FARFENGO, Battista
Originario di Farfengo, un piccolo centro (oggi frazione di Borgo San Giacomo) della pianura a sudovest di Brescia, quasi in riva all'Oglio, era chierico secolare e dottore in diritto canonico. Sebbene manchino precise notizie biografiche sul suo conto, in base alle opere stampate è possibile circoscrivere la sua attività di tipografo tra il febbraio 1489 e la fine del 1500.
In quel periodo l'editoria bresciana viveva il suo momento di maggior splendore, dopo la brusca interruzione degli ultimi anni Settanta dovuta ad una crisi di sovrapproduzione che colpì un po' tutti i centri tipografici italiani (e a Brescia fu aggravata da una devastante pestilenza), e prima della traumatica battuta d'arresto causata dal sacco del 1512. La città, infatti, benché priva di università e di grandi committenti e mecenati, riuscì a conquistarsi un posto di eccellenza nel panorama italiano Per quantità e qualità dei libri stampati. Era favorita in questo dalla sua posizione geografica, abbastanza lontana da Venezia - vera capitale tipografica oltre che politica -, e poi dalla vitalità della sua economia che favoriva le iniziative imprenditoriali, dall'ampiezza del mercato librario locale, garantita dalla popolosità stessa della città, e non ultimo dal trovarsi assai prossima alle importanti cartiere gardesane. Dalle botteghe bresciane nel periodo degli incunaboli uscirono complessivamente 264 stampe, cioè circa il 3% della produzione dell'intera penisola. Una cifra che collocava la città alle spalle di Venezia, Roma, Firenze, Milano e Bologna, ma ben al di sopra anche di Napoli e Ferrara.
Tra i tipografi di Brescia il F. occupava un posto di rilievo, dal momento che faceva parte del ristretto gruppo dei quattro stampatori a cui si deve l'80% delle edizioni che videro la luce in città tra 1473 e 1512. Dominatori incontrastati della scena erano Angelo e Iacopo Britannico, che riuscirono ad eliminare assai alla svelta la concorrenza del dalmata Bonino Bonini, l'unico che avesse osato combatterli sul loro stesso terreno, e cioè la produzione classica e umanistica. Subito dietro di loro si trovava però il F., sia per numero di edizioni (53 contro il centinaio dei Britannico), sia per politica editoriale. Probabilmente non fu quindi un caso che proprio il F. si accollasse il compito di completare l'opera lasciata incompiuta dal Bonini, i Consilia di Baldo degli Ubaldi, di cui stampò il quinto ed ultimo volume in folio nel 1491.
Le scelte editoriali del F. dovevano naturalmente fare i conti con lo strapotere dei Britannico. Tra le sue stampe latine l'unica di argomento giuridico, oltre ai Consilia, fu il De interpretatione iuris di Stefano Federici (1496) e assai rari furono i classici, tra i quali si distinse l'Iliade del 1497 nella traduzione di Lorenzo Valla. E appena più numerose furono quelle di carattere umanistico e religioso. A questi settori era infatti dedicato più dell'80% della produzione di Angelo e Iacopo e il F. non tentò neppure di sfidare i concorrenti sul terreno a loro più favorevole. Perciò, per più di metà, i libri da lui stampati furono opere in volgare, destinate probabilmente ad un pubblico di livello culturale e sociale inferiore, un settore quasi del tutto tralasciato dai Britannico. Il prezzo di vendita di questi prodotti doveva essere modesto, e quindi i libri erano di piccolo formato (in genere in 80), contavano poche carte (la maggior parte meno di 20) ed erano di qualità editoriale assai scadente, difetto comune a gran parte della produzione in latino del F.: negli esemplari rimasti la carta è appena discreta, la stampa poco accurata e spesso scorretta, l'impaginazione difettosa e affrettata, talora con lettere capovolte. Anche i caratteri non sono di buona qualità: il F. ne utilizza dieci serie diverse (tre romane e sette gotiche), che nei primi anni di attività gli vennero fornite dai Britannico, mentre in seguito appaiono di diversa provenienza. Quasi sempre sono però consunti e in cattivo stato, come del resto le iniziali ornate xilografiche. Anche le illustrazioni sono adeguate al tono generale della produzione: non molto abbondanti, spesso non più d'una per volume, le xilografie non hanno in genere grande valore artistico: frutto dell'opera di oscuri artisti locali, pochissime tavole erano di proprietà del F., che doveva scambiarle di frequente con altri tipografi della città (specialmente con Bernardino Misinta). Per di più raramente le immagini sembrano avere qualcosa in comune col testo cui sono accostate. Si segnalano comunque tra tutte la testa virile di profilo, con raffigurate all'interno le ripartizioni del cervello, della Philosophia pauperum di Alberto Magno (1490), di influsso leonardesco, e la bella rappresentazione di un letterato seduto al suo scrittoio nel Fior di virtù del 1491 e in edizioni posteriori.
Per molti aspetti, quindi, l'attenzione dedicata dal F. a questo tipo di produzione appare nettamente condizionata dall'ingombrante presenza dei Britannico, che lo avrebbe quasi costretto ad una scelta obbligata, priva di qualsiasi iniziativa personale. In realtà la sua posizione nell'ambito della tipografia bresciana del XV secolo non fu probabilmente solo quella di semplice ombra alle spalle di Angelo e Iacopo. Prima di tutto si deve sottolineare che il F. si distinse nettamente dagli altri tipografi minori sia per la durata della sua attività tipografica, sia per la quantità delle edizioni prodotte; sia, infine, perché operò sempre autonomamente dai Britannico e non visse di commissioni come fece ad esempio il Misinta.
Ma soprattutto nell'attività del F. è forse possibile cogliere una strategia di più grande respiro, imperniata con decisione sulla stampa in volgare: più del 50% delle opere di questo genere pubblicate a Brescia negli anni 1489-1500 - il periodo di attività del F. - provennero dai suoi torchi, e nei dodici anni che separarono la sua uscita di scena dal sacco della città la pubblicazione delle edizioni volgari cessò quasi completamente. Per di più il F. ebbe il merito di introdurre per primo sul mercato bresciano nuovi testi di larga diffusione, come ad esempio il Milione di Marco Polo (1500), la Prognosticatione di J. Lichtenberger (1500), il Fior di virtù (1489 e 1491), incunabolo religioso di enorme diffusione, e pure la versione italiana dell'Historia de duobus amantibus di PioII Piccolomini (1491), e i Miracoli della Vergine Maria (1490). E poi la Legenda de sancto Faustino et Iovita (1490), che narra la storia dei patroni di Brescia. Ma nella sua produzione è particolarmente interessante il settore delle opere volgari in versi, per lo più in ottava rima, che spaziano dai poemetti storici e cavallereschi come Bradiamonte sorella di Rinaldo (1490), Della presa di Modone per opera dei Turchi di M. Cortesi (1500), il Lamento del re di Napoli (1495) e Il sonaglio delle donne di B. Giambullari (1491), ai testi devozionali come la Vita di s. Nicolò da Tolentino di G. B. Refrigerio (1495) e l'Invenzione della Croce (1498). Tutte opere che indicano la ricerca di un mercato "popolare", che il F. perseguì nel corso di tutta la sua attività, ma soprattutto un'attenzione invero poco comune per la diffusione del volgare.
Come sembra possibile leggere tra le righe della lettera dei cittadini bresciani al F., pubblicata come premessa alla Legenda de sancto Faustino e Iovita, il tipografo-editore era consapevole del ruolo che la stampa e i suoi "caratteri perpetui" potevano svolgere nella diffusione della cultura. E del fatto che la scelta della lingua volgare rispetto al latino dava la possibilità di raggiungere anche un mercato di lettori meno colti dei dotti umanisti. Tanto più che i libretti del F., per l'agile formato e la facilità della lingua, si adattavano molto bene anche alla lettura ad alta voce, ad un pubblico di "illetterati", maschi o femmine che fossero, che non facevano dello studio la propria scelta di vita: una coscienza delle possibilità di contatto tra cultura orale e cultura scritta che mette in luce un aspetto senz'altro singolare della personalità del tipografo bresciano (Quondam, pp. 203 ss).
Fonti e Bibl.: V. Peroni, Bibliografia bresciana, Brescia 1816, II, p. 38; C. Pasero, Stampatori bresciani, in Commentarii dell'Ateneo di Brescia, 1929, pp. 124 s.; M. Bevilacqua, Tipografi ecclesiastici del '400, in La Bibliofilia, XLV (1943), p. 14; L. Donati, Tipografi ed incisori, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 706, 714 s.; U. Baroncelli, Britannico, in Diz. biogr. degli Italiani, XIV, Roma 1972, pp. 340 s.; P. Veneziani, La tipografia a Brescia nel XV secolo, Firenze 1986, pp. 29, 41, 96-105; Id., La stampa a Brescia e nel Bresciano, 1472-1511, in I primordi della stampa a Brescia 1472-1511, a cura di E. Sandal, Padova 1986, pp. 2 s., 13, 16 s.; G. Bologna, Il libro come oggetto di visione: l'attività grafico-illustrativa a Brescia nel Rinascimento, ibid., pp. 117 s.; A. Quondam, La parte del volgare, ibid., pp. 150 ss., 176 ss., 183 ss., 193, 195 s., 202-205; G. Frasso, Letteratura religiosa in volgare in incunaboli bresciani, ibid., pp. 214 s., 217 s., 220 ss.; E. Sandal, Dal libro antico al libro moderno. Premesse materiali per una indagine. Brescia 1472-1550: una verifica esemplare, ibid., con indice alfabetico delle edizioni bresciane dal 1472 al 1511 alle pp. 256-287; M. Moneta, Tommaso Ferrando e B. F., tipografi bresciani, tesi di perfezionamento in biblioteconomia e bibliografia, Università di Parma, Facoltà di Magistero, anno accademico 1985-86, pp. 190-419, con gli annali del F. alle pp. 353-429; Catalogue of books printed in the XVth century now in the British Museum, VII, London 1935, pp. LV, 984 ss.; Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, I-VI, ad Indices.