CASALI (Casale, Casalius, de Casalibus, Casalinus), Battista (Giovanni Battista)
Nacque intorno al 1473 da un'antica famiglia romana; sono ignoti i nomi dei genitori, mentre si conoscono quelli del fratello Matteo, della sorella Faustina e dello zio paterno Luca, noto giurista (cfr. Seidel Menchi, p. 129 n. 91). Intrapreso precocemente lo studio delle lettere latine alla scuola prestigiosa di Pomponio Leto, ricevette anche, per suggestione dello zio, una discreta formazione giuridica. Fin dal 1496 iniziò a insegnare latino nell'università romana della Sapienza, e in breve si conquistò buona fama di brillante oratore.
Notevoli dffficoltà nella ricostruzione della biografia del C. sorgono dalla contemporanea attività di vari omonimi, e particolarmente di quel Giambattista Casali vescovo di Belluno che fu legato pontificio in Inghilterra e morì a Bologna nel 1536: probabilmente si riferiscono in parte a lui, e non al C., i cenni fatti dal Burcardo e dall'inedito Diarium di Paride de Grassi (Firenze, Bibl. nazionale, cod. Capponi 69), su un omonimo oratore sacro che tenne sermoni nella cappella pontificia tra il 1498 e il 1519, e scandalizzò in almeno due occasioni la Curia per la sua lunga capigliatura. Probabilmente sono del C. i due sermoni funebri per i cardinali Luigi d'Aragona e Domenico Grimani conservatici adespoti nel cod. Vat. Ottobon. lat. 465 (su cui vedi G. Mercati, Codici latini Pico Grimani Pio..., Città del Vaticano 1938, p. 26 n. 3: ma se essi fossero di mano dell'autore, come il Mercati si chiede, sarebbe da escludere la paternità del C., i cui autografi mostrano una grafia totalmente diversa). Per una prima distinzione tra i vari contemporanei che portarono il nome di Battista o Giambattista Casali si veda E. Celani (nel Liber Notarum di G. Burcardo, II, p. 78 n. 3; da confrontare però con G. Coggiola, Ilprestito dei mss. della Marciana dal 1474 al 1527, in Zentralblatt für Bibliothekswesen, XXV [1908], pp. 54, 55, 67 s.): si deve comunque tener presente che il C. stesso nell'Invectiva in Erasmum sivantò di aver più volte recitato Orazioni in S. Pietro davanti ai sommi pontefici (cod. Ambrosiano G. 33 inf., I, f. 84; cfr. Seidel Menchi, p. 140 n. 153) e che tra le Orazioni del C. rimasteci ve n'è effettivamente una, come si dirà, pronunziata nella cappella pontificia davanti a Giulio II, di cui parla il de Grassi (III, f. 76).
Avviatosi alla carriera ecclesiastica, il C. dovette trovare facile inserimento nell'ambiente curiale grazie alle sue doti oratorie, e si guadagnò la protezione di vari cardinali, tra cui il Fregoso, l'Alidosi, il Pisani. Il 2 sett. 1508 il C. ottenne da Giulio II il canonicato lateranense, lasciato da un esponente dell'Accademia Romana, B. Capella: in tale occasione indirizzò a Giulio II un'Oratio conservataci dal citato cod. Ambr. G. 33 inf., I, ff. 292-297v. Di fronte a Giulio II il C. pronunziò in latino, nel 1510, la predica del venerdì santo, giacente nello stesso codice (II, ff. 2-7; cfr. Seidel Menchi, p. 144 n. 169). Il 12 nov. 1515 Leone X conferì al C., definito suo familiare, due cappellanie nella basilica vaticana, quella "ad altarem S. Petri aenei" e quella di s. Elisabetta. Dal 1514 il C. era anche diacono greco, e cioè incaricato di cantare il Vangelo in greco nella cappella apostolica (cfr. V. Rossi, Pasquinate di P. Aretino..., Palermo-Torino 1891, pp. 133 s.). Il 6 luglio 1517, dopo varie suppliche, il C. ottenne il canonicato di S. Pietro in Vaticano, ceduto dal cardinale della Valle, e conseguentemente dovette rassegnare quello lateranense a Pietro Paolo Vittori (per la carriera ecclesiastica del C. si veda principalmente P. L. Galletti, Lateranenses Canonici, nel cod. Vat. lat. 8037, I, ff. 75-77). Anche a Leone X il C. indirizzò una Gratiarum actio (cod. Ambr. G. 33 inf., II, ff. 75v-82; cfr. Seidel Menchi, p. 144 n. 169).
Intanto il C. si era conquistato, con la sua oratoria di stampo ciceroniano, una posizione di sicuro prestigio nell'Accademia Romana, cui è presumibile avesse partecipato fin dal tempo in cui era stato allievo di Pomponio Leto. Comunque la prima testimonianza inoppugnabile dei rapporti del C. con l'ambiente accademico è del 1512: il Suburbanum Agustini Chisii che Blosio Palladio stampò a Roma in quell'anno per esaltare la villa della Farnesina si apre infatti, a c. 2, con un epigramma del Casali. Poco dopo, probabilmente verso il 1514, il C. partecipò con moltissimi altri accademici al beffardo commento collettivo dell'Epulum populi romani che Giulio de Simone aveva pubblicato a Roma nel 1513 (il contributo del C. è nel cod. Vat. lat. 5356, f. 111); nel 1514 figura anche nel ruolo dei professori dell'università di Roma pubblicato dal Marini. Nel 1519, durante il "processo" contro C. Longolio, il C. prese le parti del belga premettendo all'autodifesa di questo (Perduellionis rei defensio, Romae 1519) una dedicatoria al cardinal Pompeo Colonna (c. 1v). Tale dedica, peraltro di scarso interesse fu ristampata nelle edizioni veneziane del 1519 (c. 2) e del 1520 (c. 1v), e ripubblicata da D. Gnoli (Un giudizio di lesa romanità sotto Leone X, Roma 1891, p. 120). Nell'occasione anche il C. scrisse per il Longolio una difensoria, rimasta inedita (cod. Ambr. G. 33 inf., I, ff. 324 s.). Nel 1522 il C. partecipò, insieme con gli altri accademici, alle Lachrimae in M. Antonium Columnam (Romae 1522): i suoi tre epigrammi sono a cc. [Ciiv]-Ciii.
Tra i membri dell'Accademia, quello con cui il C. appare legato di più da viva amicizia fu certo A. Colocci: già il 15 sett. 1519 fu il C. a pagare al monastero di "Monte Auctorio" un lascito di 5 ducati larghi d'oro di Girolama Bufalini, moglie dell'amico, defunta l'anno precedente (cfr. Lancellotti, p. 58). Nel 1523 poi, quando il Colocci dovette, obtorto collo, andare ad Ascoli come governatore, il C. lo tenne minuziosamente informato di quanto avveniva in Curia, delle possibilità di ritorno, dei giudizi che si davano a Roma sul suo comportamento nei torbidi ascolani. Di tale corrispondenza restano tre lettere, tutte del C., pubblicate dal Fanelli dai codici Vat. lat. 4105. f. 195 (8 luglio 1523), e Vat. lat. 4104, ff. 72-75v (3 e 17 ag. 1523). Da esse appare chiaro che in quell'anno egli era al servizio del cardinal Pisani: lo stesso che, secondo P. Bigolini (cod. Ambros. G. 33 inf., I, f. 4rv), gli promise l'episcopato di Gubbio, cui il C. sarebbe asceso se non fosse sopravvenuta una morte prematura.
Nel 1522, all'avvento di Adriano VI, il C. indirizzò due orazioni al nuovo pontefice: una di congratulazione per il suo arrivo, l'altra per rivendicare all'università romana le sue entrate, minacciate dai Conservatori.
In quell'anno è documentata l'esistenza di rapporti abbastanza cordiali tra il C. ed Erasmo, con cui pochi anni dopo sarebbe scoppiata una violenta polemica. Il C. ed Erasmo avevano sentito parlare l'uno dell'altro già dal 1509, durante il soggiorno romano del secondo, senza essersi incontrati personalmente. Forse il C. si era messo in buona luce di fronte ad Erasmo con la sua difesa di Longolio: certo è che nel 1522, quando a Roma gli antierasmiani, guidati dallo spagnolo Diego Lopez de Zúñiga, cercarono di sollevare la Curia contro l'olandese accusandolo di luteranesimo, Erasmo, che pure aveva già nel Bombasio un difensore a Roma, pensò proprio al C. come a suo paladino nell'ambiente curiale e gli inviò un esemplare della sua Paraphrasis in Evangelium Matthaei, accompagnandola con una lettera, non pervenutaci, in cui probabilmente lo pregava di indirizzare la Curia verso un atteggiamento più conciliante nei riguardi di Lutero, sosteneva comunque la propria estraneità al movimento luterano, e lo pregava forse di interporsi per evitare la pubblicazione di libelli antierasmiani. Nella risposta (edita da Seidel Menchi, p. 166) il C., sia pur senza entusiasmo, assicurava al suo illustre corrispondente la sua stima e la sua alleanza.
Nel 1524 il C. pubblicò a Roma quattro epigrammi nei Coryciana (c. 22v; nello stesso volumetto il C. è ricordato dall'Arsilli, nel De poetis urbanis, a c. 135) e l'In legem agrariam pro communi utilitate, et ecclesiastica libertate tuenda, ad Clementem VII P. Max. oratio, contro un progetto di riforma che, prevedendo l'esproprio dei terreni incolti e la liberalizzazione del commercio dei cereali, avrebbe danneggiato i latifondisti laici ed ecclesiastici.
L'orazione, dedicata a G. M. Giberti, fu stampata nello stesso anno sia da F. Calvo, sia da Ludovico Vicentino. Al termine di ambedue le stampe un epigramma di sei versi di Fabio Vigile, membro influente dell'Accademia, permette di attribuire sicuramente l'opera al nostro C.: attribuzione confermata anche da un passo del Ciceronianus di Erasmo e da Francesco Florido Sabino (In M. Actii Planti aliorumque latinae linguae scriptorum calumniatores Apologia, Basileae 1540, p. 117), che nel lodare l'orazione afferma che essa fu pubblicata dall'autore "paulo ante mortem". Dell'orazione ci resta una copia manoscritta nel solito Ambr. G. 33 inf., I, ff. 111 ss.
In quello stesso anno esplose irrimediabilmente la controversia con Erasmo, che nell'estate fu informato da Haio Hermann delle accuse che contro lui circolavano in Roma, di un'invettiva che avrebbe scritto contro di lui il Colocci, delle critiche che il C. muoveva al suoi Adagi per l'interpretazione di alcuni proverbi greci. Erasmo rispose vivacemente, controbattendo le accuse e parlando del C. con l'ironia solitamente usata nei riguardi degli accademici ("Ne Casalium quidem novi, qui utinam docuisset certam proverbiorum interpretationem quam in me desiderat": Opus epistolarum, V, lett. 1479 del 31 ag. 1524, p. 515). Ma Erasmo ignorava che le critiche nel C. non si limitavano al piano filologico: contro di lui, in realtà, il romano aveva scritto una violenta In Desiderium Erasmum Roterdamum Invectiva (nel cod. Ambros. G. 33 inf., II, ff. 82v-87v) ed è probabile che l'invettiva che l'Hermann scrivendo da Padova attribuiva al Colocci sia da identificare con questa del C. (Seidel Menchi, pp. 151 s.). Poco chiare, comunque, appaiono sia le cause dell'improvviso voltafaccia del C. sia la datazione dell'Invectiva, in cui si rimprovera Erasmo di aver accusato d'ignoranza i letterati romani e il C. stesso e di aver disprezzato il loro venerato modello ciceroniano, ma si evita di accennare al problema del suo supposto filoluteranesimo. Come nota la Seidel Menchi (pp. 143 s.), l'interesse dell'Invectiva casaliana è nel fatto che anticipa i principali motivi che saranno più tardi ripresi nella polemica tra Erasmo e l'Accademia Romana: le accuse cioè di anticiceronianesimo, di irreligiosità, di avversione aprioristica verso l'Italia; l'Invectiva appare insomma come il primo documento di una generale presa di posizione accademica contro Erasmo.
Il C. morì a Roma il 13 apr. 1525.
Lo stesso Erasmo, nonostante i contrasti, accennò con tristezza alla morte del C. in due lettere del 25 (Opus epist., VI, lett. 1597, p. 149) e del 31 agosto 1525 (lettera 1603, p. 157). Dopo la morte del C., l'amico Colocci curò che le sue lettere e le sue orazioni fossero raccolte, con l'intenzione di pubblicarle: di tale progetto, mai portato a termine come tanti altri dell'esinate, resta forse testimonianza nel più volte citato codice G. 33 inf., I-II, della Bibl. Ambrosiana di Milano, fondamentale per la ricostruzione della vita e dell'opera del C., in cui ad una biografia del trevigiano P. Bigolini segue un'ampia raccolta di discorsi e di lettere (cfr. P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 324). Della vasta produzione poetica ed oratoria del C. ben poco, come si è visto, fu edito al suo tempo; più tardi, alcuni suoi versi furono pubblicati da G. M. Toscano nei Carmina illustrium poetarum Italorum, I, Lutetiae 1576, pp. 217-224v e da due studiosi del Colocci, il Lancellotti (che a p. 58 riferisce i distici Di tibi dent annos... dai codici Vat. lat. 2836, f. 171, e Vat. lat. 3388, f. 196, e a pp. 59 s. l'epigramma Ad Fontem Ang. Colotii, presente con varianti anche nello stesso Vat. lat. 3388, f. 199) e l'Ubaldini (un epigramma in lode del Colocci, presente in redazione diversa anche nel codice Vat. lat. 2836, f. 194, a p. 34;l'epigramma Ad Fontem Ang. Colotii a p. 59; e, a p. 103, una riduzione del carme pubblicato a p. 58dal Lancellotti). Il Fanelli inoltre, nella sua edizione della Vita ubaldiniana, ha pubblicato tre lettere del C. al Colocci, di sulle redazioni autografe dei codici Vat. lat. 4104, ff. 72-75v, e 4105, f. 195;una lettera del C. ad Erasmo è stata pubblicata dalla Seidel Menchi (p. 166) di sul codice Ambrosiano G. 33 inf., I, ff. 137-138v.
Alcuni scritti del C. dovettero andare perduti. Il C., ad esempio, fu forse anche autore di commedie: tra i Carmina di G. B. Cantalicio (Napoli, Bibl. naz., cod. XVI A 1, ff. 12v-37v)sono versi di lode su commedie del C., di Camillo Porzio e di Evangelista Capodiferro. Nel cod. 33 dell'Accademia Rubiconia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone vi erano versi di un "Jo. Bapt. Casalis", probabilmente identificabile col C., dato che il manoscritto contava liriche anche di altri poeti d'ambiente accademico: ma ora il codice è mancante.
Il Colocci conservò versi del C. in numerosi codici, ora tutti presso la Bibl. Ap. Vat.: Vat. lat. 2833 (f. 238); Vat. lat. 2835; Vat. lat. 2836 (che a ff. 27, 187-96 conserva poesie, tra cui un epigramma "in Capellam", e traduzioni dal greco); Vat. lat. 3353 (a f. 4 e a f. 105v v'è l'epigramma Pro reditu in patriam Ursinorum et Columnensium mortuo Alex. sexto), il citato Vat. lat. 3388 (f. 199); Vat. Ottob. lat. 2860 (a ff. 7ve 11v si trova ripetuto l'epigramma del Vat. lat. 3353; la seconda volta è cancellato). Altri versi del C. sono nei codici Vat. lat. 5383 (a f. 60v il solito epigramma per il ritorno dei Colonna e degli Orsini; a f. 123-130v un'ecloga, inc. "Pastorem pastor", che d'altronde sta anche a ff. 120-122vcon l'attribuzione a Pietro Corsi); Vat. lat. 7205. Lettere del C. si conservano, oltre che nei citati codici Vat. lat. 4104 e 4105, nel cod. Aa. 8.18 della Biblioteca comunale di Cremona.
Gli scritti del C. che ci sono pervenuti non giustificano certo la grande fama letteraria ch'egli godette ai suoi tempi: la sua poesia è puramente scolastica e d'occasione, e non manifesta altri pregi che quello della correttezza metrica; lo stesso discorso vale anche per la sua oratoria, ciceroniana formalmente, ma lontanissima dall'animus dell'arpinate. Sicché appare tuttora acutissimo, e valido per tutta l'opera casaliana, il giudizio che Erasmo nel Ciceronianus espresse sull'orazione De lege agraria: "lucis habet plurimum, verba nitida, compositionem suavem, Caeterum immane quantum. est quod desideratur, si ad Ciceronem conferas" (cfr. Seidel Menchi, p. 131 n. 109). In realtà il C. dovette la sua notorietà alla pedissequa aderenza formale ai canoni ciceroniani allora imperanti nell'ambiente accademico; ambiente cui sono riconducibili quasi tutte le numerosissime testimonianze encomiastiche contemporanee sulla sua attività. Il nome del C. figura sia nell'elenco di letterati presenti a Roma steso dal Colocci nel codice Vat. lat. 3450(Fanelli, App. I, p. 109:"casalio"), sia in quello delle Carte strozziane, probabilmente del Giovio (Corytianae Acadeimae Fato functi qui sub Leone floruerunt, in Fanelli, App. IV, p. 114: "Baptista Casalius Romanus"). Il C. fu elogiato come poeta da F. Arsilli, mentre il Giraldi lo ritenne migliore nell'eloquenza che nella poesia; lo lodò anche Benedetto Lampridio (in Carmina illustr. poet. Ital., VI, Florentiae 1720, pp. 54-56). Al C. dedicarono versi Pacifico Massimi (una lunga ecloga nel codice Vat. lat. 2862, ff. 3v-4v);M. A. Casanova, che avendone lodata in vita l'eloquenza (codice Vat. lat. 2834, f. 44) scrisse per lui, dopo la morte, un epigramma che lo equiparava a Marcantonio Colonna (nei codici Vat. lat. 2833, f. 191, e 2834, f. 33v)e tre epitaffi, conservati nei codici Vat. lat. 2833 (f. 207) e 2834 (ff. 54, 67, 74v, 103v);un epitaffio gli scrisse anche il Tebaldeo (cod. Vat. lat. 2835, f. 186v;lo stesso compare anche, anonimo, nel cod. Vat. lat. 3353, f. 61); Pietro Corsi gli indirizzò tre liriche, che si possono leggere nel codice Vat. lat. 3441 ai ff. 193v-199, in un fascicolo che, come attestano le note di possesso, appartenne al Casali.
Fonti e Bibl.: Per la biografia e l'attività del C. è fondamentale il saggio di S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura ital. di fronte ad Erasmo, in Eresia e Riforma nell'Italia del Cinquecento, I, Miscell. del Corpus Reformatorum Italicorum, Dekalb-Chicago 1974, pp. 127-54, 166 s. (dove è pubbl. la lettera ad Erasmo del 1522): in esso fra l'altro è tenuto per la prima volta presente il citato cod. G 33 inf., I-II, della Bibl. Ambrosiana di Milano, contenente Epistolae, orationes, libelli suplices et alia... - insomma un vasto corpus degli scritti prosastici del C. - e, all'inizio, la preziosa De vita et moribus Io. Baptistae Casalii oratio di P. Bigolini. Si vedano inoltre: I. Burckardus, Liber Notarum, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, ad Indicem;G. Marini, Lettera... nella quale s'illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio romano per l'anno MDXIV, Roma 1797, pp. 15, 59-62; F. Arsilli, Poesie latine, a cura di R. Francolini, I, Senigallia 1837, p. 14; M. A. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, pp. 8, 9; D. Erasmi Roterodami Opus epistolarum, a cura di P. S. Allen, Oxonii 1906-1928, ad Indices;G. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum dial. I, in Opera, II, Basileae 1580, p. 394; P. Mandosio, Biblioth. Romana, I, Romae 1682, pp. 298 s.; G. F. Lancellotti, Poesie italiane, e latine di mons. A. Colocci..., Iesi 1772, pp. 58 ss.; F. M. Renazzi, Storia dell'Univers. degli studi di Roma, II, Roma 1804, pp. 21 s., 71 s.; P. de Nolhac, La bibliothèque de F. Orsini, Paris 1887, pp. 134, 256, 395; Th. Simar, Ch. de Longueil humaniste, Louvain 1911, ad Indicem;L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, p. 610; IV, 1, ibid. 1926, p. 420; G. A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, pp. 59, 62, 258, 660; G. Carocci, Lo Stato della Chiesa nella seconda metà del sec. XVI, Milano 1961, pp. 27 s.; F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, ad Indicem (nell'App. V, pp. 196-99, sono edite le tre lettere del C. al Colocci); P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.