BASSO
. È la più grave delle voci umane e si distingue in due gradazioni: quella di basso-cantante e quella di basso-profondo, rispettivamente con le estensioni seguenti:
Questa voce ha in tutta l'estensione un solo registro, quello di petto. La voce del basso-cantante è ampia, maestosa e proclive al moto e alle varie inflessioni; quella del basso-profondo è più pesante, ma ricca di note potenti, atte a sostenere l'edificio sonoro.
La voce di basso fu largamente usata nell'antica musica polifonica sacra e profana a 4 voci (cantus, altus, ienor, bassus), nella quale, quando il numero delle voci aumentava, il tenore e il basso venivano divisi in 1° e 2°, ma la loro estensione rimaneva immutata. Più tardi la voce di basso entrò anche nell'opera teatrale, dove, se nei primi tempi furono più largamente usate le voci acute (dei cantori evirati), in progresso di tempo acquistò sempre maggiore importanza. Fu ammessa nell'opera buffa prima che in quella seria (v. qui sotto) e in questa assunse specialmente col Rossini l'importanza che poi conservò. Si potrebbe anzi ricordare che il Rossini stesso, nei suoi primi lavori, seguì il costume del tempo, facendo pochissimo conto della voce di basso, tanto che nell'Elisabetta Regina d'Inghilterra (1815) scrisse per tenore così la parte dell'amoroso Leicester come quella del traditore Norfolk. Più tardi invece si valse largamente della voce di basso in molte opere sue, serie e buffe, come se ne valsero ampiamente i più grandi compositori suoi contemporanei o suoi successori. Il basso è protagonista nel Mosè di Rossini, nel Mefistofele di Boito, nell'Ariane et Barbebleu del Dukas, ed ha parti importantissime in altre opere: quelle di Beltramo nel Roberto il diavolo e di Marcello negli Ugonotti del Meyerbeer, del Cardinale nell'Ebrea dell'Halévv del Padre guardiano nella Forza del destino e di Filippo nel Don Carlos del Verdi, di Mefistofele nel Faust del Gounod, di Wotan nella Tetralogia wagneriana, di Dositeo nella Kovančina di Musorgskij.
Il Selva, il Lablache, il Porto, il Marini, il Castellani, il Negrini, il Castelmary, il Cartagenova, il Medini, il Maini, il Tamburlini, lo Junca, il Nannetti, il Boudouresque, il Navarrini, lo Šaljapin furono celebratissimi bassi.
Basso comico. - Tipo di voce che, avvicinandosi a quella del basso, si presta all'esecuzione delle parti giocose nell'opera buffa.
Nell'opera comica dal'700 in poi il basso comico, o buffo, ebbe grande importanza e assunse diversi caratteri: si distinse, oltre che in primo, secondo, terzo buffo, secondo l'entità della parte e la valentia dell'artista, anche in buffo nobile, di mezzo carattere, caricato, cantante, ecc. Nel basso comico, più che potenza e bellezza di voce, si richiedorio limpida e chiara dizione, abilità nel rappresentare il personaggio, arte scenica e schietta comicità.
In molte opere buffe il basso comico fu chiamato ad impersonare figure e tipi particolarmente caratteristici. Tali, ad esempio, le figure del protagonista nel Socrate immaginario; del marchese Tulipano nell'opera omonima; di don Bartolo e di don Basilio nel Barbiere di Siviglia del Paisiello; quelle di don Geronimo nel Matrimonio segreto e di Bernardone nel Giannina e Bernardone del Cimarosa; di don Bartolo nel Barbiere di Siviglia; di Taddeo nell'Italiana in Algeri; di don Magnifico nella Cenerentola del Rossini di Dulcamara nell'Elisir d'amore del Donizetti; di don Bucefalo, di Crispino, di Pipelet, di don Checco, nelle relative opere del Cagnoni, dei fratelli Ricci, del De Ferrari, del De Giosa.
Tra gli artisti che come bassi comici conseguirono maggiore celebrità possono citarsi il Casacciella, il Fioravanti, il Frezzolini, l'Altini, il Cambiaggio, lo Scalese, il De Grecis, il Remorini, lo Zucchini, lo Zucchetti, lo Zamboni, il Savoja, il Barilli, il Bottero.
Basso degli strumenti.
In organologia la parola "basso" viene applicata agli strumenti di registro grave con criterio di rapporto e di riferimento all'estensione dei suoni che possono essere emessi da tutti gli strumenti della medesima specie o famiglia. Così il fagotto e controfagotto possono essere detti i bassi dei legni, e quando dei fagotti si usava un'intera famiglia, si aveva il fagotto soprano, contralto, tenore e basso. Così si dica del flauto, dell'oboe, ecc. Il contrabbasso e il violoncello sono i bassi degli strumenti ad arco (donde l'indicazione "basso" nelle antiche partiture nelle quali pur essendo uguale la nota scritta, l'effetto risultava in ottava). Nell'organo con questo termine si designano generalmente i suoni compresi nel gioco della pedaliera.
Basso d'armonia.
Basso continuo (fr. basse chiffrée; sp. bajo cifrado; ted. Generalbass; ingl. thorough bass). - Forma d'accompagnamento improvvisato propria dei sec. XVII e XVIII. Già nel sec. XVI gli organisti (specialmente veneti e bolognesi) annotavano sulla parte o voce più bassa delle composizioni il riassunto delle note delle altre parti o voci, con qualche segno o numero d'intervallo; ne risultava una catena d'accordi, che formava lo sfondo armonico del pezzo. Nel '600, col prevalere della melodia accompagnata, si usava scrivere ogni sorta di musiche come una melodia appoggiata, per così dire, su una parte di basso che andava da un capo all'altro del pezzo; era il basso continuo o seguente. Chi accompagnava improvvisava, sul liuto o chitarrone o clavicembalo od organo, una parte a proprio gusto, in piena libertà, oppure sulla base di qualche indicazione che il compositore aggiungeva al basso. Quest'abitudine durò fin verso l'ultimo quarto del'700, quando si affermò lo stile "elegante" o "espressivo"; e in alcuni paesi (come l'Inghilterra) sopravvisse ancora per qualche tempo.
Dalle due origini indicate sopra v'è chi distingue due concetti: il basso che, con i numeri, serve a realizzare una polifonia pensata dall'autore (una volta si diceva anche partitura d'organo); ed il basso che, con i numeri, serve solo ad indicare qualche accordo a sostegno del canto, come nel recitativo secco. Le due varietà si confondono, nella storia e nella pratica, e le espressioni basso continuo e numerato si trovano adoperate indifferentemente.
Col mutare degli stili musicali, il carattere del basso continuo variò di conseguenza. Già dal principio del sec. XVII vi furono pezzi con poche o persino nessuna indicazione armonica (come il seguente frammento di Stradella), tant'era ovvia l'armonia pensata dal compositore; altri invece, p. es. quelli che scrivevano nello stile cromatico (v. cromatismo), dovevano indicare accordi che l'accompagnatore non avrebbe potuto immaginare da solo.
Ma, mentre nel recitativo secco l'accompagnatore non doveva dare altro che i pochi accordi di sostegno indicati dai numeri (donde il nome di basso numerato), o che facilmente s'intuivano leggendo il basso, nella musica strumentale e in quella a più voci il basso continuo era legato dall'intreccio delle varie parti con elementi e sviluppi tematici e imitazioni. Perciò le musiche con basso continuo non possono venir eseguite e apprezzate altrim-rlti che realizzando un simile accompagnamento (che ai nostri giorni dev'essere scritto e con grande cura), non solo con correttezza armonica e contrappuntistica, ma, anche più, con osservanza dello stile, nel quale è ora quanto mai arduo (se non impossibile) rivivere totalmente, spogliandosi delle abitudini e della sensibilità odierne. E in tal caso è facile cadere nell'aridità.
Da principio si usarono numeri fino al 14. Poi si vennero fissando numeri e convenzioni nel modo seguente: l'assenza di segno e di numero su una nota del basso significa accordo di 3a e 5a; un 6 significa accordo di 3ª e 6a; un 3 sotto un 4 esprime l'accordo di 3a, 4a e 6a. Un diesis o un bemolle posto da solo sopra una nota o sopra o sotto un 6 si riferisce alla 3a della nota del basso; se invece è posto davanti a un numero, l'alterazione si riferisce alla nota espressa dal numero stesso. Secondo i paesi, i tempi e i maestri, le alterazioni s'indicavano anche in altre maniere, p. es. con numeri tagliati od altro. Uno zero sopra una nota di basso vale "tasto solo", cioè nota senz'armonia.
La maniera di concepire e di scrivere il basso continuo dava la visione anche grafica dell'entità e della struttura degli accordi e del loro concatenamento; si andò quindi riconoscendo la logica armonica, e formulando quegli schemi tipici che si dissero cadenze (v.). Il loro uso portò a un vero formulismo, che finì per cristallizzarsi in Italia nella regola dell'ottava (nota specie attraverso F. Fenaroli); cioè una buona armonizzazione delle scale maggiore e minore secondo il gusto del tempo. Nell'applicazione, ogni volta che si presentava un dato grado del basso vi si sovrapponeva quel dato accordo.
Il basso continuo sopravvive tuttavia nelle scuole d'armonia, dove l'insegnamento ha ancora per base il realizzare l'armonizzazione d'un basso con o senza numeri. In alcune scuole si adoperano anzi tuttora i bassi del '700. Le indicazioni del basso continuo non esprimevano il valore teorico né quello dinamico dei varî accordi; p. es. erano accordi di 3a e 5a tanto quello di tonica, cioè di riposo, quanto gli accordi di sottodominante e di dominante, cioè di moto. Difatti il basso continuo s'era andato formando prima che si costituisse una vera teoria armonica; G. F. Rameau tentò sopperire a tale deficienza, ma con esito poco felice, e nel sec. XIX A. von Oettingen e H. Riemann modificarono le indicazioni del basso continuo così da far loro esprimere almeno in parte la funzione, cioè il valore, dei varî accordi. Sull'evoluzione della teoria armonica v. armonia.
Basso Albertino: v. alberti, domenico.
Basso ostinato (fr. basse contrainte). - È il ripetersi d'una stessa frase o periodo melodico nella parte più grave d'un pezzo, mentre al disopra si svolgono contrappunti, o comunque elaborazioni sempre diverse. Il basso ostinato può essere assoluto, quando il basso non fa altro che ripetere la frase ostinata, o può anche essere quasi ostinato, se la frase insistente si alterna con altre più o meno libere. Questo basso è il germe di forme come il pes, la follia, il ground (inglese), la ciaccona, la passacaglia. L'origine di esso si può far risalire al sec. XII, quando si scrivevano mottetti contrappuntati su brevi frammenti di canto-fermo. Anche si può connettervi la composizione di messe e mottetti della scuola franco-fiamminga del Quattro e Cinquecento, su canti-fermi e canzoni popolari con imitazioni e canoni a varie combinazioni d'intervalli e di valori di durata. Nel '500 il basso ostinato ebbe notevole importanza nella musica strumentale; dapprima in quella spagnola (nelle "improvvisazioni" per viola da gamba, nelle fantasie, glosse e "differenze" dei liutisti e organisti), poi nella musica dei virginalisti e dei compositori inglesi per strumenti ad arco. Nel '600 fu accolto dai maestri italiani della "canzon francese", e raggiunse il massimo fiore intorno al '700 nella cantata e nell'aria d'opera italiana.
Bibl.: H. Riemann, Basso ostinato und basso quasi ostinato, in Liliencron-Festschrift, Lipsia 1910.