osservabili e indesiderati. Questi due presupposti hanno costituito la base per la defrnizione di criteri di qualità per la vita acquatica da parte di varie organizzazioni internazionali e nazionali quali l'Unione Europea (UE), l'EIFAC (European lnland Fisheries Advisory Commission, Commissione consultiva per la pesca interna europea), l'EPA, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), IRSA (Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR).
In generale i criteri di qualità vengono formulati preparando rassegne critiche delle informazioni scientifiche disponibili e definendo limiti di concentrazione nell' ambiente che non dovrebbero essere superati. Secondo l'EIFAC, per esempio, criteri di qualità per la vita acquatica, e in particolare per la fauna ittica d'acqua dolce, devono corrispondere ai seguenti requisiti: permettere che tutti gli stadi dei cicli vitali possano essere completati con successo, non determinare nell'acqua condizioni tali da causare variazioni di sapore nella carne dei pesci, non causare l'assenza di fauna ittica dove altrimenti sarebbe presente, e non dare origine all'accumulo di sostanze tossiche nei pesci in quantità tali da renderli dannosi nel caso venissero consumati. Un criterio di qualità deve infine tenere conto di fattori indiretti come quelli riguardanti organismi che costituiscono l'alimentazione dei pesci (organismi eduli).
È opportuno a questo punto richiamare i concetti di standard, di obiettivo e di criterio, poiché tali termini sono frequentemente utilizzati. Il loro significato non è certamente univoco, benché alcune definizioni siano state accolte dalla maggioranza dei ricercatori e dei gestori della qualità dell'acqua e meritino di essere qui riportate.
Lo standard di qualità si applica a ogni regola, principio o misura stabilita dalle autorità. L'ufficialità che discende da questa defrnizione non implica necessariamente che lo standard sia corretto, equo o basato su solide conoscenze scientifiche. Potrebbe infatti essere stato stabilito in modo arbitrario sulla base di conoscenze scientifiche inadeguate, temperate da un prudente fattore di sicurezza. Nel caso in cui i dati scientifici siano carenti, tale procedimento arbitrario potrebbe essere giustificato.
L'obiettivo di qualità rappresenta una meta cui tendere nella politica ambientale e potrebbe designare una condizione ideale. Certamente non dovrebbe implicare una rigida imposizione da parte delle autorità. È un concetto che sempre più guadagna favore fra gli operatori e quanti lottano contro l'inquinamento attuando azioni di persuasione e cooperazione.
Il criterio di qualità designa una condizione, definita mediante una rassegna critica della letteratura scientifica disponibile, atta a conservare struttura e funzioni degli ecosistemi. Al contrario dello standard, il criterio di qualità non comporta alcuna connotazione di autorità e neppure una condizione ideale.
Fissati standard, obiettivi e criteri di qualità per la vita acquatica, per conseguire le mete prefissate si può operare con diverse procedure in vari punti del comparto ambientale (fig. 1). Nei diversi paesi si è agito secondo due procedure: la prima impone a qualsiasi tipo di scarico un limite di accettabilità unitario, indipendente dal recapito (standard rigido); la seconda commisura la quantità del contaminante alle caratteristiche naturali del recettore, quali acque correnti, laghi, acque costiere, ecc. e tiene conto delle caratteristiche del contaminante stesso, quali tossicità, persistenza, bioaccumulo (standard flessibile).
Il primo approccio, non considerando il tipo e l'uso del recettore in cui viene immesso il contaminante, tutela con una normativa unica anche le situazioni più critiche; di conseguenza, per essere efficace, deve necessariamente porre limiti molto restrittivi. Da ciò deriva che, in un notevole numero di casi, l'applicazione di tale procedura può portare alla richiesta di un livello di risanamento superiore a quello effettivamente necessario nella situazione considerata e quindi a un inutile aggravio economico. Un ampliamento dei limiti di accettabilità, se da un lato può tradursi in un vantaggio economico, dall'altro porta a una riduzione del livello di protezione. Per esempio, si potrebbe non tenere conto della quantità di contaminante rilasciato nel tempo, né del numero di scarichi sfocianti nello stesso recettore, né infine delle capacità di ricezione del medesimo. Il vantaggio principale resta legato alla facilità della gestione amministrativa.
La seconda procedura si configura, invece, ottima per vari aspetti, soprattutto perché richiede una valutazione caso per caso delle quantità di contaminante, in funzione delle capacità recettive e dell'uso cui il recettore è destinato. Questa procedura, di conseguenza, si prospetta come la più economica, offrendo allo stesso tempo migliori garanzie sul piano della difesa dell'ambiente; sarebbe quindi da preferirsi nella defrnizione di una normativa per l'accettabilità degli scarichi, ma questa conclusione valida teoricamente risulta di difficile applicazione pratica, poiché esige alcune condizioni di base. lnnanzitutto c'è la necessità di conoscere le capacità recettive del corpo recipiente. Ciò implica, in ogni singolo caso, uno studio approfondito della tipologia del recettore, del suo bilancio idrologico, con particolare riferimento al regime critico, del suo potere diluente e ossidante, della sua struttura biologica, delle vicende termiche, dei rapporti con le acque sotterranee, della preesistenza di altre fonti di contaminazione e di tutti gli altri fattori che possono influire sull'effettivo mantenimento di una concentrazione non dannosa del contaminante scaricato. In secondo luogo si deve conoscere l'evoluzione nel tempo delle fonti di contaminazione. Questa esigenza implica problemi di censimento e previsione delle linee di sviluppo urbanistico, industriale, ecc., che dovrebbero essere risolti nel dettaglio delle innumerevoli situazioni locali e, ovviamente, nel quadro di una programmazione economica generale.
Di fatto in molti paesi, in particolare in quelli della UE si è adottato un criterio intermedio tra le due procedure. Tale soluzione consente di adattare i limiti per gli effluenti a classi di recettori e di contaminanti e permette inoltre di definire limiti sia per il corpo idrico, sia per altri comparti dell'ecosistema (organismi o sedimenti). Si può pertanto concludere che negli anni Novanta si è consolidata la tendenza a determinare il modo di operare in relazione alla natura dei contaminanti e a porre criteri diversi per corpi recipienti dalle caratteristiche differenti. Tipici esempi a questo proposito sono le differenti procedure di intervento, basate su diverse conoscenze scientifiche di base, per il mercurio e il fosforo e la definizione di peculiari criteri di qualità per acque correnti, laghi e acque marine. È inoltre da ricordare l'accettazione ormai comune della collocazione di alcune sostanze in una 'lista nera' (black list), che include sostanze che non devono essere scaricate e devono essere bandite dall'uso, e in una 'lista grigia' (grey list), che invece include quelle sostanze per le quali è consentito lo scarico entro certi limiti e in condizioni controllate.
Ruolo della ricerca scientifica nella formulazione di criteri di qualità per le acque
Come necessaria premessa va ricordato che negli anni Novanta l'enorme affrnamento degli strumenti e dei metodi di indagine è stato particolarmente significativo, in relazione anche all'esplosione di una serie di particolari casi di inquinamento, all'attenzione crescente verso sostanze, o gruppi di sostanze, mai prese in considerazione prima, e alla capacità di rilevare la contaminazione in zone anche molto lontane da quelle nelle quali l'inquinamento era stato prodotto.
Inoltre solo nei paesi della UE circa 9000 composti potenzialmente inquinanti sono di uso comune e fra questi circa 150 vengono usati in quantità superiori a 50.000 tonnellate per anno. È quindi evidente la dimensione del problema della defrnizione di criteri di qualità e la responsabilità che investe la comunità scientifica nello svolgere tale compito. Le difficoltà che si incontrano nel definire i criteri di qualità sono varie: la scarsità di dati di base che fanno da riferimento per i criteri di qualità dell'acqua di mare, l'eccessiva enfasi posta sui dati di tossicità acuta, la mancanza di riferimento a prove di lunga durata; inoltre, per un elevato numero di contaminanti comunemente presenti, non vi è alcun criterio di qualità. In sintesi, circa il 50% dei criteri proposti viene considerato accettabile, anche con leggere modifiche, mentre i restanti sono oggetto di profonda critica e di richieste di modifica. Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, è necessario che siano prodotte informazioni per ogni contaminante sul comportamento chimico della molecola, sul suo destino ambientale, sulla tossicità delle sue forme chimiche principali, sulle possibili trasformazioni e sul bioaccumulo.
Un altro argomento ancora controverso, che necessita di ulteriori studi, riguarda il problema delle miscele di tossici; basti considerare la posizione divergente assunta a suo tempo da due diverse organizzazioni. L'EIFAC (1980), al termine di un'ampia rassegna della letteratura scientifica, ha prodotto un rapporto sugli effetti delle miscele di sostanze tossiche nei pesci, secondo il quale i criteri di qualità proposti per ogni singolo contaminante possono essere applicati anche nel caso in cui ne siano presenti più di uno. L'EPA (Stephan, 1986) sostiene invece che la concentrazione di un singolo contaminante nelle miscele è da considerarsi di non effetto se è pari o inferiore ai 4/5 della concentrazione accettabile qualora il contaminante fosse presente singolarmente; sarebbe quindi necessario ridurre il criterio di qualità di ogni singolo contaminante nella miscela.
Da quanto esposto si può dedurre che gli approcci di tipo 'tradizionale' servono a coprire vuoti di conoscenza di notevole entità o almeno a dirimere punti di forte controversia. Per quanto riguarda la ricerca 'non tradizionale', le vie principalmente seguite sono due. L'una è volta a prevedere in modo più accurato l'effetto e il destino dei contaminanti negli ecosistemi, l'altra è tesa a ricostruire il ciclo ecologico delle molecole in termini quantitativi. Obiettivo di queste linee di ricerca è dunque produrre informazioni utilizzabili per il controllo dei contaminanti prima dell'immissione negli ecosistemi. Per esempio, negli anni Novanta, sono state bandite alcune sostanze a causa dei rilevanti danni ambientali e alla salute umana derivanti dal loro uso (DDT, Aldrin, Dieldrin). Quanto avvenuto ha dimostrato la necessità di valutare in anticipo i rischi connessi con l'uso di determinate sostanze chimiche. Di conseguenza, in diversi paesi sono state emanate leggi e regolamenti riguardanti le nuove sostanze chimiche di sintesi, di cui è prevista la produzione su scala commerciale, per le quali viene prescritta una serie di saggi tossicologici molto diversificati. Si tende inoltre a sottoporre alle stesse valutazioni anche sostanze già in uso, prodotte in quantità molto elevate, su cui non vi siano informazioni sufficienti per una valutazione del rischio ambientale.
Per classificare i composti in funzione della loro pericolosità, si sono sviluppate forme di indagine di vario tipo che prevedono la determinazione di alcune proprietà chimiche e l'effettuazione di saggi tossicologici da aggregare in vari modi. Sono stati definiti diversi sistemi integrati di valutazione (IRS, Integrated Rating System) di uso pratico, ma di modesto contenuto scientifico. Enormemente più ricca a livello informativo è invece l'applicazione all'ecotossicologia dei sistemi di valutazione quantitativa delle relazioni struttura-attività (QSAR, Quantitative Structure Activity Relationships). La correlazione fra la struttura molecolare e l'attività biologica è uno dei punti centrali della ricerca in ecotossicologia, ma i lavori sperimentali prodotti sono ancora poco numerosi.
Su questa non nuova problematica in tossicologia, solo alla fine degli anni Novanta sono stati tentati approcci quantitativi utilizzando gli organismi acquatici. l dati prodotti sono ancora troppo scarsi per permettere la formulazione di modelli previsionali sufficientemente precisi. Vi sono però buone prospettive di applicazione, come documentato da studi condotti sugli accumuli di alcune sostanze nel muscolo dei pesci, nei quali sono state messe in luce correlazioni fra il fattore di bio concentrazione e il coefficiente di ripartizione n-ottanolo/acqua.
L'applicazione su larga scala di tali metodologie e l'ulteriore sviluppo di ricerche in questo settore consentiranno la formulazione di liste di pericolosità più precise e scientificamente fondate. Approcci affmi sono rilevanti anche per la linea di ricerca non tradizionale che si occupa della ricostruzione in termini quantitativi del ciclo biogeochimico delle varie sostanze (fig. 2). Appare oggi più che mai profetica l'affermazione fatta da E.P. Odum (1959) che "la nuova generazione di ecologi dovrà conoscere il ciclo di ogni sostanza" (fig. 3).
Negli anni Novanta l'uso dell'analisi dei sistemi si è diffuso in ecologia, spingendo una parte dei ricercatori a spiegare il funzionamento degli ecosistemi per mezzo di modelli. Attraverso questo metodo è forse possibile superare alcune difficoltà nella comprensione del funzionamento complesso e dinamico di un ecosistema e dei suoi sottili meccanismi di controllo retroattivo. A tale scopo si dispone di modelli matematici di simulazione e ricerche condotte in ecosistemi parzialmente controllati che cercano di definire quantitativamente i cicli in forme ben più precise rispetto ai primi lavori sui pesticidi (Metcalf et al., 1971). Inoltre tali metodi sono certamente più pratici rispetto ai ponderosi modelli di dettaglio costruiti per alcuni contaminanti, come il DDT.
La problematica relativa alla defmizione di una concentrazione ambientale prevedibile (EEC, Estimated Environmental Concentration) è stata oggetto di varie ricerche teoriche (Baughman e Lassiter, 1978; Branson, 1978; Haque, 1980) nonché di tentativi di applicazione pratica. Dall' analisi delle linee di evoluzione della ricerca scientifica in ecologia, sembra possibile poter arrivare in un futuro non lontano a una gestione ambientale che tenga conto della possibilità di utilizzare appieno la capacità di assunzione, trasformazione e immagazzinamento tipica di ogni ecosistema.
Considerazioni sui tentativi di gestione in termini di ecosistema globale
Per il controllo delle sostanze che contaminano le acque, si sono attraversate approssimativamente le seguenti fasi: limiti agli inquinanti immessi negli effluenti, limiti nei corpi recipienti, eventuale loro classificazione. In alcuni casi i limiti sono stati fissati in modo da tenere conto della variazione annuale della concentrazione di inquinante, ammettendone una distribuzione normale, per esempio nel 50% dei casi la concentrazione doveva essere inferiore a un certo valore, nel 90% minore di un altro, ecc. In seguito ai risultati della ricerca scientifica, si è verificata la tendenza verso una gestione globale nel controllo dei contaminanti, i cui livelli sono regolati in tutti i passaggi (v. figura 1). Il controllo più semplice potrebbe essere il bando della sostanza (lista nera o uso strettamente controllato), mentre nei casi più complessi si dovrebbero imporre limiti alle quantità totali di inquinante da immettere nell'ambiente. Altre volte possono essere individuati e fissati obiettivi di qualità nei diversi comparti ambientali, incluso quello biotico, da ottenere mediante l'uso di modelli.
Al fine di ottenere un modello per il controllo dell'inquinamento, si parte dalla costruzione di un modello fisico che, mediante opportune equazioni, permetta di effettuare previsioni sulle variazioni, nello spazio e nel tempo, delle grandezze che caratterizzano lo stato di contaminazione di un ambiente e consenta di definire il ciclo biogeochimico di una sostanza. A questo scopo deve essere effettuata una scelta ragionata dei parametri, in numero il più ridotto possibile; tali parametri devono essere ritenuti rappresentativi dell'ambiente, del contaminante, degli effetti possibili e consentire, al tempo stesso, l'impiego di equazioni di bilancio di materia. Successivamente il modello deve essere perfezionato in modo tale da diventare previsionale, al fine di stabilire più precisamente le porzioni di ambiente su cui occorre intervenire, e da permettere di seguire l'evolversi del fenomeno ambientale in relazione a mutate condizioni chimiche, fisiche, biologiche e anche produttive. A questo punto, dopo i necessari controlli di sensibilità e stabilità del modello, si potranno effettuare le previsioni di impatto ambientale in funzione di possibili variazioni dei carichi inquinanti. Come ultima fase è necessario arrivare alla produzione di un modello di gestione per poter compiere le scelte quantitative che consentano interventi pianificati. Questo tipo di modello deve permettere di definire quantitativamente le grandezze sulle quali agire per raggiungere gli obiettivi di qualità ambientale, tenendo inoltre conto dei problemi di tipo socioeconomico.
Sono stati sviluppati programmi computerizzati relativamente semplici che permettono di calcolare la massima concentrazione di una sostanza organica in un ecosistema semplice. Tali programmi sono stati applicati per lo studio del comportamento ambientale di una decina di sostanze e hanno fornito risultati soddisfacenti. Combinando l'uso di scenari, l'analisi compartimentale e i dati di laboratorio, si possono inoltre definire i punti cruciali su cui condurre ricerche e ottenere stime più precise sul destino e la distribuzione delle sostanze inquinanti. Nei primi anni Ottanta è stata sviluppata e applicata una simile procedura per la stima della concentrazione ambientale di prodotti di largo consumo, quali detergenti e additivi contenuti nei detersivi. l parametri utilizzati nei calcoli sono stati i consumi procapite del prodotto e dell'acqua, la distribuzione e l'efficienza degli impianti di trattamento, le modalità di spandimento dei fanghi di risulta e infine il fattore di diluizione nelle acque riceventi. Si è dunque passati recentemente dalla costruzione di modelli puramente teorici a modelli operativi di simulazione su scala più o meno vasta.
Un esempio di strategia globale riguarda il controllo del fosforo, principale responsabile del fenomeno dell' eutrofizzazione delle acque interne e costiere. Per questo elemento sono stati valutati in prima istanza i dati disponibili per una scelta di strategie da applicare su scala nazionale; sono state poi individuate possibili linee di intervento per il controllo del fosforo derivante da diverse fonti (residui metabolici, detergenti, agricoltura, zootecnia, industria), infine è stata proposta una integrazione di varie linee di intervento tenendo conto della specificità geografica dei recapiti, della distribuzione dei tipi di carico nelle varie aree regionali e dei necessari strumenti giuridici, amministrativi e tecnici.
Anche per altre classi di sostanze sono già in atto progetti che tendono al controllo e alla gestione globale dei contaminanti, superando la problematica dei limiti agli effluenti e quella dei limiti per differenti comparti ambientali. Dall'inizio degli anni Novanta non vengono più proposte strategie di intervento 'a valle', incentrate solo sulla depurazione, ma progetti di intervento integrato a tutti i livelli possibili.
Conclusioni
Da quanto delineato in precedenza sulle diverse metodologie utilizzabili nella definizione di criteri di qualità per l'ambiente, emerge che il problema nel suo insieme necessita di differenti gradi di approfondimento. Un quadro generale di riferimento concernente le azioni che i paesi dovrebbero intraprendere per combattere gli effetti della contaminazione allo scopo di proteggere e migliorare la qualità delle risorse idriche, è contenuto nelle raccomandazioni della Conferenza sull'acqua delle Nazioni Unite, note come Mar del Plata action pian, ancora di grande attualità alla fine degli anni Novanta (UN. Water Conference, 1977). Il controllo e la gestione della qualità delle acque, nell'interesse generale della società, implicano dunque l'individuazione di priorità e di obiettivi, la selezione di criteri mediante i quali verificare la qualità in relazione agli obiettivi prefissati e infine la precisazione di standard per i criteri selezionati allo scopo di perseguire tali obiettivi. La determinazione di questi ultimi è un compito eminentemente politico che deve essere intrapreso sulla base di considerazioni sociali, economiche e tecnologiche, tenendo conto degli interessi divergenti dei diversi utilizzatori del bene acqua. La gestione effettiva delle risorse idriche dipende quindi in primo luogo dalla scelta di appropriati obiettivi sulla base dei quali è possibile selezionare criteri di qualità ottimali in funzione dei diversi usi e intraprendere le azioni necessarie per il controllo di qualità delle risorse idriche (tab. Ia e Ib). Nella scelta di tali criteri di qualità, al fine di costruire un ambiente di vita migliore, la ricerca esercita un ruolo fondamentale. Sfortunatamente non sempre sono disponibili dati scientifici certi e attendibili, in particolare per l'applicazione di modelli, per un'accurata analisi del comportamento e degli effetti dei vari contaminanti nell'ecosistema e per impostare una razionale gestione dei problemi connessi al deterioramento qualitativo degli ambienti. Questa carenza indica chiaramente l'importanza di sviluppare ricerche sui problemi relativi alla diffusione dei microinquinanti e la necessità di migliorare la connessione tra la produzione dei dati scientifici, la loro traduzione in norme amministrative e gli interventi gestionali.
Bibliografia citata
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