BOTTO (Botta, Botti), Battista
Di nobile e potente famiglia genovese, nacque da Agostino e Andreola Cavazza, primogenito di tre figli, nella seconda metà del XV secolo. Sposò Simonetta Salvago Calizzano, di Leonardo, e ne ebbe Antonio e Agostino, premorto quest'ultimo al padre, e Pellegrina, Elianetta e Giorgetta.
Il B. ricoprì a piùriprese importanti cariche nel governo della Repubblica genovese, sia nel periodo in cui essa gravitava nell'orbita milanese degli Sforza sia in quello (1499-1512) in cui dovette riconoscere i governatori francesi di Luigi XII. La sua attività politica ebbe inizio in un momento delicato della storia genovese: la Repubblica, cacciati gli Sforzeschi nel 1478, era in preda alla lotta delle fazioni interne, che, esautorato il doge Paolo Fregoso, avevano provocato l'intervento tempestivo di Ludovico il Moro, il quale aveva assunto nuovamente il dominio della città. Il B. partecipò appunto all'ambasceria che presentò giuramento di fedeltà al duca di Milano, Gian Galeazzo II.
Nel 1509 il B. venne inviato nuovamente ambasciatore a Milano, questa volta però per conferire con il re di Francia Luigi XII, di cui Genova era divenuta vassalla dai tempi della cacciata di Ludovico il Moro da Milano. Compagni del B. in questa ambasceria furono Giovanni Battista Lasagna, Anfreone Usodimare e Angelo Pallavicino: le istruzioni furono rilasciate loro il 30 aprile ed essi erano già di ritorno a Genova il 12 maggio 1509, appena due giorni prima della battaglia di Agnadello.
Larga partecipazione ebbe il B. alla vita politica genovese; nel 1497 fu chiamato a far parte del Consiglio dei dodici anziani, uno dei governi provvisori che reggevano la città nelle fasi di indipendenza sia da Milano sia dalla Francia: la stessa carica il B. ricoprì nel 1503 e nel 1525. Nel 1500, nel Gran Consiglio presieduto dal fratello Gerolamo, si schierò dalla parte degli artefici bianchi, mentre i cugini Battista, Vincenzo e Gerolamo, figli di Giovanni Antonio, erano schierati tra gli artefici neri, dividendo così la famiglia in opposte fazioni. Il 4 marzo 1506, in qualità di deputato alla Mercanzia, insieme con Marco Grimaldi, Carlo Spinola e Stefano Giustiniani, firmò con il governatore di Francia, Filippo di Clèves, il Consiglio degli anziani e gli ufficiali della Moneta un contratto, in virtù del quale i protettori delle compere di S. Giorgio si impegnavano ad abolire l'imposta sui cambi.
L'Ufficio di balìa, incaricato della riforma delle leggi, vede il B. tra i propri magistrati negli anni 1507, 1510, 1516 e 1522 (ed è in tale veste che, insieme con gli altri ufficiali di balìa, gli Anziani, gli ufficiali della Moneta e gli ufficiali di S. Giorgio, giura fedeltà al re di Francia l'11 maggio 1507); quello del Banco di S. Giorgio nel 1502; quello dei Padri del Comune, gli amministratori della città nel 1508 e nel 1510; del Comune sarà eletto procuratore nel 1514. Probabilmente è per una certa competenza anche in materia economica che fu eletto nel 1510 tra i dodici membri "super extinguendis debitis Communis", e tra i magistrati del Mare e tra quelli della Moneta nel 1512; dei Rotti, cioè dei giudici dei fallimenti nel 1523; dei Victualium per gli approvigionamenti di grano nel 1521; di Gazaria, per l'amministrazione delle colonie nel 1503. A quest'ultimo proposito possiamo ricordare che il B. fu proposto (1515) come podestà dell'isola di Scio. Nel dicembre del 1519, insieme con Carlo Spinola e Raffaele de Fornari, prolunga il termine del versamento del prezzo "di aggiunzione" delle imposte sui cambi. Inoltre, nel 1505 e nel 1521 fece parte dell'Ufficio di Misericordia, istituzione a fini assistenziali, e nel 1517 e nel 1525 della magistratura dei ComitesVirtutum, incaricata di sorvegliare sui pubblici costumi.
Nel 1511 il B. era tra coloro che portavano un nuovo giuramento di fedeltà di Genova al re di Francia e signore di Milano Luigi XII; ma dopo la battaglia di Ravenna e la "vittoriosa ritirata" dei Francesi da Milano e dall'Italia, passò tra coloro che si schierarono decisamente contro la Francia e i suoi fautori, tanto che favorì il ritorno a Genova di Giano Fregoso (fece parte dell'ambasceria inviata da Genova al Fregoso per decidere la resa, chiedere i privilegi già ottenuti dal Moro e possibilmente ampliati "ad beneficium Rei publicae genuensis") e la sua elezione a doge il 29 giugno 1512;l'anno dopo, il B. venne inviato in ambasceria al pontefice come "deputato per cose di importanza" (Arch. di Stato di Genova, s. 473, p. 410). Le istruzioni contenevano l'ordine di prestare obbedienza al papa a nome della Repubblica, e di presentargli alcune petizioni; in una nota segreta si raccomandava di chiedergli soccorsi per l'assedio contro la Lanterna, forse prossima alla resa. Anche la sua famiglia doveva essere ormai dichiaratamente antifrancese: tanto è vero che un fratello del B., Martino, fu uno dei quattro ostaggi consegnati dai Genovesi ai Francesi nel 1514 a garanzia degli accordi firmati.
Nel 1528, in seguito alla riforma di Andrea Doria che conferiva poteri politici solo agli appartenenti ai gruppi familiari degli "alberghi", cioè delle famiglie nobili che contassero sei capi di famiglia del medesimo cognome, il B. con molti suoi familiari entrò a far parte dell'"albergo" dei Fieschi, assumendo così il cognome di Fiesco Botto, con il quale viene menzionato nei documenti posteriori a questa data.
Il testamento del B. è del 26 marzo 1541; in esso nomina erede il figlio Antonio e fonda una cappellania per la cappella di S. Antonio, che egli stesso insieme con i fratelli Gerolamo e Martino aveva fatto costruire in S. Maria di Castello nel 1523. La morte del B. deve essere di poco posteriore al testamento: comunque sua moglie compare, come già vedova, nell'anno 1548.
Il B. venne sepolto nella chiesa di S. Maria di Castello, dove ancora oggi è visibile la lapide della tomba.
Fonti eBibl.: Archivio di Stato di Genova, Instructiones et Relationes, 3/2707;Ibid., Diversorum Collegi, 182/676;Ibid., Litterarum, filza 1/1958;Ibid., mss. n. 10; n. 495; n. 497, f. 6; n. 518, p. 88; n. 520, pp. 351-53; n. 516; Genova, Civica Biblioteca Berio, ms. 13: Della Cella [1782], pp. 361-63; B. Senaregae, De rebus genuensis commentaria, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, ad Ind.;R. A. Vigna, Illustrazioni di S. Maria di Castello, Genova 1864, pp. 169 s., 303; L. G. Pellissier, Documents pour l'histoire de l'établissement de la domination française à Gênes..., in Atti d. Soc. ligure di st. patria, s. 2, XXXVI (1892), p. 542; F. Donaver, La storia della Rep. di Genova, II, Genova 1913, pp. 119-81; Istruzioni e relazioni di ambasc. genovesi a cura di R. Ciasca, in Fonti p. la storia d'Italia, XIV, Roma 1951, p. 69; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, pp. 163-65; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change, Paris 1960, pp. 95 n. 4, 205.