SABAZIO, Basilio
– È detto milanese nel frontespizio del suo Compendium gramaticae, stampato per la prima volta a Roma da Valerio Dorico nel 1540. Per la data di nascita ci si deve affidare alla congettura avanzata da Franco Bacchelli (1990, pp. 129 s. nota) che sia il «Basilius haereticus» di cui Gerolamo Cardano pubblicò il tema natale nel De exemplis centum geniturarum (1547). Secondo questo oroscopo sarebbe nato il 9 maggio 1488, il che esclude l’identificazione con il poeta e canonico lateranense Basilio Zanchi, bergamasco, che si attirò anch’egli accuse di eresia, nato nel 1501.
La prima notizia certa che lo riguarda risale al 2 marzo 1533, quando Lazzaro Bonamico, rispondendo per lettera da Padova a Romolo Amaseo a Bologna (in Bacchelli, 1990, pp. 114-116), traccia un ritratto fortemente negativo di Sabazio, basato su notizie fornitegli da un Lucanus che l’anno precedente aveva seguito i corsi di medicina e filosofia tenuti da Agostino Nifo nello Studio di Napoli. Sabazio, uomo «extremae temeritatis», si era portato a Napoli (forse in un convento) intenzionato, pare di capire, a trascorrervi un’esistenza quieta e secondo religione («cum religionis causa [...] in solitudinem urbanam Neapoli se contulisset, et devotione publica secundum leges reliquam se vitam et caste et integre acturum declarasset», p. 115), ma aveva dato scandalo con una condotta reprensibile sul piano morale e religioso, giungendo a professioni di aperta eterodossia («aperte iam omnibus neque religionis communem cultum, neque viate tueri se velle significaret», p. 115).
Le parole di Bonamico non consentono di ricostruire il percorso intellettuale di Sabazio, né se la sua uscita dalla religione («abiecto contra leges insignis eius ordinis habitu», p. 116) sia avvenuta durante il soggiorno napoletano o risalisse a prima; tuttavia l’apostasia – se esattamente di questo si tratta e non di una condotta non conveniente all’Ordine di appartenenza punita con l’espulsione – non emerge con l’urgenza di un evento recente. A Napoli Sabazio aveva sostenuto in campo astronomico tesi radicali contrarie all’autorità di Aristotele, Tolomeo e degli altri antichi, che avevano suscitato la derisione degli uditori per la loro audacia. Queste tesi erano probabilmente oggetto di una missiva che aveva scritto al medico pavese Matteo Corti, al quale non erano estranei interessi astronomici (uno scritto sui Meteorologica di Aristotele è conservato a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Sussidio, B.S.VIII.10 e F.57, cfr. Iter Italicum, I, London-Leiden 1965, p. 346a). Poiché la lettera (spedita «una cum egregiis scriptis», dice Bonamico, p. 116, forse equivocando, perché Sabazio parla di una «disputatio nostra de coelo», p. 119, che si accingeva a spedire a Corti propediem) non era giunta al destinatario, egli si era lamentato che non fosse stata consegnata di proposito da amici comuni di Bonamico e Amaseo, a lui ostili. La dedica del Compendium gramaticae restituisce due titoli – Tractatum sphaerae e Praeceptio de natura corporum coelestium – che dovrebbero indicare le opere in cui l’elaborazione teorica di Sabazio si sarebbe concretizzata, entrambe perdute.
Con le poche tracce offerte dalla testimonianza – da misurare con prudenza – di Bonamico convergono le notizie riportate da Cardano. Egli riconosce che l’influenza di Giove e Mercurio produsse in Sabazio «eloquentiam et consilium», ma aggiunge: «sed repugnantem sententiam communi sententiae praestat, inde haereticus iudicatus, infamiam, carceres et vitae pericula acerba subiit, non solum in sacra pagina sed in omnibus disciplinis (plures enim callet) inauditas et absurdas excogitavit opiniones» (Cardano, 1547). Per una testimonianza sulla molteplicità degli interessi di Sabazio e sul suo anticonformismo si veda oltre, ma quello definito da Cardano è un movimentato itinerario di eterodossia religiosa che contemplò persecuzioni, condanna e carcere («fuit autem in eis [scil. carceri] non semel: quandoque etiam ad perpetuos damnatus»), del quale sinora non sono emerse tracce. Viene da pensare piuttosto a un intellettuale eccentrico, che si espose con imprudenza sostenendo teorie poco accettabili per l’epoca, e perciò colpito dalla censura ecclesiastica, ma non a un vero e proprio eresiarca, le cui tesi costituissero una minaccia diretta sul piano dottrinale.
L’epistola a Corti, datata Napoli 17 ottobre 1532, è conservata dal ms. E.36 inf., cc. 80r-82r della Biblioteca Ambrosiana. Si sono perse le tracce invece della disputatio di cui vi si fa parola e che doveva contenere una esposizione sistematica delle tesi sabaziane. Nella lettera egli ne espone una sintesi, sostenendo di essere riuscito a dimostrare la posizione sovralunare delle due comete osservate nel 1531 e 1532, scoperta che determina una svolta nella concezione astronomica tradizionale. Le comete non sono un fenomeno meteorologico, ma appartengono al mondo astrale e costituiscono la prova della fluidità e penetrabilità dei cieli, quindi della continuità tra mondo sublunare e celeste, nel quale ultimo si succederebbero generazione e corruzione non diversamente dal mondo sublunare, sia pure in tempi lunghissimi. La teoria comportava effetti anche sul piano teologico, perché veniva a cadere l’esistenza di un luogo eterno e immutabile destinato a ospitare le anime dopo la separazione dal corpo e questo aspetto (colto, per esempio, da Bonamico nella sua lettera), minando una struttura ordinata e provvidenziale del cosmo stabilita ab aeterno da Dio, conferiva alle tesi sabaziane un’aura di empietà, che fu un aspetto non secondario delle reazioni ostili che riscossero.
Tracce dell’intervento di Sabazio nelle discussioni astronomiche del momento emergono da una lettera di Girolamo Fracastoro a Pietro Bembo del 17 novembre 1541, nella quale il letterato veronese dichiara di avere composto una integrazione ai suoi Homocentrica (Venezia, Giunti, 1538) per rispondere alle obiezioni sollevate da Ludovico Boccadiferro e da Sabazio, nonché a quelle di Gasparo Contarini, che dovrebbero risalire addirittura al 1531 e di cui Fracastoro aveva già tenuto conto nella stampa.
Se, come pare di capire, le obiezioni di Boccadiferro e Sabazio erano successive all’edizione, ciò costituirebbe un termine post quem per la data di morte. È verosimile che le tesi rivoluzionarie di Sabazio lo avessero portato a contestare la concezione di Fracastoro, fondata su un’esigenza, più filosofica che astronomica, di simmetria e di armonia all’interno della natura e del cosmo, che tendeva a escludere elementi perturbatori.
Il medico e matematico comasco Francesco Cigalini replicò alle tesi di Sabazio in una lunga epistola, De numero et motis corporum coelestium, posta in apertura del suo Coelum sydereum secundum globorum coelestium numerum, cursum, et influxum emensuratum... (Comi 1655, pp. 1-84, seguita da una Apologia in Basilium Sabatium, che altro non è che l’elenco dei marginalia della epistola pp. 85-104). All’inizio della epistola Cigalini accenna inoltre a una Apologia de Natale Christi in cui aveva confutato le tesi di Sabazio sulla data della nascita di Cristo, oggi ancora non rinvenuta, la cui esistenza è confermata da Giuseppe Rovelli (1803, p. 244).
In una lettera diretta al cardinale Benedetto Accolti, non datata, ma che potrebbe risalire alla fine degli anni Trenta, il medico ferrarese Sozzino Benzi si difese dall’accusa rivoltagli dal segretario ducale e accademico Elevato Bartolomeo Ferrini di avere contribuito alla dimostrazione delle tesi sabaziane sulla continuità tra mondo sublunare e celeste. L’apologia di Benzi costituisce uninteressante illustrazione delle tesi contestate, fondata sulla conoscenza diretta del perduto trattato di Sabazio, che Benzi cita in un paio di punti. La confutazione rigorosa svolta da Benzi è altresì la testimonianza che la proposta di Sabazio era stata presa in qualche considerazione nel mondo accademico, suscitando reazioni vivaci, ma anche repliche argomentate.
Secondo Bacchelli (1990) la visione di Sabazio avrebbe, però, esercitato la sua influenza più grande sul poema cosmologico De principibus rerum dell’accademico pontaniano Scipione Capece, edito a Venezia dagli eredi di Aldo Manuzio nel 1546, nel quale tornano le tesi sabaziane della continuità tra mondo sottolunare e sovralunare, della fluidità e corruttibilità dei cieli.
A Napoli Sabazio fu in contatto con gli ambienti dell’Accademia. In particolare, coltivò l’amicizia di Giano Anisio, i Varia poemata et satyrae del quale, pubblicati nel 1531 (Neapoli, G. Sultzbach), si aprono con una sua minuscola prefazione, mentre nel volume compaiono due carmi a lui diretti, nell’ottavo libro, risalente al 1527 circa, e nel nono, composto verso il 1528 (cc. 117rv, 143v). Nei Variorum poemata libri duo (Neapoli, 1536, c. 22rv) Anisio indirizza a Sabazio un epigramma sulla propria tragedia Protogonos apparsa in quell’anno, e nelle Epistolae de religione et epigrammata (Neapoli, 1538, c. 15v) un epigramma di significato impenetrabile. Marco Antonio Ateneo Carlino introduce Sabazio come interlocutore nel primo (e solo) ragionamento della sua Grammatica volgare (Neapoli, G. Sultzbach, 1533), come sostenitore della necessità di una normazione grammaticale del volgare. Soltanto superficiali registrazioni, utili appena a confermare la popolarità del personaggio, sono le occorrenze del nome di Sabazio nelle opere di Niccolò Franco, non prima del 1538, nelle quali egli è coinvolto nel giudizio sprezzante che in genere Franco esprime sull’intera cultura napoletana dell’epoca («Basilio disnor di tutti i preti», in Franco, 1916, n. 159, v. 10).
Gli studi grammaticali si concretizzarono nel Compendium gramaticae pubblicato a Roma nel 1540 per Valerio Dorico e ristampato cinque anni dopo. Accompagna l’edizione un ampio paratesto, composto da una dedica del curatore Quintilianus Burnus Soranus al reverendo Agapito Bellomini, patrizio romano, segretario apostolico, da epigrammi di Niccolò Scevola da Spoleto, Giovan Battista Pio, Leonardo Marso, Ambrogio Novidio Fracco, Giovanni Valerio Franco da Anagni e da una lettera di quest’ultimo «studioso lectori».
Poiché nella dedica Quintiliano si sofferma sulle cure editoriali da lui profuse nell’edizione («opus mea industria ac diligentia pluribus in locis in quibus ipsi met impressores lapsi erant emendatum dicere possem»), se ne ricava che l’autore non era più in vita. E poiché Franco nella sua epistola invita il lettore ad accogliere con benevolenza «haec, quae tibi Quintilianus meus [...] Sora Romam attulit, quaeque velut ex umbra in solem quam emendatissimis typis excusa producit», si inferisce che l’opera doveva avere avuto sinora una esistenza riposta (tranne Pio e Scevola, i nomi del paratesto denunciano una origine ciociara), il che spiegherebbe anche l’abbondanza di testi proemiali – nessuno diretto all’autore, ma solo impegnati nell’elogio dell’opera – che salutano la grammatica di Sabazio come un’opera originale e innovativa. Una seconda edizione apparve parecchio tempo dopo, per i tipi di Antonio Blado, con una nuova prefazione di Curio Regolo Sorano al cardinale Michele Bonelli, nipote di Pio V, che rielabora quella precedente, e la rimozione del resto dei testi liminari delle stampe Dorico.
Invariato nelle due prefazioni resta il tema centrale della novità del metodo seguito dall’autore, che aveva approfondito lo studio della materia superando i lavori di chi lo aveva preceduto e realizzando un manuale destinato non solo a un pubblico di discenti. A Sabazio è riconosciuto inoltre di avere spaziato in vari ambiti: «dialecticam diciplinam ita restituit ut non minus futura sit nova et (ut ipse inquit) emendata et commoda quam grammatica, eodem modo tractatum sphaerae, praeceptionem de natura corporum coelestium ac multa etiam alia a philosophantium opinione valde diversa, quibus quidem rebus tanta sibi gloriam comparavit, ut nihil ad summam gloriam desit» (1540, c. A 2rv). Nell’accenno al dissenso dall’opinione filosofica dominante si intravede l’allusione alle teorie astronomiche che tante critiche gli avevano attirato, e ora che non c’era più potevano essere rievocate come prova di originalità e indipendenza intellettuale.
Infine, singolare testimonianza della considerazione di cui Sabazio godette in ambienti curiali è una lettera di poche pagine, trasmessa dal ms. Vat. lat. 6210, cc. 200r-203r (edita parzialmente in Bacchelli, 1990, pp. 127 s. nota), nella quale comunica a un papa, che dovrebbe essere Paolo III, consigli sulle modalità di convocazione del concilio che il pontefice gli aveva richiesto.
Fonti e Bibl.: N. Franco, Pistole vulgari, Venezia 1539, c. XCVIv; G. Cardano, Libelli quinque, Norimbergae 1547, c. 168v; F. Giuntini, Speculum astrologicum universam mathematicam scientiam in certas classes digestam complectens..., I, Lugduni 1583, pp. 438 s.; G. Fracastoro - A. Fumano - N. Archi, Carminum... Tomus I, In hoc Italicae Fracastorii Epistolae adiectae, Patavii 1739, pp. 73 s.; G. Rovelli, Storia di Como, III, 2, Como 1803, p. 244; N. Franco, Rime contro Pietro Aretino, a cura di E. Sicardi, Lanciano 1916, n. 159; F. Bacchelli, Sulla cosmologia di B. S. e Scipione Capece, in Rinascimento, s. 2, XXX (1990), pp. 107-152; N. Franco, Dialogi piacevoli, a cura di F. Pignatti, Manziana 2003, p. 173 nota 16; E. Peruzzi, La nave di Ermete, Firenze 2005, p. 5; N. Franco, Epistolario (1540-1548). Ms Vat. Lat. 5642, a cura di D. Falardo, Stony Brook (NY) 2007, p. 51; G. Liboni, Sozzino Benzi, B. S. e la corruttibilità del cielo. La controversia cosmologica in una lettera al cardinale Benedetto Accolti, in I castelli di Yale, IX (2009), pp. 123-169; Id., Sozzino Benzi e il suo inedito, 2009 ‹http://eprints.unife.it/100/ 2/pp1-59.pdf.› (18 maggio 2017), passim; Id., Dispute ‘pubbliche’ nella corrispondenza ‘privata’: il caso di Sozzino Benzi nel dibattito cosmologico del Cinquecento, in Vita pubblica e vita privata nel Rinascimento. Atti del XX Convegno internazionale (Chianciano Terme-Pienza... 2008), a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze 2010, pp. 719-734, passim.