DELLA VALLE, Battista (Giovanni Battista)
Nacque a Venafro (Isernia), come si desume dalla dedica della sua opera a Enrico Pandone dove si definisce "humil servidor Battista della Vale Venafrano".
Ignota è la data della sua nascita; le fonti più antiche non ne fanno parola; qualche storico, non si sa su quali basi documentarie, la colloca nel 1470. Anche dei suoi genitori e del suo casato non è rimasta traccia; né abbiamo elementi per ricostruire in qualche modo il corso dei suoi studi e la sua formazione culturale. Quest'ultima doveva essere in qualche modo rimarchevole se la maggior parte degli storici mette in rilievo la sua "dottrina" e la sua "cognitione delle lettere". Sappiamo con sicurezza che fu capitano e che militò al servizio di Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino, forse nel 1516 quando venne difesa per tre mesi la rocca di San Leo assediata dalle truppe del papa. Di questa importante esperienza militare il D. ha consegnato il ricordo ad un'opera a parere di alcuni storici degna di figurare, per la sua importanza, accanto ai più noti trattati del Rinascimento: Il Vallo. Libro continente appertinente à Capitanij, retenere etfortificare una Città con bastioni, con novi artificij de fuoco aggionti, come nella Tabola appare, et de diverse sorte polvere, et de espugnare una Città con ponti, scale, argani, trombe, trenciere, artigliarie, cave, dare avisamenti senza messo allo amico, fare ordinanze, battaglioni, et ponti de disfida con lo pingere, opera molto utile con la esperientia del arte militare.
Essa ebbe notevole fortuna come testimoniano le numerose edizioni e le traduzioni che ne vennero fatte nel corso di tutto il Cinquecento e ancora nel Seicento. Sembra che la editio princeps dell'opera sia quella apparsa a Napoli nel 1521 in 120, rinvenuta nella Biblioteca dei Gerolamini da Mariano d'Ayala e da questo segnalata all'erudito C. Minieri Riccio. Altre edizioni si susseguirono a Venezia nel 1524, 1529, 1531, 1535, 1539, 1543, 1550, 1558 e 1564; un'altra apparve a Lione nel 1529; traduzioni vennero fatte in francese (Lione 1554), in tedesco, parziale (Francoforte 1620); in spagnolo, nella forma di un rifacimento, piuttosto acritico, della prima parte dal titolo El perfeto Capitan, pubblicato a Madrid nel 1590 a cura di don Diego de Llaba Biamont. L'opera si apre con una dedica al "... molto strenuo cavaliero S. Henrico Pandone", conte di Venafro, ultimo esponente della omonima casata che da circa un secolo era.insignorita del feudo di Venafro. Molto umilmente il D. attribuisce il primo merito delle "sententie, ragione, et precetti militanti" al suo signore, che a lui e ai suoi compagni li insegnò perché li applicassero nella dura pratica della guerra, avendoli trovati di grande utilità, l'autore vuole ora trasmetterli ad un più vasto pubblico "non con limato stilo, elegantia, et abundantia de dire" come gli erano stati insegnati dal suo signore, ma con i suoi più poveri mezzi linguistici, nel pieno rispetto della verità e nella convinzione della loro grande utilità pratica. Scritta dunque con un linguaggio semplice e accessibile, l'opera dei D. mira ad interessare tanto il pubblico colto che quello, assai più vasto, degli incolti, e non si basa, come viene subito sottolineato criticando gli scrittori precedenti, sull'autorità degli antichi autori, ma sulla diretta conoscenza ed esperienza dei fatti descritti.
Il Vallo è suddiviso in quattro libri: il primo è in gran parte dedicato alla figura del buon capitano che viene descritto tanto nelle sue caratteristiche fisiche che nelle sue qualità di carattere intellettuale e morale. Il D. si compiace di descrivere l'abbigliamento del comandante, i simbolici significati della sua variopinta divisa, i suoi requisiti culturali e intellettuali, e sviluppa poi il suo discorso affrontando il tema dell'assedio, del modo e tempo più opportuni per realizzarlo, della fortificazione di una città; fornisce altresì tutta una serie di suggerimenti di carattere tecnico per preparare misture di polveri atte ad appiccare il fuoco senza fiamma, per fabbricare "orlogi" che consentano il cambio della guardia ad intervalli regolari, strumenti per effettuare segnalazioni durante la notte ed altri ingegnosi espedienti tecnici legati alle necessità della guerra. Nel secondo libro del trattato, che contiene un significativo elogio di Francesco Maria Della Rovere, sono illustrati con numerose tavole e disegni, vari tipi di macchine da guerra, per assalire città assediate, per costruire ponti di emergenza, per estrarre acqua dal sottosuolo, per aprire valichi attraverso i monti. Al tema della disposizione dei battaglioni, con figurazioni assai fantasiose, a lunette, a triangolo, a forbice, e con una meticolosa illustrazione dei vantaggi e degli svantaggi di ciascuna, è dedicato l'intero terzo libro, mentre nel quarto troviamo una trattazione teorica dei tema della nobiltà delle armì e delle lettere ("la scientia è il fiore e la milizia il frutto"), con una accorata difesa della figura dell'uomo d'arme, ingiustamente svalutata rispetto a quella dei letterato, che scrive i suoi libri fra gli agi e i comodi della sua casa, circondato dalla gentilezza e dall'amore, di contro alla crudele é dura disciplina del soldato, costretto a vivere fra crimini, dolori, stenti e fatiche, e senza per questo diventare necessariamente crudele e sanguinario. Secondo il D. la figura dei soldato risulta anche socialmente più utile di quella del letterato, che è di peso alla società. L'opera si conclude con un discorso sul duello, sulle cause che lo determinano e sulle regole che lo disciplinano, senza tralasciare Iloccasione di toccare un argomento all'epoca di attualità, e cioè l'influsso degli astri sull'esito dei combattimenti. A questo proposito la posizione del D. è cauta e si allinea sull'opinione comune che detto influsso si eserciti esclusivamente sulle materie elementari, lasciando quindi libera la volontà dell'uomo perché questi "è nato libero e dotato di gran intendimento".
Non sappiamo quanto sia durato il suo servizio presso il duca di Urbino né abbiamo più alcuna notizia che lo riguardi. Probabilmente continuò la sua vita di soldato militando, dopo la morte del suo signore Pandone, avvenuta nel 1528 e con la quale si estinse l'intera casata, sotto altri condottieri, come i duchi Orsini di Bracciano. Qui la morte, sembra, lo colse nel 1550.
Fonti e Bibl.: G. Ciarlanti, Mem. istor. Del Sannio, Isemia 1644, p. 479; N. Toppi, Bibliotecanapol., Napoli 1678, p. 42;G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1750, p. 453; G. Cotugno, Mem. istor. di Venafro, Napoli 1824, pp. 327 s.; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 363; P. Albino, Biblioteca molisana ossia Indice di libri ed opuscoli pubblicati fino al 1865 da autori nati nella provincia di Molise, Campobasso 1865, p. 37; M. Jähns, Geschichte der Kriegswissenschaften, München-Leipzig 1889, I, pp. 472 ss., 776 ss.; Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare ital., Torino 1952, p. 529 n.; S. Bertelli, Introduz. a N. Machiavelli, Dell'arte della guerra, Milano 1961, pp. 313, 544; B. Gilie, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Milano 1972, p. 232; Encicl. militare, III, p. 422.