DA PORTO, Battista
Nacque da Giovanni di Nicolò di Giovanni e da Isabella Thiene (a quanto pare nipote di s. Gaetano Thiene). Non sono noti né il luogo né l'anno della nascita. Si sa che ebbe una sorella, Diana, nata nel 1522, sposata una prima volta con il conte Sertorio Thiene ed una seconda volta con il conte Ippolito Da Porto, il famoso condottiero dell'imperatore Carlo V (già sposato a sua volta con Anna Da Porto sorella dell'eretico Manfredo Da Porto). Il padre del D., Giovanni, compariva tra coloro che nel 1532 a Bologna ricevettero il titolo di conte di Vivaro e di Val Leogra dall'imperatore Carlo V. Sul D. non si hanno tuttavia notizie fino al 1556, anno nel quale, assieme al padre e ad altri illustri personaggi della Vicenza del tempo, appare tra i fondatori dell'Accademia dei Costanti, fondata a quanto sembra per contrapporsi alla più famosa Accademia Olimpica nata l'anno precedente. I motivi di questo attrito del resto sembravano trovare alimento nel fatto che la prima Accademia escluse dal proprio sodalizio alcuni membri dell'aristocrazia e dell'intellettualità e questo per ragioni non ben precisate.
Della personalità del D. il Marzari fece un elogio lusinghiero nella sua Historia di Vicenza. Di lui vien detto infatti che fu uomo "di destissimo et elevato spirto, et sollecito (come sia cortesissimo, et liberalissimo) a corteggiar in Vicenza, et in Thiene all'antedetto palazzo suo i personaggi et grand'huomini, et altri del casato amici, con modo di magnificenza, et generosità honestissimo, et con gli officij, et opere a giovar a virtuosi, a parenti, ad amici, et servidori suoi". L'amore per il mondo delle lettere e delle arti, che da una parte lo portò a realizzare le proprie aspirazioni accademiche, dall'altra sembra lo rendesse sensibile nei riguardi dei problemi dello spirito.
Come del resto accadde per numerosi patrizi vicentini che vissero in questo secolo, il D. parve essere un sospetto seguace delle dottrine riformate, anche se ciò non sembra averlo coinvolto in alcun modo in prima persona. Appartenente infatti alla seconda generazione degli eretici calvinisti vicentini, probabilmente il D. risentì dei lancinanti problemi che ai riformati si ponevano dopo il concilio di Trento. Dibattuti tra la fuga in terra straniera e la scelta di imitare l'atteggiamento di coloro che, nell'impossibilità di manifestare apertamente la propria dissidenza, dissimulavano le loro convinzioni secondo l'esempio di Nicodemo, molti eretici, per evitare il martirio, sembravano prediligere la seconda alternativa. Il decennio che va dal 1560 al 1570 vide tuttavia l'emigrazione in terra straniera di alcuni calvinisti vicentini tra i quali vengono annoverati personaggi di una certa levatura come il conte Odoardo Thiene, Giambattista Trento e Alessandro Trissino. In effetti da molti la fuga veniva considerata l'unica alternativa per coloro che rifiutavano di accettare l'"empietà papistica" e intendevano vivere nella vera fede.
Il D. viene nominato tra i sospetti di eresia nel processo a carico di Francesco Borroni, procuratore dell'esule religioso Giulio Thiene. Inquisito nel 1568, il Borroni rivelava alcuni nomi di patrizi vicentini sospetti di simpatie ereticali tra i quali si possono ricordare Nicola Negri, Uberto Verlato, membri della famiglia Thiene ed alcuni mercanti vicentini che operavano a Ginevra e a Lione. Anche i Da Porto vennero coinvolti nella confessione del Borroni. Infatti questi alle domande dell'inquisitore dichiarava: "Io mi ricordo di haver sentito a dir già pur assai, che l'era sta accusato il Conte Battista, et il Conte Iseppo di Porti". Aggiungeva inoltre di aver inteso dire "che fu madonna Marcella suocera del detto Conte Battista che li accusò, et altri gentil'homeni di questa città al tempo che m. Thomaso era Inquisitore". Questa "madonna Marcella" nominata dal Borroni a quanto pare non dovrebbe essere altri che la madre della nobile vicentina Polissena Poiana, moglie del nostro Da Porto.
Comunque, per quest'ultimo non sembra si avessero conseguenze in seguito alle rivelazioni del Borroni. Del resto l'irreperibilità di parecchi documenti del tempo, in materia inquisitoriale non consente le chiarificazioni che andrebbero fatte al riguardo. In ogni caso i sospetti che gravavano sul D. non lo ostacolarono nell'attività civile alla quale in questi anni si dedicava. Infatti a partire dal 1560 entra nell'organismo giudiziario che faceva capo agli otto consoli laici, funzione che assunse anche negli anni 1561, 1563, 1565, 1567, 1573, 1575. Nello stesso periodo lo si ritrova tra i deputati ad utilia (la massima magistratura vicentina) e precisamente negli anni 1562, 1564, 1566, 1570, 1573, 1574. Tra le altre cariche che assunse in questi anni può essere ricordata la funzione aniministrativa che ricevette in qualità di conservatore del Sacro Monte di pietà di Vicenza nel 1570, mansione che gli venne riconfermata nel 1574 e nel 1576.
Degni di nota sono anche gli incarichi che a nome della città di Vicenza il D. assolve nei confronti della Serenissima. Infatti, in data 21 marzo 1570, il D., insieme ad altri nove "notabilli cittadini de diverse famiglie" (tra i quali Uberto Verlato e Nicola Negri), ricevette l'incarico dai deputati ad utilia di organizzare il modo con il quale contribuire alla guerra di Venezia contro i Turchi. In questa occasione venne stabilito di offrire "a sua Serenità o, ducento cavalli alla legiera, o cinquecento fanti con suoi capitani al'luno e al'altro modo pagati per sei mesi overo ducati dodece millia in loco de detti fanti e cavalli... ad ellection di sua Serenità". Tra le offerte proposte il doge Pietro Loredano accettò la contribuzione dei 12.000 ducati. Tuttavia gli sforzi che Venezia imponeva alla Terraferma a sostegno della guerra non potevano non generare malcontento. Di questo malessere si fece interprete in particolar modo anche Vicenza, dove, il 4 genn. 1572, in Consiglio venivano eletti dodici oratori, tra i quali lo stesso D. insieme ad Uberto Verlato e ad Iseppo Da Porto, aventi l'incarico di recarsi ai piedi del doge "due o più o meno alla volta" ad implorare l'alleviamento delle contribuzioni di guerra (in tutto 50.400 ducati) che la Serenissima aveva imposto alla città e affinché venisse assegnata "quella portione che sia convenevole alle forze nostre". Ciò evidentemente non sembrò sortire gli effetti desiderati se la stessa ambasceria veniva ripresentata il 29 nov. 1573. Il D. anche in questa occasione era presente, assieme ad Iseppo Da Porto, tra i dieci oratori che vennero riproposti dal Consiglio. Tra le altre missioni che ricevette dallo stesso Consiglio cittadino va ricordata quella che lo vide oratore a Venezia in una causa contro Marco Giustinian nobile veneziano, riguardo agli estimi della città di Vicenza (1572).
Dopo il 1576 il D. scompare dalla vita politica cittadina e di lui non si hanno più notizie fino all'anno della morte avvenuta a quanto pare nel 1591.
Come già accennato, si era legato in matrimonio con Polissena Poiana dalla quale ebbe due figli: Isabetta, che andò sposa a Leonardo Valmarana figlio di Alvise; Francesco, protagonista di alcuni disordini avvenuti a Vicenza nel 1582,sposato a Maddalena Capra figlia di Antonio (Francesco morì nel 1613). In data 15 nov. 1578il D. aveva dettato il proprio testamento nel quale ordinava che le sue possessioni comprate da Leonida Da Porto (figlio, forse, di Iseppo) andassero al nipote Giovanni, figlio di Francesco suo primogenito.
Fonti e Bibl.: Vicenza, Bibl. civ. Bertoliana, Ar. T. (Archivio Torre), b. 864 (partium secundus, 1557 usque 1571), cc. 108, 152, 267, 329 s., 356, 385, 414, 531, 548, 550, 599; ibid., b. 865 (partium tertius, 1572 usque 1590), cc. 29, 45, 54, 76, 81, 89, 117, 128, 140, 177; Ibid., G. da Schio, Memorabili, ms.3395; Arch. di St. di Venezia, Sant'Uffizio, b. 24; G. Marzari, La historia di Vicenza, Vicenza 1604, p. 169; F. Lampertico, Scritti stor. e lett., I, Firenze 1882-83, p. 160; G.Mantese, Mem. stor. della Chiesa vicentina, III,Vicenza 1964, p. 955; M. da Porto Barbaran, La famiglia da Porto dal 1000ai giorni nostri, s. l. 1979, p. 244 (per gentile concessione della figlia Kathinka Seccamani Mazzoli); M. Scremin, L'eresia dei nobili e dei mercanti nella Vicenza del Cinquecento. Prospettive di ricerca sui rapporti tra eterodossia religiosa e potere cittadino, in I ceti dirigenti in Italia in età moderna e contemp.,Udine 1984, pp. 124 s.