CICALA, Battista
Nato, probabilmente a Genova, da Bartolomeo, del ramo degli Scarsi, nell'anno 1407 fece parte del Collegio dei giudici e. dei Consiglio degli anziani della Repubblica di Genova. Nel settembre dell'anno successivo egli venne inviato come ambasciatore a Parigi presso il re di Francia e il governo, per permettergli tale missione, dovette sospendere tutte le questioni giudiziarle delle quali era in qualche modo investito. Nel 1409, caduto il Boucicauted entrato in città Teodoro II di Monferrato, egli fu delegato, insieme con Antonio Sansono, in qualità di "sapiens comunis Ianue", a risolvere una controversia tra il Comune e i maonesi dell'isola diChio, che avevano protestato contro le innovazioni introdotte dal Boucicaut nelgoverno dell'isola. Due anni dopo, elettonegli Anziani e nei consiglieri di Teodoro, fu richiesto del suo parere dal Banco diS. Giorgio circa la riscossione di una tassacontro la quale i maonesi protestavano.Nel novembre, insieme con altri tre conimissari, fu inviato a trattare con un certo Bianchino di Romagno, castellano di Sarzana, in mano ai Fiorentini, e che si cercava di far passare nel campo genovese.
Nel 1413 a lui e a Pietro Persio de Soprani fu affidata una importante ambasceria presso la corte aragonese. I due eranostati nominati da Teodoro già nel dicembre 1412, ma la deposizione di questo ne aveva bloccato la partenza: l'accordo siglato tra l'imperatore Sigismondo C. Venezia nell'aprile aveva reso, tuttavia, piùurgente una iniziativa capace di controbilanciare la politica veneziana, cosicché ilnuovo doge Giorgio Adorno riprese letrattative per un avvicinamento a Ferdinando d'Aragona. I due ambasciatori sirecarono a Barcellona, dove iniziarono icolloqui. Il re propose un trattato di paceattraverso un arbitrato che il doge e ilconsiglio deputato agli affari catalani rifiutarono, nel timore di restare danneggiati, preferendo cercare di ottenere almeno unatregua. I colloqui dei due ambasciatori ebbero esito positivo e il 12giugno fu firmata una, tregua triennale, destinata inrealtà a durare solo un anno.
Sceso in Italia Sigismondo, che aveva provveduto ad annullare il trattato col quale Genova aveva riconosciuto come sovrano il re di Francia, e accampatosi a Lodi, nel dicembre la Repubblica decideva di inviarvi una ambasceria di otto membri, tra i quali il C., che si incontrò anche con Giovanni XXIII, giunto anch'egli a Lodi: il 15 genn. 1414 fu giurata fedeltà a Sigismondo, ma non ai suoi successori. L'anno seguente il C. diventava priore del Consiglio degli anziani sotto il doge Tommaso Fregoso, mentre nel 1416, come membro del Collegio dei giudici del Comune, partecipava all'accordo tra lo stesso e i Doria circa il castello di Ameglia. Nello stesso anno lo si incaricava di risolvere una controversia riguardante la nomina del podestà di Focea Nuova.
Nel 1418 entrò a far parte dei consiglieri di Sigismondo, che lo nominò, cavaliere con l'appannaggio annuo di 600 ducati. Nel 1419, divampata la lotta tra Genova controllata dal Fregoso e Filippo Maria Visconti, il doge lo utilizzò nel tentativo di giungere ad un accordo col duca, attraverso la mediazione di papa Mutino V: il 5 aprile a Milano il C., oratore e procuratore del doge, firmava lo strumento di compromesso e, il 10 maggio, il trattato di pace, venendo scelto come conservatore, con l'incarico di chiarire, se necessario, i vari punti del trattato e vigilare sulla sua esecuzione. Dopo il 1421, caduta la città sotto il dominio visconteo e fuggito il Fregoso, il C. poté continuare per alcuni anni la sua intensissima attività forense, rivestendo anche cariche pubbliche. Fece parte dell'"officium S. Georgii". e dell'"officium provisionis" (1424) e fu inoltre chiamato nella commissione incaricata di risolvere eventuali controversie tra il Comune e il Banco di S. Giorgio circa i proventi del sale.
Tuttavia, nel luglio 1425, sospettato di intesa segreta con Tommaso Fregoso, autore di uno sfortunato tentativo di impadronirsi di Genova, il C. fu catturato insieme con altri nemici del duca residenti in città e rinchiuso dapprima nel castello di porta Giovia a Milano e, poi in quello di Pavia. Il Visconti nomino una commissione incaricata di interrogare, anche con la tortura, Stefano Cattaneo Tommaso, di Premontorio e in particolar modo il C. sulle intenzioni del Fregoso. Il C. venne liberato dopo un anno e rimase a lungo lontano dalla sua città: nel 1430 il Visconti, su richiesta di Sigismondo, gli concedeva il suo perdono, a patto che non risiedesse a Genova o in altri luoghi sospetti.
Trasferitosi a Vienna, presso il cui Studio insegnò, egli fu utilizzato da Sigismondo in importanti ambascerie, quale la missione presso Vitoldo di Lituania per prepararne l'incoronazione, prevista per l'agosto 1430. I professori dell'università di Vienna, infatti, ebbero l'incarico di redigere un memoriale per dimostrare che Vitoldo poteva essere consacrato re senza bisogno della autorizzazione papale. L'ambasceria inviata al granduca fu, però, intercettata dai Polacchi e l'incoronazione non ebbe più luogo. L'anno seguente, il C, fu inviato, insieme con Nikolaus Stock, presso il vescovo Federico di Bamberga e l'abate di Münchberg.
Fattisi più stretti i rapporti tra il duca di Milano e Sigismondo, il C., insieme con l'ambasciatore imperiale Bartolomeo Mosca, contribuì a rivelare alcune clausole, destinate a restare segrete, dell'accordo stipulato tra i due e, in particolar modo, le convenzioni su Genova eAsti, provocando la reazione dei Visconti, indispettito perché molti le avevano già sapute "tam per Cicadas quam per Muschas quam etiam per tavanos". Tali accordi, temeva il duca, potevano insospettire Genova, che si pensava di placare facendola partecipare alla cerimonia della firma.
Sceso Sigismondo in Italia, egli lo accompagnò nel suo viaggio e nel genn. 1432 fu inviato a Firenze per tentare una riconciliazione tra la Repubblica fiorentina e Siena, alleata del Visconti: in questa città il C. fu accolto assai freddamente, perché lo si sospettava di tramare presso Sigismondo contro il duca di Milano, il quale respinse anche una sua ambasceria, chiedendo all'imperatore di allontanarlo, inviandolo al concilio di Basilea. Qui egli giunse al seguito di Sigismondo ed operò come consigliere nelle varie questioni che l'imperatore venne chiamato a risolvere. Resasi più drammatica la situazione di Eugenio IV, che vedeva le terre della Chiesa invase dai condottieri viscontei, verso la fine del 1433 il C. fu inviato da Sigismondo, insieme con gli ambasciatori del re di Francia e del duca di Borgogna, presso il papa, per allontanare il sospetto che ci fosse un accordo tra il Visconti ed il concilio contro di lui. In pieno concistoro fu il C., anche a nome degli altri, ad esporre ad Eugenio IV le giustificazioni del concilio. Nel settembre 1435 l'imperatore lo inviò a Venezia come suo rappresentante.
Nel dicembre, abbattuto il dominio visconteo e cacciato il doge Guarco favorevole ad un accordo col duca di Milano, il ritorno al potere di Tommaso Fregoso segnò anche la ripresa dell'intensa attività diplomatica a favore di Genova del C., vero protagonista di tutto il lavorio politico antimilanese e antiaragonese del Fregoso. Nel maggio a lui e ad Oliviero Maruffo si dava facoltà di arrivare ad una intesa col rappresentante di re Renato per la difesa di Napoli. Nell'agosto insieme con altri era inviato a Bologna presso il papa, che stava trattando un accordo tra la lega e il Visconti. Nell'intenso scambio epistolare con gli ambasciatori e soprattutto col C., del quale il Fregoso conosceva i sentimenti antiviscontei, Genova manifestava tutta la sua sfiducia in un accordo con Filippo, di cui si era già sperimentata l'astuzia, ma nello stesso tempo si volevano esplorare anche le vere intenzioni del duca, perché un accordo non sarebbe stato sgradito neppure a Genova. Si preferì, pertanto, nel dicembre richiamare in patria gli altri ambasciatori e affidare l'incarico al solo C., che doveva fermarsi a Bologna come legato dell'imperatore, per non far credere che anche Genova desiderava la pace, e doveva sondare le vere intenzioni del duca, attraverso colloqui col papa.
Del resto, sia Venezia sia Firenze sirivelavano tutt'altro che convinte di unalotta a fondo contro il Visconti: al C. eraaffidato il compito di "svegliare i dormienti" sul pericolo dell'accordo tra Milano edAragona, sottolineando che ormai il pesodella guerra era caduto tutto sulle spalledi Genova. Nel gennaio 1437 il Fregososi vedeva costretto a cedere alle pressionidegli alleati: al C.venivano dati pieni poteri per arrivare, se non ad un accordo, almeno ad un compromesso coi duca attraverso la mediazione papale. Tuttavia, caduta Sarzana nelle mani del Piccinino, mentre le trattative sembravano ormaiinutili, si fece un ultimo tentativo per spingere la lega ad unazione energica: il C.decise di recarsi personalmente a Veneziaper convincere quel governo ad intervenire. La sua azione sembrò dare i fruttisperati, anche per il contemporaneo miglioramento della situazione militare. Nell'ottobre dellanno seguente, fattasi piùpressante la richiesta di pace avanzata dalVisconti, si, decise di inviare il C. a Firenze, anche con l'incarico di compiereun ampio giro di colloqui in Italia, persondare le vere intenzioni degli alleati edel duca di Milano, che si temeva stesse ancora una volta tentando un diversivo.Quando, però, il C. stava per imbarcarsi sulla galeotta che doveva condurlo a Pisa, fu preso dalla febbre: la malattia loaveva colpito nel giugno e continuò a trascinarsi per tutto l'anno, mettendo in difficoltà il governo genovese, che non sapeva a chi affidare una pratica di tale delicatezza e che solo il C. conosceva a fondo.
Nel settembre 1439 egli fu inviato insieme con altri tre ambasciatori al duca di Savoia, nelle cui mani era caduto Giovanni Grimaldi, signore di Monaco e alleato di Genova; nello stesso tempo fu nominato nella commissione incaricata di superare le divergenze con la Comunità di Nizza. Entrato poi a far parte della commissione sugli affari savonesi, ribellatasi la città, egli fu inviato coi suoi colleghi presso il capitano dell'esercito mandato contro Savona, Giovanni Fregoso, che il doge suo fratello sospettava di tradimento; rifiutatosi il capitano di procedere alla demolizione del molo, si ordinava all'esercito di obbedire al C. e a Battista de Marini, trovatisi in tal modo a dirigere le operazioni militari. Ai due toccò il compito di procedere alla demolizione del molo e alla ricostruzione del castello nuovo di S. Maria. Il 20 agosto il C. era nominato governatore di Savona: iniziava una intensa corrispondenza coi governo, che lo sollecitava a prendere tutti gli opportuni provvedimenti per fortificare la città, garantirsi la fedeltà delle ville un tempo soggette a Savona e procedere alla costruzione del porto.
Nel dicembre egli fu sostituito nella carica e nel gennaio dell'anno seguente inviato a Venezia, dove stavano riprendendole trattative di pace. Qui si ammalò e fucostretto a ritardare il colloquio col doge Francesco Foscari; gli avvenimenti, delresto, lasciavano pochi dubbi sulle intenzioni. del duca di Milano, tanto che, difronte alle "inextricabiles ambages quaspacis tractatum vocant", si ventilava unritorno dell'ambasciatore in patria, il cheavvenne agli inizi di aprile. Durante il viaggio egli cadde nuovamente ammalato, sicché solo tardi il governo genovese fu informato della proposta avanzata dal Visconti di rimettere le trattative all'arbitrato del marchese d'Este. Nell'agosto, giunta la notizia che a Venezia erano stategettate le fondamentadella pace, come ambasciatore genovese venne scelto il C., che fu anche inviato allo Sforza, capitano dellalega, per riferire i motivi che impedivanodi spedire la flotta a Napoli; egli fu informato costantemente della situazione genovese, gravida di pericoli, dato che il Visconti stava sobillando gli avversari del Fregoso.
Intanto a Cavriana, presso lo Sforza, continuavano le trattative. La costante avanzata dei nemici su Genova rendeva ormai incerta la posizione di Tommaso Fregoso: i collegati, si scriveva al C., rifiutavano qualsiasi aiuto proprio mentre i pericoli si moltiplicavano e i fondi incominciavano a mancare. Al C. era affidato l'incarico di informare lo Sforza della situazione napoletana, dato che l'esercito papale, inviato in soccorso di Napoli, si trovava in grave crisi; lo stesso Eugenio IV sembrava propenso a trattare con Alfonso d'Aragona, il che preoccupava non poco il doge, che ne informava il C., inviato a Venezia per chiedere rinforzi; da qui egli fu richiamato in tutta fretta dallo Sforza, in quanto le trattative di pace erano ormai giunte a termine. Il 20novembre si ebbe la sentenza arbitrale, le cui clausole, lette in assemblea a Genova, crearono vive preoccupazioni. Tuttavia, soddisfatte ormai Venezia e Firenze, che avevano ottenuto ciò che chiedevano, Genova si trovò isolata: al C. veniva demandata la decisione definitiva circa la ratifica, invitandolo ad una nuova ambasceria presso il Foscari, col compito di sondare le reali intenzioni degli alleati. Il 4 dicembre, alla fine, la sentenza venne accettata; il doge, visti vani i tentativi per conoscere l'atteggiamento alleato nel caso di richiesta di aiuto, preferì richiamarlo da Venezia ed inviarlo a Milano e a Firenze, per risolvere alcune vertenze.
Nel febbraio 1442 il C. faceva ritorno a Genova; nel marzo a lui e ad altri cittadini era demandato il compito di provvedere al governo di Savona, che nell'agosto insorgeva di nuovo. Per dirigere le operazioni belliche vennero eletti otto cittadini, tra i quali il C., ma la cattiva salute gli impedì di prendervi parte. Nell'agosto agli officiali della guerra contro Savona era anche demandato il compito di decidere sull'invio della flotta a Napoli, richiesta dallo Sforza e dal Piccinino.
Agli inizi di novembre il C. veniva rapito nella sua casa dai sicari di Carrozzo Spinola e rinchiuso nella rocca di Borgo Fornari: il doge intervenne immediatamente per impedire che egli fosse trasferito altrove e intavolò trattative col ribelle Spinola, sollecitando il Visconti ad interporre i suoi buoni uffici. Alla fine del mese, egli veniva liberato e inviato come ambasciatore a Milano.
La caduta del Fregoso, nel dicembre, lo obbligava a rimanere lontano da Genova, dove poteva ritornare nel febbraio 1443, grazie all'intervento del nuovo doge Raffaele Adorno, riprendendo così la sua intensa attività forense. Nel giugno dell'anno seguente fu inviato presso Eugenio IV, per spiegare i motivi che consigliavano di non concedere aiuti alla flotta che il papa stava allestendo contro i Turchi, e presso il re d'Aragona per colloqui sulla situazione di Cipro. Fece poi parte della commissione incaricata di risolvere le controversie tra Genovesi e Fiorentini; fu nel Collegio dei giudici ed avvocati ificaricati di procedere, nel 1446, alla stesura degli statuti del collegio; l'anno seguente appoggiò la decisione di demandare ad un comissione di otto cittadini l'esame della difficile situazione politica; gli venne quindi affidato il compito di esprimersi circa la- richiesta di risarcimento avanzata dall'Aragona in difesa di alcuni mercanti catalani derubati nel mare di Provenza dal doge Giano Fregoso, un tempo bandito dalla città; nel 1448 fu eletto tra i "reformatores et emendatores cabellarum".
Il G morì, probabilmente a Genova, nel 1451.
Durante la sua instancabile attività svolta come diplomatico e come consulente nelle più complesse questioni giuridiche interne ed internazionali numerosi furono i riconoscimenti per la sua abilità e la sua eloquenza: nel 1419, per i servigi resi al governo e per la sua preziosa opera nella pace firmata tra Genova e Milano, gli fu concessa l'immunità fiscale per il suo patrimonio e tale privilegio fu riconfermato due anni dopo nei capitoli della dedizione di Genova al Visconti; nel 1434 gli fu concessa la cittadinanza fiorentina, estesa ai figli e ai discendenti, senza obbligo di edificare una, casa a Firenze; fatto cavaliere, ottenne anche il privilegio di poter fregiare il suo stemma con l'aquila bianca di Polonia.
Fonti e Bibl.:Oltre ai docc. d'archivio citati nelle opere elencate, si veda: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Registri Litterarum 1/1777, nn. 1383, 1411, 1429 (a. 1413); 8/1784, nn. 115 (a. 1437), 1571, 1717 (a. 1439); 11/1787, n. 784/5 (a. 1443); 12/1788, n. 663 (a. 1443); 12 bis/1788 bis, nn. 210, 223/5 (a. 1444); Ibidem, Archivio segreto, Diversorum Comm. Ian., reg. 7/502, cc. 80r-81r (a. 1408); 8/503, nn. 26, 42, 351 (a. 1411-12);10/505, nn. 60, 62, 223, 225, 271 (a. 1416); 11/506, n. 26 (a. 1419); 12/507, nn. 8, 74a, 168 (a. 1422-23); 13/508, nn. 312, 505, 529 (a. 1424); 14/509 n. 458 (a. 1425); 17/512, n. 204 (a. 1428); 23/518, nn. 75, 307, 463, 465 (a. 1436); 31/526, cc. 113r, 163r, 171v, 205v, 207v (a. 1441); 371 532, cc. 75r, 79r (a. 1444); 40/535, c. 88r (a. 1445); 43/538, cc. 133v-131r (a. 1446); 44/539, c. 77r (a. 1447); 46/541, cc. 49v-50r, 81r (a. 1448); Genova, Civica Bibl. Berio: G. Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova (ms. sec. XVIII), II, pp. 542 s.; Iohannis Stellae Annales Ianuenses, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVII, Mediolani 1730, coll. 1250, 1294; Iohannis Simonetae Rer. gest. Francisci Sfortiae..., in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 109 s.; F. Biondo, Le Historie, II, Venetia 1550, I, XXVI, p. 68; U. Foglietta, Delle istorie di Genova, Genova 1597, p. 429; Liber iurium Reipublicae Genuensis, in Historiae Patriae Monumenta, II, Augustae Taurinorum 1857, coll. 1350-58, 1446-49, 1451-55, 1462, 1475-1491; Docum. diplom. tratti dagli Archivi milanesi, a cura di L. Osio, III, 1, Milano 1872, docc. XI, XXV; Commiss. di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1869, p. 380; III, ibid. 1873, pp. 540, 549 s., 553, 575; W. Altmann, Die Urkunden Kaiser Sigmunds, in Regesta Imperii, XI, Innsbruck 1896-97, ad Indicem; Inventari e regesti dell'Arch. di Stato in Milano: gli atti cancellereschi viscontei, I, Decreti e carteggio interno, Milano 1920, docc. 1211 s., 1215 s., 1240 s., 1269, 1281, 1292, 1360, 1519, 1654; II, Carteggio extra dominium, ibid. 1929, docc. 333, 404, 463, 550, 788, 838; C. Romano. Contributo alla storia della ricostruzione del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti, in Archivio storico lombardo, XXIV(1897), docc. CCCXCVI, CCCC; P. L. Cazzulo, Il governo di Teodoro II del Monferrato, Genova 1919, pp. 78 s.; A. Pesce, Sulle relazioni tra la Repubblica di Genova e Filippo Maria Visconti, Torino 1921, pp. 58, 81 s., 88 s., 91-93, 96 s., 100 s.; I. Scovazzi-F. Noberasco, Storia di Savona, II, Savona 1927, pp. 256 s.; G. Salvi, Galeotto I del Carretto marchese del Finale e la Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LXVI (1937), pp. 9, 11 ss., 18, 109, 111 s., 114 ss., 194, 208, 242, 245-48, 252-55, 263 ss., 272, 275 ss., 286, 290-94, 297, 391 s., 306 s.; Ph. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administr. of the island, Cambridge 1958, I, pp. 165, 436; II, pp. 208, 211, 213, 215, 217; A. Boscolo, La prima politica mediterranea di Ferdinando I d'Aragona, in Atti del I Congresso storico Liguria-Catalogna, Bordighera 1974, pp. 381 s.