BASILIDE
. Famoso eresiarca gnostico del secolo II d. C. Fiorì, secondo il Chronicon d'Eusebio sotto l'imperatore Adriano; il suo apogeo è verso il 133 d. C. Quasi concordemente gli eresiologi lo fanno oriundo dalla Siria, discepolo dell'eretico Menandro, condiscepolo dell'eretico Saturnilo. Dalla Siria si sarebbe trasferito in Alessandria, dove prosperò la sua scuola. Dubbia appare invece la sua attività presso i Persiani di cui parlano gli Acta Archelai: forse è un'illazione dal carattere preponderantemente iranico della dottrina basilidiana. Secondo una notizia conservataci da Origene (Hom. I in Luc., op. III, 933), Basilide avrebbe osato contrapporre ai Vangeli canonici un suo proprio Vangelo intitolato "secondo Basilide". Di questo Vangelo nulla ci è giunto: le citazioni evangeliche dei frammenti di Basilide e di suo figlio Isidoro si richiamano di solito al Vangelo secondo Luca; un passo di Isidoro anche al Vangelo secondo Matteo; sicché rimane incerto se il Vangelo secondo Basilide fosse un'armonia dei quattro Vangeli sul tipo di quella di Taziano (così lo Zahn), o un'opera originale di Basilide (così il Harnack), oppure una redazione speciale del Vangelo di Luca, il Vangelo prediletto dagli eretici (così il Windisch). Sappiamo inoltre che sul Vangelo Basilide aveva scritto una grande opera esegetica in 24 libri: 'Εξηγητικά. Isidoro, figlio di Basilide scrisse un'opera intitolata Dell'anima concresciuta (Περὶ προσϕυοῦς ψυχῆς), un'opera di almeno due libri sul profeta barbaro Parchor (Τὰ τοῦ προϕὴτου Παρχὼρ ἐξηγητικά), e alcuni libri di etica ('Ηϑικά), che forse sono la stessa opera designata altrove col titolo Παραινετικά (Epif., XXXII, 3). Basilide si vantava di possedere tradizioni religiose barbariche dei profeti Bar Kabba e Barchof; suo figlio Isidoro, come abbiamo veduto, commentò le profezie di un profeta dal nome persiano Parchor, e sosteneva che Ferecide aveva plagiato un altro profeta barbaro, Cham. Inoltre Basilide e Isidoro rivendicavano come propria autorità gl'insegnamenti esoterici d'un Glaucia, presunto discepolo di Pietro e dell'apostolo Mattia, che sarebbe stato istruito esotericamente da Gesù (Clemente Aless., Strom., VII, 17, 106; Ippolito, Refut., VII, 20). Ma non soltanto a tradizioni si doveva richiamare Basilide; il suo insegnamento doveva rivendicare anche una personale rivelazione profetica di misteri gnostici (Epif., XXIV, 2). Concordemente Clemente Alessandrino, Tertulliano, Ippolito, Origene, Epifanio, gli Acta Archelai fanno dipendere l'eresia basilidiana dalla filosofia greca. Ma dai frammenti pervenutici sia di Basilide, sia d'Isidoro risulta invece che essi alle dottrine dei filosofi greci preferivano le tradizioni religiose dell'Oriente; per essi i sapienti greci, Aristotele non meno di Ferecide, erano plagiarî di questa sapienza religiosa esoterica.
La ricostruzione del sistema basilidiano presenta non lievi difficoltà. Gli eresiologi (fatta eccezione della Refutatio di Ippolito) ci presentano un sistema emanatistico complesso. Ma l'esposizione più antica, quella di Ireneo, non procede da conoscenza diretta, ma da una fonte che forse era il Syntagma antieretico di Giustino martire. Gli altri eresiologi, dove non dipendono da Ireneo, dipendono da un'altra fonte simile, il Syntagma di Ippolito Romano, non pervenuto a noi, e che se non attingeva esso pure da Giustino martire, insieme con Giustino doveva dipendere dall'opera di un certo Agrippa Castore, che fu il primo a polemizzare con Basilide (Κατά Βασιλείδου ἔλεγχος: cfr. Eusebio, IV, 7, 5-8). Invece, nella Refutatio a noi pervenuta, Ippolito Romano ci presenta un sistema basilidiano totalmente divergente non solo da quello degli altri eresiologi, ma, come ha dimostrato il Hilgenfed, anche dai frammenti pervenutici di Basilide e d'Isidoro: un sistema non emanatistico, ma evoluzionistico. Lo schema tramandatoci dalla Refutatio per sommi capi è questo. In principio era il nulla assoluto, l'οὐκ ὢν ϑεός. Da questo οὐκ ὢν ϑεός ha origine il "seme del tutto", costituito di non enti, e dal seme del tutto progressivamente tre figliolanze o υἱσϑεσίαι; di queste la prima, più lieve, ritorna senz'altro al Padre, la seconda con l'aiuto dello Spirito si leva in alto, ma s'arresta a mezza via e costituisce il firmamento. Sotto, dalla terza figliolanza deriva un primo ἄρχων, con un figlio, sua mente, e un'esade per completare l'ogdoade, infine un sistema di 365 cieli (Abraxas) fino al cielo della luna; sotto il cielo della luna un'eptade con un minore ἄρχων creatore del mondo materiale. La gnosi consiste nel risvegliare il senso della figliolanza, nel piegare gli arconti, che si credono ciascuno unica divinità, al riconoscimento del primo ineffabile Dio, e nel ricondurre attraverso la seconda figliolanza arrestatasi tutto lo sviluppo al primo οὐκ ὢν ϑεός.
Rimane dubbio se questo sistema esposto dalla Refutatio, di ispirazione piuttosto indiana che - come afferma Ippolito - aristotelica, e non senza affinità con gli scritti mandaici a noi pervenuti, rappresenti una fase successiva della scuola basilidiana, o se Ippolito abbia confuso un altro Basilide col più noto eresiarca, o se, come ritengono taluni (Salmon, in Hermathena, 1885, pp. 389 seg.; Stähelin, in Texte und Unters., VI, 3,1890), si sia lasciato ingannare da documenti falsi. Per rintracciare il vero Basilide bisogna rifarsi agli altri eresiologi. Ma anche qui abbiamo fonti torbide, per l'accanimento polemico, e perché si fa tutta una cosa di Basilide e dei Basilidiani, mentre invece da Clemente Alessandrino sappiamo che esistevano divergenze notevoli. Un certo risultato si può ottenere ricorreggendo, con i frammenti riportati da Clemente Alessandrino e dagli Acta Archelai, il sistema esposto dagli eresiologi.
Secondo gli eresiologi, Basilide da un Padre ingenerato ineffabile faceva emanare cinque ipostasi: Nous, Logos, Phronesis, Sophia e Dynamis (un passo di Clemente Aless., IV, 25, 162, aggiunge ancora Dikaiosyne ed Eirene, sicché le ipostasi costituirebbero un'eptade e con il Padre un'ogdoade). Il sistema ha affinità con le speculazioni iraniche sui cinque elementi trasfigurati in cinque elementi luminosi e con le speculazioni sugli Amesha Spenta (cfr. Reitzenstein-Schäder, Studien zum antiken Synkretismus aus Iran und Griechenland, Lipsia 1926, p. 285 segg.).
Da Dynamis e Sophia hanno origine potenze inferiori che creano il primo cielo; da queste, altre, che a imitazione del primo cielo creano il secondo; e così via via tutte le emanazioni, fino a costituire un tutto di 365 cieli, che si riflettono i più alti nei più bassi come un sistema di specchi. Il sistema costituisce un'unità divina designata come Abrasax o Abraxas, o Meithras (α′ + β′ + ρ′ + α′ + σ′ + α′ + ξ′ = 365; μ′ + ε′ + ι′ + ϑ′ + ρ′ + α′ + ς′ = 365). Questo sistema dell'Abrasax, secondo il Bousset (Hauptprobleme der Gnosis, Gottinga 1917, p. 329), sarebbe secondario rispetto al sistema del Dio supremo e della suprema pentade (o eptade). Però è pur esso una rielaborazione d'un tema religioso diffusissimo: d'una divinità αἰών sintesi di numerosi altri dèi corrispondenti alle divisioni del tempo (ore del giorno, mesi dell'anno; qui giorni dell'anno). Come ha dimostrato il Reitzenstein (Iran. Erlösungsmysterium, Bonn 1921, p. 151 segg.), questo motivo è d'origine iranica (corrisponde a Zervan Akarana) e alla sua provenienza iranica accenna il nome di Mitra; la sua diffusione in Egitto è stata studiata di recente da E. Norden (Das Geburt des Kindes, Lipsia 1924). La soteriologia basilidiana svolge il solito tema gnostico. Agli angeli della sfera infima, lontanissima da Dio e dalla vera gnosi, presiede un demiurgo creatore di questo mondo materiale pieno di miseria, patrono del popolo giudeo, e, per la sua predilezione per i giudei, in lotta assidua con gli altri angeli e gli altri popoli. Il Padre innato, commiserando la miseria degli uomini, invia il Nous suo primogenito a liberarli dal mondo e a disfare il mondo. Secondo gli eresiologi la manifestazione sarebbe stata rigorosamente docetistica: Christum autem non ab hoc qui fecerit mundum, sed ab illo Abraxa missum, venisse in phantasmate, sine substantia carnis fuisse (Pseudo-Tertull., 4). Non può patire per gli uomini, perché il dolore è attributo di sostanza diversa dallo Spirito, coerente al male che non può attingere il Nous. Sulla croce sarebbe stato crocifisso per un giuoco di prestigio non il Cristo, ma Simone il Cireneo, che aveva portato la croce. La redenzione sarebbe consistita nella rivelazione della gnosi del Padre ineffabile, nella dimostrazione dell'impotenza del demiurgo e degli angeli, nella liberazione dalla materia e dalle concrescenze di essa sull'animo. Perciò il mistero del ritorno e dell'apocatastasi delle anime nella luce ha l'aspetto di contemplazione e d'evasione silenziosa (al silenzio venivano assoggettati i novizî), di segreto non comunicabile; gli eletti sono rarissimi: uno su mille, due su diecimila evadono dal mondo e dal demiurgo. Conoscenza di nomi mistici (il nome mistico del Salvatore è Caulacau, che è la trascrizione del ritornello ebraico contenuto in Isaia, XXVIII, 10, //ebraico//), delle 365 potenze dell'Abraxas, magia, teurgia e riti osceni avrebbero costituito la dottrina basilidiana. Secondo un'accusa che risale ad Agrippa Castore, Basilide avrebbe negato la doverosità della confessione di Cristo, ed eventualmente, del martirio, e sostenuto che il confessare Cristo crocifisso equivaleva ricadere nella servitù del mondo. Non tutte queste affermazioni concordano con i frammenti dei fondatori della setta riportati da Clemente. Certamente una forma di cristologia docetistica appare consona al sistema; ma a un docetismo assoluto fa difficoltà un frammento che parla del calare del Nous diakonos al battesimo (quindi su Gesù che doveva avere una personalità umana; cfr. Strom., II, 8, 36; Excerpta e Theod., 16), e l'altro, che scandalizzava gli ortodossi, che il Cristo morendo aveva anche espiato colpe da lui commesse o in lui virtuali; a meno che questo passo non fosse nel contesto una polemica contro la tesi ortodossa che faceva effettivamente patire il Cristo. La negazione del martirio è esclusa, per Basilide, da un altro frammento pervenutoci (Strom., IV, 12, 81 segg.). Secondo Basilide anche il martirio è espiazione di colpe commesse, o virtuali, o d'una vita anteriore; ma egli non esclude che la confessione sia doverosa. Erano i suoi avversarî, p. es. Clemente, che deducevano che con ciò egli svalutasse il martirio. Probabilmente l'obbiezione fu trasformata in tesi positiva di Basilide. Anche la surrogazione di Simone al Cristo sulla croce pare voce calunniosa: certo contrasta con ciò che Basilide afferma esser proprio della volontà divina, cioè l'amar tutto, il non desiderar nulla, il non odiar nulla (Strom., IV, 12, 86). Di austerità e - notevole in un sistema che doveva fatalmente oscillare fra encratismo e libertinismo - di sobrietà assennata sono ricchi i frammenti di Basilide e d'Isidoro, e Clemente li contrappone al libertinismo gnostico della scuola più tarda. In tal senso vanno limitate le accuse degli eresiologi.
Infine un motivo fugacemente accennato dagli eresiologi, intenti al sistema delle emanazioni, grandeggia nei frammenti: il dualismo. Epifanio accenna che il motivo capitale della gnosi basilidiana è il problema del male. Clemente afferma che Basilide divinifica il diavolo. Isidoro sostiene che non è possibile moralità se non si ammette nell'uomo una duplice anima, e scrive un'opera sull'anima concresciuta, la quale procede non solo dal mondo animale, ma anche da quello vegetale e minerale. Il culmine della redenzione consiste nella rescissione di due nature mescolate, nella ϕυλοκρίνησις, nella ἐκλογή dell'elemento luminoso asservito ed avvilito nel miscuglio con la materia (σύγχυσις, τάραχος).
Concludendo, il sistema basilidiano si presenta come una rielaborazione di motivi religiosi iranici in forma di mistero: è una preformazione del manicheismo.
Fonti: Ireneo, Adv. haer., I, 24; Clemente Aless., Strom., I, 21, 146; II, 3,10; II, 6, 27; II, 8, 36; II, 20, 112-13; III, 1, 1-3; IV, 12, 81 segg.; IV, 25, 162; V, 1, 3; V, 11, 74; VI, 6, 53; VII, 17, 106; Excerpta e Theodoto, 16, 28; Pistis Sophia, c. 132; Tertulliano, De praescrip. haer., 7; Ippolito Romano, Refut. omn. haer., VII, 20-27; Origene, Homil. I in Luc. (ed. Delarue, III, 933); Homil. 34 in Luc. (III, 981); Hom. 7 in Jesu Naue interp. Rufino (II, 414); Comm. in Matthaeum, (III, 848); in Ep. ad Rom. (IV, 549); Eusebio, Hist. eccl., IV, 7, 3-8; Chron. ad ann. 133; Filostorgio, Acta Archelai et Manetis, cc. 67-68 (55); Epifanio, Panar., XXIV; Pseudo-Tertulliano, Haer., 4; Girolamo, De viris ill., 21; In Amos, 3; Epist., 75, 3; Ad Vigil., 6, 1; Agostino, De haer., 4; Filastrio, Haer., 32; Teodoreto, Haer. fab., I, 3-4; Arnobio giun., Praedest., haer., 1,3.
Bibl.: Oltre alle opere già citate, cfr. Hilgenfeld, Ketzergeschichte des Urchristentums, Lipsia 1884, p. 195 segg.; Krüger, in Realencyklopädie für protest. Theol., 3ª ed., II, p. 431 segg.; Bousset, in Enc. Britannica, s. v.; Leisegang, Die Gnosis, Lipsia 1924, p. 196 segg.