Ravenna, battaglia di
Nei pressi della cittadina romagnola, tornata nel 1509 sotto il controllo della Chiesa, la domenica 11 aprile 1512, giorno di Pasqua, si combatté la battaglia decisiva fra le truppe spagnole e pontificie dell’esercito della lega Santa voluta da Giulio II (con alla testa il viceré di Napoli Ramón de Cardona →) e le truppe francesi comandate da Gaston de Foix, «giovane et crudele» (come lo definì Francesco Vettori in una lettera a M., 20 ag. 1513, Lettere, p. 282). Nato nel 1489 da Jean de Foix e Marie d’Orléans, sorella di Luigi XII, monsignore di Foix, duca di Nemours nel 1505, Gaston fu nominato luogotenente regio dopo la morte di Charles de Chaumont il 10 febbraio 1511 e morì appunto durante la battaglia di Ravenna. Nelle opere di M. il nome di Foix compare a proposito della b. di R. (Discorsi II xvi 26-xvii 31), ma anche della scelta della via «più corta», attraverso le terre del marchese di Mantova, per andare da Bologna a Brescia (Discorsi III xliv 9-11) e della presa di Brescia senza ricevere danno dalle artiglierie dei veneziani (Discorsi II xvii 12-13 e xxiv 44-46).
Dalla fine del dicembre 1511 all’11 aprile 1512, Foix fece ciò che lo storico Jules Michelet ebbe a chiamare «une course [...] qui fut toute sa vie et son immortalité» (Renaissance et Réforme. Histoire de France au XVIe siècle, 1982, p. 151). La «celerità» di Foix, sottolineata dai contemporanei, è legata alla necessità nella quale si trovava allora la Francia: Foix ricevette dal re Luigi XII l’ordine di vincere al più presto la guerra in Italia, affinché il reame potesse far fronte alle minacce degli inglesi, degli svizzeri e degli spagnoli dalla parte dei Pirenei. Nella sua «corsa», Foix passò da Milano a Bologna (dove entrò per aiutare i difensori accerchiati dalle truppe spagnole e pontificie), sconfisse in campo aperto le truppe veneziane di Giampaolo Baglioni, riprese Brescia (che era stata occupata, all’infuori della cittadella, dai veneziani) e pose l’assedio a Ravenna, difesa da Marco Antonio Colonna; lì, poté finalmente affrontare l’esercito della lega Santa. Foix cadde, secondo i più, in un’ultima carica contro la fanteria spagnola che si ritirava in buon ordine; oppure, secondo l’ambasciatore fiorentino Francesco Pandolfini, nel pieno del combattimento, in un tentativo di incoraggiare i fanti guasconi che combattevano la fanteria spagnola. Pandolfini aggiunge che la morte di Foix, di numerosi capitani, nobili e soldati francesi mutò il segno stesso del fatto d’armi: «più presso al pericolo fu il vincitore che il vinto» (Relation de la bataille de Ravenne, in Négociations diplomatiques [...], éd. G. Canestrini, A. Desjardins, 2° vol., 1861, p. 581). I francesi vinsero tecnicamente la battaglia, ma persero la guerra.
L’obiettivo strategico della ‘corsa’ di Foix e della b. di R. era di continuare l’offensiva fino a Roma e a Napoli; è da notare che quest’ultima ipotesi è presente in una lettera di Piero Guicciardini al figlio Francesco, il 30 aprile 1512: «[...] e per lettere ci furno non hier l’altro da messer Antonio Strozzi, s’intende el papa seguitare in mostrare di volere accordo, venendo queste gente franzese innanzi» (F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, 1° vol., 1986, p. 108). Il risultato fu ben diverso. Una lettera mandata dai Dieci a Francesco Guicciardini il 17 maggio 1512 lo dice con molta chiarezza:
[e Franzesi] havendo lasciato Romagna, da poche forteze in fuora, vacua et libera d’ogni gente, il papa facilmente è tornato sulle speranze vecchie [...] e si può dire, quanto alla guerra et quanto alla pace, che le cose di qua sieno ne’ medesimi termini che erono 3 o 4 mesi sono et tanto peggio quanto adlhora la guerra era in un luogo solo et hoggi si mostra dovere essere et farsi in molti (F. Guicciardini, Le lettere, cit., pp. 125-26).
Le vittorie di Foix a Bologna, Brescia e Ravenna non avevano risolto la guerra: anzi, la situazione era peggiorata al punto che nel giro di poche settimane i francesi dovettero lasciare la Lombardia. L’argomento è trattato da M. nel Principe, ma dal punto di vista di Giulio II, che aveva fatto l’errore, «per volere Ferrara», di affidare la propria sorte ad armi «ausiliarie» e a «uno forestieri»: soltanto
la sua buona fortuna fece nascere una terza cosa, acciò non cogliessi el frutto della sua mala elezione: perché, sendo gli ausiliarii suoi rotti a Ravenna, e surgendo e’ svizzeri che cacciorno e’ vincitori fuora di ogni opinione e sua e d’altri, venne a non rimanere prigione delli inimici, sendo fugati, né delli ausiliarii sua, avendo vinto con altre arme che con le loro (Principe xiii 4).
Quando parla della «zuffa di Ravenna», in Discorsi II xvi (Quanto i soldati de’ nostri tempi si disformino dagli antichi ordini), M. afferma nondimeno che questa «fu secondo i nostri tempi assai bene combattuta giornata» (§ 26). In una lettera al fratello Luigi, Francesco Guicciardini lo ringrazia per avergli mandato un testo di M. (che purtroppo non ci è pervenuto) sulla «rocta» di Ravenna; egli rimprovera d’altronde a M. di averlo scritto «a passione, et maxime circa al numero de’ morti, diminuendoli da una parte et dalla altra accrescendoli» (F. Guicciardini, Le lettere, cit., p. 203). Nella Storia d’Italia, Guicciardini, paragonandola con altre battaglie importanti delle guerre d’Italia, presenta anch’egli quella di Ravenna come
una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia: perché e la giornata del Taro era stata poco altro più che uno gagliardo scontro di lancie, e i fatti d’arme del regno di Napoli furono più presto disordini o temerità che battaglie, e nella Ghiaradadda non aveva dell’esercito de’ viniziani combattuto altro che la minore parte (Storia d’Italia X xiii, a cura di S. Seidel Menchi, 1971, p. 1037).
Questa valutazione è confermata dai testimoni oculari: Pierre du Terrail, conosciuto come il cavaliere Bayard, in una lettera al vescovo di Grenoble (cit. in La très joyeuse, plaisante et récréative histoire du gentil seigneur de Bayard [...], éd. J. Roman, 1878, pp. 432-35), numerose testimonianze confluite a Venezia e riportate da Marin Sanudo (Diarii, a cura di N. Barozzi, G. Berchet, F. Stefani, R. Fulin, 14° vol., 1886), il già citato Pandolfini, uno dei due ambasciatori fiorentini presenti sul campo di battaglia.
Anche l’altro ambasciatore fiorentino, Niccolò Capponi, scrisse una relazione della battaglia, ma sembra sia andata persa; fu letta da Iacopo Guicciardini che, in una lettera del 15-16 aprile 1512 mandata al fratello Francesco, allora ambasciatore della Repubblica fiorentina in Spagna, così la cita: «El numero de’ morti scripse allora Niccolò Capponi essere suti 12 mila dell’un campo e dell’altro» (F. Guicciardini, Le lettere, cit., p. 100). Tutti del resto insistono sulla violenza di quel «fatto d’arme terribilissimo et spaventoso» (F. Guicciardini, Le lettere, cit., p. 94). Oltre alla strage immane, gli altri elementi messi in rilievo dai contemporanei sono l’importanza dell’artiglieria e la violenza dello scontro fra le fanterie.
Durante la battaglia, gli spagnoli di Pietro Navarro avevano messo le loro artiglierie su alcuni «carri armati», ciò che agevolava gli spostamenti. Ma fu l’artiglieria del duca di Ferrara ad avere il ruolo determinante, obbligando, grazie a un tiro «per fianco», Fabrizio Colonna a lasciare i ripari e a iniziare il combattimento, senza l’accordo del viceré:
[...] essendosi accostati i Francesi agli Spagnuoli a dugento passi, cominciò l’un campo e l’altro a salutarsi con l’artiglierie, con quel furore che ciascuno può imaginarsi; dove stettero qualche tre ore con grandissimo danno dell’uno e dell’altro esercito [...]; donde M. de Foix, veggendo d’esser necessario o ritirasi con vergogna, o ire innanzi con pericolo, pensò di costringere gli Spagnuoli per altra via a diloggiare; e fece levar l’armata dell’artiglierie che erano nella fronte alle gente d’arme, e condurle nella punta dell’esercito suo in su la sinistra, dove erano gli arcieri. Il che fatto, cominciorono a ferire gli Spagnuoli per fianco [...], ricevendo da questo gli Spagnuoli danno insopportabile; in modo che [...] deliberorono, per fuggire questa tempesta, uscire delle loro fortezze, e venire alle mani co’ Francesi (F. Pandolfini, Relation de la bataille de Ravenne, cit., pp. 584-85).
Nei Discorsi II xvii, M. usa l’esempio di Ravenna per dimostrare che le artiglierie non modificano fondamentalmente il modo di combattere, anche se bisogna tenerne conto (→ artiglieria). Per M. la necessità in cui si trovarono le truppe spagnole, costrette a uscire dai loro ripari per fuggire i colpi dell’artiglieria francese, dimostra l’errore di coloro che pensano che ci si possa ridurre «in un campo dentro a uno steccato, per non fare giornata se non a tua comodità
o vantaggio» (II xvii 20):
Il che intervenne agli Spagnuoli nella giornata di Ravenna; i quali essendosi muniti tra ’l fiume del Ronco e uno argine, per non lo avere tirato tanto alto che bastasse e per avere i Franciosi un poco il vantaggio del terreno, furono costretti dalle artiglierie uscire delle fortezze loro e venire alla zuffa (II xvii 22).
M. nota, ma non commenta, il fatto che furono appunto le artiglierie francesi a costringere gli spagnoli a «venire alla zuffa»; invece, in appoggio alla sua tesi di fondo («Conchiuggo pertanto [...] l’artiglieria essere utile in uno esercito quando vi sia mescolata l’antica virtù; ma sanza quella contro a uno esercito virtuoso è inutilissima», II xvii 45), ricorderà, nello stesso capitolo, che «monsignore di Fois a Ravenna morì di ferro e non di fuoco» (§ 31).
Nel capitolo finale del Principe, M. presenta una tesi fondamentale sulla necessità di «uno ordine terzo» della fanteria, capace di «resist[ere] a’ cavalli» e di «non a[vere] paura de’ fanti» (xxvi 25). Si tratta dunque di analizzare i difetti delle due più potenti fanterie del tempo, la svizzera e la spagnola: «[...] gli spagnuoli non possono sostenere e’ cavagli, e e’ svizzeri hanno ad avere paura de’ fanti quando gli riscontrino nel combattere ostinati come loro» (xxvi 23). La b. di R. è presentata come «uno saggio» della possibile vittoria della fanteria spagnola contro gli svizzeri:
E benché di questo ultimo non se ne sia visto intera esperienza, tamen se ne è veduto uno saggio nella giornata di Ravenna, quando le fanterie spagnuole si affrontorno con le battaglie tedesche, le quali servano el medesimo ordine che e’ svizzeri: dove li spagnuoli, con la agilità del corpo e aiuto de’ loro brocchieri, erano entrati tra le picche loro sotto, e stavano sicuri a offendergli sanza che e’ tedeschi vi avessino remedio; e se non fussi la cavalleria che gli aiutò, gli arebbono consumati tutti (xxvi 24).
Questa tesi è poi ripresa nell’Arte della guerra con termini molto simili, e ci sono buone ragioni testuali per pensare che Francesco Guicciardini, quando descrive il combattimento tra i fanti tedeschi e quelli spagnoli nella Storia d’Italia, utilizzi M. come fonte:
[...] e nondimeno la fanteria spagnuola, abbandonata da’ cavalli, combatteva con incredibile ferocia; e se bene nel primo scontro co’ fanti tedeschi era stata alquanto urtata dall’ordinanza ferma delle picche [cfr. Arte della guerra II 65: «Con le loro picche basse apersero le fanterie spagnuole»], accostatasi poi a loro alla lunghezza delle spade [cfr. Arte della guerra II 66: «le fanterie spagnuole si accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche»], e molti degli spagnuoli coperti dagli scudi [cfr. Arte della guerra II 65: «aiutate da’ loro brocchieri»] entrati co’ pugnali tra le gambe de’ tedeschi, erano con grandissima uccisione pervenuti già quasi a mezzo lo squadrone (Storia d’Italia X xiii, cit., p. 1038).
L’ipotesi che questi luoghi paralleli derivino a M. e Guicciardini dall’aver adoperato le stesse fonti viene messa in forse dalla lettura delle testimonianze di coloro che erano presenti alla battaglia. Queste, riguardo al confronto tra le due fanterie dicono esattamente il contrario, negando che i tedeschi furono sopraffatti dagli spagnoli. Fabrizio Colonna, capitano della lega Santa: «[i fanti nostri] ruppero tutti li fanti loro da li todeschi in fora» (cit. in M. Sanudo, Diarii, cit., col. 180); Pandolfini, presente nel campo francese: «la banda de’ Tedeschi [...] si ritirorono avanti con tanto ordine, che sostennero la furia degli Spagnuoli» (Relation de la bataille de Ravenne, cit., p. 585, corsivo nostro). Il loyal serviteur di Bayard, Jacques de Mailles, che racconta la b. di R. nella sua biografia del ‘prode cavaliere’ francese, insiste sull’accanimento degli spagnoli nel difendersi e non lascia affatto ritenere che essi abbiano disfatto i tedeschi: «oncques gens ne firent plus de deffense que les Espaignolz qui, encores n’ayant bras ne jambe entiere, mordoient leurs ennemys» (La très joyeuse, plaisante et récréative histoire du gentil seigneur de Bayard [...], cit., p. 325).
M. conosceva certamente questa interpretazione della battaglia e la riferisce nel Ritratto delle cose della Magna:
In modo che, se, nella giornata di Ravenna tra e’ franzesi e’ Spagnoli, e’ Franzesi non avessino avuto e’ lanz cheneche, arebbono perso la giornata: perché, mentre che l’una gente d’arme coll’altra era alle mani, li Spagnuoli avevono di già rotto le fanterie franzese e guascone; e se li Alamanni colla ordinanza loro non le soccorevano, vi erano tutte morte e prese (§ 50).
A questo punto si possono solo proporre delle ipotesi. Iacopo Guicciardini (nella già citata lettera al fratello Francesco) scrive: «rimasono le fanterie spagnuole sole, et gran danno facevono; ma voltandovisi le lancie franzese, quasi tucte le spacciorno» (F. Guicciardini, Le lettere, cit., p. 99, corsivo nostro). Anche se tralascia i particolari del modo di combattere degli spagnoli, sui quali insistono sia M. sia Francesco Guicciardini, Iacopo dà testimonianza di una versione dei fatti secondo la quale i fanti ispanici prevalevano sui tedeschi. Tale versione sembrerebbe accreditata dall’altro ambasciatore fiorentino, Capponi, la cui relazione, come si è già notato, fu letta da Iacopo Guicciardini, e verosimilmente anche dal segretario della cancelleria. Si può almeno dire che M., nel Principe e nell’Arte della guerra, sceglie di seguire una lettura degli avvenimenti che insiste sulla superiorità dei fanti spagnoli, per confortare la sua tesi sull’«ordine terzo» della fanteria, contro un’altra, ben presente e che egli stesso conosce, la quale insiste invece sul fatto che i tedeschi non sono stati vinti dagli spagnoli. M., che cerca i mezzi per ordinare una fanteria italiana capace di «comparire» di fronte agli eserciti oltramontani, in un periodo in cui l’energia del combattere, l’urto diretto delle masse di fanti e l’offensiva sono determinanti, costruisce i propri modelli – e forse, in parte, li inventa – riflettendo sul modo in cui si svolse la battaglia di Ravenna.
Bibliografia: Fonti: F. Pandolfini, Relation de la bataille de Ravenne, in Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, éd. G. Canestrini, A. Desjardins, 2° vol., Paris 1861, pp. 581-87; La très joyeuse, plaisante et récréative histoire du gentil seigneur de Bayard composée par le loyal serviteur, éd. J. Roman, Paris 1878; M. Sanudo, Diarii, a cura di N. Barozzi, G. Berchet, F. Stefani, R. Fulin, 14° vol., Venezia 1886; F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971; F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, 1° vol., 1499-1513, Roma 1986.
Per gli studi critici si vedano: H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst im Rahmen der politischen Geschichte, 4 voll., Berlin 1900-1920 (trad. ingl. History of the art of war, 4° vol., The dawn of modern warfare, Lincoln-London 1990, pp. 73-81 e 97-99); F.L. Taylor, The art of war in Italy (1494-1529), Cambridge 1921, pp. 180-215 (rist. anast. 2009); E. Scarano, Guicciardini, la battaglia di Ravenna e il canone umanistico, in I racconti di Clio. Tecniche narrative della storiografia, Atti del Convegno di studi, Arezzo 6-8 nov. 1986, Pisa 1989, pp. 193-220; J.-L. Fournel, Ravenne et Novare: notes machiavéliennes et guichardiniennes pour une autre histoire-bataille, «Cahiers du Centre d’études d’histoire de la défense», 1999, 9, pp. 117-30; J.-C. Zancarini, L’incredibile celerità di Gaston de Foix, in Città in guerra. Esperienze e riflessioni nel primo ’500. Bologna nelle “guerre d’Italia”, a cura di G.M. Anselmi, A. De Benedictis, Bologna 2008, pp. 49-60 (ora in J.-L. Fournel, J.-C. Zancarini, La grammaire de la République. Langages de la politique chez Francesco Guicciardini (1483-1540), Genève 2009, pp. 345-74); J.-L. Fournel, Ravenne (11 avril 1512): la première bataille moderne?, in La bataille: du fait d’armes au combat idéologique (XIe-XIXe siècles), éd. A. Boltanski et al., Rennes in corso di stampa.