NANI, Battista Felice Gaspare
– Nacque a Venezia il 30 agosto 1616, secondogenito (dopo Agostino, 1608-1666) del patrizio Giovanni dei Nani ‘dal Sesano’ (o ‘dal Cesano’) di S. Giovanni Novo, e di Marina Lando, figlia di Antonio del ramo di S. Simeone Profeta. Si firmò sempre come «Battista», anche se già i contemporanei si riferivano a lui col nome di Giovanni Battista.
La famiglia, considerata benestante, risiedeva all’epoca della nascita di Nani nella parrocchia di S. Cassiano e traslocò dopo il 1627 al palazzo Barbaro alla Giudecca. Il padre (1578-1648) e lo zio Battista (1566-1647) svolsero attività diplomatica e politica (Battista come podestà a Padova e Giovanni come procuratore di S. Marco de supra) e furono entrambi candidati alla dignità di doge (Battista nel 1630 e nel 1631; Giovanni nel 1631). I Nani si collocavano al centro di un complesso reticolo di relazioni con famiglie patrizie di pari importanza: da una parte quella materna, con il nonno Antonio Lando (1557-1618), bisnipote del doge Pietro e candidato al corno ducale nel 1615; dall’altra, quelle in cui entrarono con il matrimonio le due sorelle (nel 1628 Contarina con Marino Zorzi di Francesco e nel 1638 Orsetta con il cavaliere Alvise Barbarigo di S. Polo), mentre il fratello Agostino sposò nel 1626 Elena di Girolamo Pisani.
Studiò lettere e diritto presso il padre Giuseppe Renzoli o Renzuoli da Arezzo (e non Piero Renzoli, come scrisse Zeno, 1720, p. IIII) – dottore in legge dell’Università di Pisa e dal 1631 al 1661 revisore ai libri a Venezia, nonché membro dell’Accademia degli Incogniti, sorta nel 1636 – introdotto in casa Nani nel 1631: con la sua predilezione per la giurisprudenza e la storia, egli esercitò una notevole influenza sugli interessi intellettuali dell’allievo. Lo studio della filosofia fu invece affidato ai domenicani di Ss. Giovanni e Paolo: una scelta riconducibile allo zio, che da giovane aveva pubblicato un trattato di carattere filosofico De heroe libri quatuor (Venezia, P. Dusinelli, 1588).
Figure importanti nella formazione del giovane patrizio furono il padre e lo zio: personaggi forti che non esitavano a esprimere le loro opinioni, talvolta controverse. Battista sostenne nel 1628 il Consiglio dei dieci contro le richieste di ridimensionarne il potere avanzate da Renier Zeno. Giovanni, nel 1630, durante la seconda guerra di successione di Mantova, si oppose a un ulteriore coinvolgimento militare della Serenissima, sollecitato da Richelieu ma che avrebbe potuto suscitare una reazione da parte degli Asburgo, sostenendo «se la Libertà è il nostro Regno, ricordiamoci che la moderazione e la Pace sono sempre stati i suoi più fedeli Custodi» (Historia, ed. 1720, I, p. 448). Questa lezione di moderazione e di ricerca di un equilibrio pacifico tra la Francia e la Spagna diventò la base del pensiero politico di Nani.
Nel 1634 partì per Vicenza col fratello Agostino, eletto capitano della città, e si dedicò agli studi letterari e agli esercizi cavallereschi. Il 4 dicembre 1637 fu sorteggiato tra coloro che avevano compiuto 18 anni d’età e fece il suo ingresso nel Maggior Consiglio sette anni prima dell’età legale. Si trovò quindi catapultato nel mondo della politica e della diplomazia. All’inizio del 1639 si recò a Roma, dove dimorò fino al maggio 1640 col padre, eletto ambasciatore straordinario presso Urbano VIII per discutere la possibilità di una politica comune contro il Turco, e lo accompagnò ovunque durante le trattative. Intanto osservò la corte papale e assistette ai preparativi per la conferenza segreta di Einsiedeln del gennaio 1640 per trattare la pace tra Massimiliano I e la Francia.
Nella relazione conclusiva il padre accennò alla «pratica della Corte» fatta dal figlio, pronto ad assumere impegni «nel servitio della patria, al quale l’ho dedicato per voto della mia divotione verso Vostra Serenità» (Relazioni degli stati Europei, III, 2, 1878, p. 41).
A 25 anni d’età ebbe finalmente il diritto di assumere un incarico. Tentò la sorte il 25 agosto 1641 per la carica di provveditore a Peschiera (un altro tentativo fece il 4 agosto 1642); il 6 ottobre dello stesso anno si candidò al posto di capitano a Vicenza, ma uscì ballottato ultimo tra i cinque candidati. Il 14 settembre 1641, e ancora nel 1642, fu eletto alla carica di savio agli ordini, prima tappa di un cursus honorum all’interno dei consigli, che gli permise di accedere al Senato.
Risale probabilmente a quest’epoca una renga, trascritta da lui stesso in un volume dei suoi discorsi dal 1641 al 1650. Sono pagine piene di osservazioni mature sullo scenario internazionale che lasciano trapelare precoci capacità analitiche. Il primo discorso, pronunciato il 31 ottobre 1641, prende spunto da un dispaccio dell’ambasciatore a Parigi Girolamo Giustinian, che annunciava il ritorno del re inglese Carlo I, e dimostra profonda conoscenza della politica europea. In un altro, probabilmente del 1642, sullo sfondo delle notizie del conflitto tra Carlo I e il Parlamento, esprime il convincimento secondo il quale i tumulti e la guerra sono la rovina della civiltà e la combinazione dello scontro religioso con quello sociale «non può seguir senza fiamme, e diluvij, e come un corpo, se animato da più spiriti, patisce per necessità fuori e delirij» (Venezia, Bibl. Marciana, Ms. It. VII, 1242 [=8824], c. 7v).
Il 28 aprile 1643 fu eletto ambasciatore ordinario in Francia. I preparativi per la partenza durarono un anno e solo nel maggio 1648 arrivò a Parigi, dopo essere stato eletto il 30 marzo 1644 savio di terraferma, incarico che non poté assumere.
Il 7 giugno 1644 fece il suo ingresso ufficiale alla corte, ma la vera missione diplomatica iniziò il 21, con l’udienza dal cardinale Mazzarino. Per entrambi i paesi il momento era delicato. Richelieu era morto nel 1642 e Luigi XIII un anno dopo. La reggenza, a causa della minore età del nuovo re, Luigi XIV, era stata affidata alla madre Anna d’Austria e al ministro Mazzarino, che cercava nell’alleanza con la Repubblica un possibile contrappeso alla pressione asburgica. Dal canto suo, Venezia era appena uscita dalla prima guerra di Castro, ma incombevano su di essa la potenza ottomana e le sue pretese sull’isola di Candia (Creta). Nani ricevette l’ordine del Senato di reclutare marinai, noleggiare navi da guerra e ottenere le necessarie munizioni da inviare sotto il comando del maltese François de Nuchèze a Candia, ma la missione partì con gran ritardo e i suoi sforzi furono vanificati.
In un dispaccio del 21 agosto 1646 osservava che tutto dipendeva da Mazzarino: «fa risolvere ed eseguire tutto ciò gli piace con arbitrio assoluto, il nome del Consiglio non ad altro servendo che a pompa». Notava l’influenza del cardinale sulla regina e la preferenza per una Venezia antispagnola e meno combattiva contro l’impero ottomano. Pur osservando come la Francia fosse attraversata da lotte intestine e da lacerazioni di carattere civile e religioso, riscontrava una vitalità e una forza militare formidabili perché era «un paese fertile ed abbondante», e aggiungeva che «l’oro [... ] è quello, appunto, che dà il taglio al ferro». Nelle sue parole, si affaccia la convinzione di fondo che ne caratterizzò sempre il pensiero: allontanata la minaccia spagnola, Venezia si sarebbe trovata ad affrontare la Francia, che avrebbe costituito una minaccia pari a quella rappresentata fino ad allora dagli Asburgo. Venezia, pertanto, avrebbe dovuto sperare in una pace e «amicizia costante» (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Arch. Proprio Francia, 5 bis, filza 105, passim).
Passato il tempo stabilito per legge della sua missione, chiese di essere sostituito con un nuovo ambasciatore. Tuttavia, dopo il rifiuto della carica da parte di Alvise Mocenigo, solo il 9 aprile 1647 si procedette a eleggere Michele Morosini, che arrivò nel maggio 1648. Nel frattempo Nani aveva subito due duri colpi personali: il padre Giovanni, candidato nel 1646 per l’ennesima volta alla dignità ducale, era morto il 23 aprile 1647, seguito il 5 novembre dallo zio Battista. Costretto ad aspettare il suo successore a Parigi, fu testimone dei tumulti della Fronda nel gennaio-marzo 1648. Tornato a Venezia, nel novembre 1648 presentò la sua relazione al Senato, rimasta inedita fino al 1859, ma oggetto di circolazione manoscritta fittissima per lo stile e la capacità analitica della situazione europea.
La sua visione della Francia e del suo ruolo europeo dimostra quanto profonda fosse stata l’esperienza degli ultimi quattro anni: «non si può negare che la Francia non sia predestinata da Dio agli acquisti ed agl’imperii»; quasi un’ammissione di sconfitta di fronte al gigante che, malgrado la reggenza di una donna, un re bambino e un ministro straniero, si era sollevato a un tale grado di potenza con due mezzi, la gente e il denaro «l’uno consunto, l’altro profuso in così grande abbondanza, che bastante a conquistare più mondi» (Relazioni degli stati Europei, II, 2, 1859, p. 430). Il suo è un rendiconto dettagliato della potenza bellica, del rapporto tra nobiltà e popolo, della rete dei favoriti, dell’origine dei tumulti, della famiglia reale, ma soprattutto della figura machiavellica di Mazzarino. Contrariamente allo stile degli ambasciatori, nell’analisi delle relazioni internazionali della Francia considerò i singoli principi e paesi ripartendoli tra nemici, confederati e neutrali. Concluse infine che l’interesse veneziano fosse di rimanere in ottimi rapporti con la Francia come deterrente rispetto alla Spagna, perché «con i più potenti le amicizie dureranno sempre più lontano» (ibid., p. 467). Ma avvertì che sarebbe stato inutile contare sul soccorso della Francia contro il Turco.
Con la convinzione che il pericolo turco incombente fosse un problema da risolvere, ma che la vera minaccia risiedesse ormai nelle potenze europee, si buttò a capofitto in una frenetica attività politica. Eletto savio di Terraferma diverse volte (3 ottobre 1648; settembre 1649 e 1652), diventò senatore il 12 settembre 1649. Ad alcune candidature mancate (nel 1649 ambasciatore presso l’imperatore Ferdinando III; il 12 settembre e il 5 dicembre 1649 podestà rispettivamente a Brescia e Padova; l’8 aprile 1650 ambasciatore straordinario al congresso di Lubecca), seguì una raffica di nomine che riguardavano incarichi relativi a questioni di confine e militari (il 2 aprile 1650 provveditore ‘dell’armare’, carica che avrebbe assunto anche il 5 aprile 1669, e provveditore alla Camera dei confini per la controversia tra il Comune di Vicenza e gli Arciducali del Tirolo), e a questioni economiche (il 1° aprile 1651 savio alla Mercanzia e il 12 maggio inquisitore al banco del giro). Le sue arringhe nel Senato diventarono più serrate, riflettendo lo sguardo di un politico ormai maturo.
Il 17 marzo 1652 fu eletto storico ufficiale della Repubblica e sovrintendente ai pubblici archivi (specialmente la Secreta, che custodiva con accesso limitatissimo gli atti del Senato, del Consiglio dei dieci e di altri organi). Con gesto magnanimo rinunciò allo stipendio per le difficoltà finanziarie della Repubblica. Il 2 gennaio 1654 seguì la nomina all’ufficio dei riformatori dello Studio di Padova, incaricati tra l’altro di rilasciare le licenze di stampa (lo fu anche nel 1664, 1669, 1673 e 1677).
In qualità di storiografo, oltre ad annotare gli avvenimenti del suo tempo, doveva recuperare la ricostruzione di un ampio periodo di tempo poiché la storiografia pubblica era stata abbandonata a se stessa per 35 anni: i suoi predecessori, Nicolò Contarini (eletto nel 1618) e Giacomo Marcello (nel 1637), non avevano dato alla luce il frutto del loro lavoro. Compì intanto una scelta di bandiera: anche se doveva continuare il resoconto di Andrea Morosini e iniziare dal 1615-16, preferì riprendere dal 1613, con la morte del duca Francesco III Gonzaga e la guerra di successione di Mantova e del Monferrato, e questo per motivi di analisi politica, o forse anche per mettere in luce l’operato dei suoi antenati, i cui documenti erano custoditi nel suo archivio. Tuttavia, la scelta della data era una presa di posizione clamorosa, poiché l’ultimo libro (postumo) di Morosini, relativo al periodo 1605-15, era stato messo all’Indice nel 1624. Probabilmente era stato considerato poco opportuno tornare sulla questione dell’Interdetto in un periodo in cui il sostegno della S. Sede era così prezioso.
Nella dedica al doge Domenico Contarini, Nani presentò il suo modo di vedere il mestiere dello storico, rivendicando di aver preso «per iscorta la Verità, come anima dell’Historia» e indicò le fonti di cui si era servito: «l’accesso a’ Principi, il negotiar co’ Ministri, il discorrere con gli esecutori delle cose più insigni, il veder i siti, e i luoghi, m’hanno informato dell’occorrenze straniere, sì come delle domestiche ho io potuto instruirmi, non solo per l’ingresso ne’ pubblici Archivii, e ne’ più segreti Consigli, ma per essere state in buona parte maneggiate da’ miei Maggiori, e da miei Congiunti, & alcuna da me stesso» (Historia, 1663, I, pp. n.n. della dedica). L’elenco dei documenti nel suo archivio (Venezia, Bibl. del Seminario patriarcale, Cod. 787.2 [=876.2], cc. 1-24) rispecchia proprio l’attività di raccolta del materiale, fatta sotto la sua guida nella Secreta e relativa agli anni 1592-1678: annotazioni di materie pubbliche e sommario di materie importanti trattate nel Senato e nel Collegio (nn. 22-39, 49, 61-68), suoi discorsi (nn. 40-48), lettere inviate e ricevute, scritture, ducali, relazioni, dispacci, ma soprattutto le «Memorie estratte per servir all’Hist.a di cose importanti» che vanno dal 1600 al 1671 (nn. 57-59). Il metodo (già adottato da Morosini e, probabilmente, anche da Paolo Paruta) di prendere appunti seguendo i dibattiti nel Senato e nel Collegio e la convinzione che la rete informativa veneziana stesa su tutta l’Europa e in Oriente fosse in grado di captare ogni evento, decisione o ‘arcano’ e presentarlo al Senato, rendono però la storia di Nani «venetocentrica», «incapace di ragionare in termini europei contestualmente al venir meno delle ipotesi strategiche di respiro e delle discussioni politiche» (Andretta, 2000, p. 83).
Il primo volume che arriva al 1644, e quindi prima della guerra di Candia, rispecchia il Nani diplomatico, con uno sguardo nonostante tutto europeo, un occhio vigile alle grandi potenze, ma non meno alle piccole e destabilizzanti beghe italiane. Più sfumato è l’atteggiamento verso il ruolo della monarchia ottomana e il potenziale pericolo per la Cristianità. Il secondo volume, che copre l’arco di tempo della guerra, dal 1644 al 1669, si rivela inevitabilmente più sensibile al conflitto: la guerra «grave e pericolosa» è memorabile perché «si aprì grand’arringo all’ingegno, & alla mano per i maneggi, e per l’opre» (Historia, 1679, II, p. 1), ma l’analisi non affronta l’evento bellico ‘da fuori’ per vedere il suo impatto sugli interessi veneziani. Questo volume, che doveva ricalcare il modello parutiano di un tomo dedicato interamente alla guerra, lasciò il patriziato perplesso. Non a caso altri membri della classe dirigente consegnarono alla stampa le loro versioni: Andrea Valier, con il suo Historia della guerra di Candia (1679), e Giovanni Sagredo con le Memorie istoriche de’ monarchi ottomani (1688).
Uscita a Venezia in tre impressioni nel 1663, la seconda edizione della Historia risale al 1686, mentre a Bologna fu pubblicata già nel 1680. Le traduzioni inglesi e francesi furono quasi coeve (la prima parte a Londra nel 1673 e a Parigi nel 1679 e l’opera intera in francese a Cologne nel 1682), come anche le osservazioni: l’abate Jean-Paul de La Roque con la sua recensione sul Journal des Sçavans (7 agosto 1679, pp. 205, 208), parlò di un’analisi fatta «avec beaucoup de discernement», che forniva al pubblico un quadro europeo della situazione politica e la condotta delle cancellerie dai tempi di Enrico IV. Anche il diplomatico olandese Abraham van Wicquefort dimostrò la sua ammirazione : «Il l’a écrite avec tant d’adresse & avec tant de jugement, que quand il n’auroit point donné d’autres preuves de sa suffisance, il passera toujours pour un très-Grand homme dans l’esprit de ceux qui s’y connoissent » (1730, II, p. 162). Il bibliografo Jacques Le Long considerò la storia di Nani «universale»; e pur giudicando che l’autore «a plus suivi les sentiments naturels que la vérité de l’Histoire», concluse che «il y a peu d’Auteurs de son temps qui approchent de son raffinement & de sa politesse» (1719, II, p. 509 n. 9667).
Il 3 luglio 1653 fu eletto ambasciatore ordinario presso l’imperatore Ferdinando III (ma partì solo verso la fine 1654 e durante il viaggio apprese a Innsbruck la sua elezione a savio grande).
Fu una missione difficile, tra Vienna, Passavia (Passau) e Praga, dove da un lato cercò (invano) il sostegno della casa asburgica contro la forza ottomana, dall’altro tentò di arruolare contingenti per l’esercito veneziano, incontrando ostacoli all’inizio nel Consiglio di guerra. Intanto, oltre a un episodio di aggressione contro la sua casa il 6 maggio 1655, assistette a Passavia all’incoronazione a re d’Ungheria di Leopoldo I d’Austria, figlio di Ferdinando, alla morte dell’imperatore e all’incoronazione del successore (aprile e settembre 1657). Al ritorno comunicò nella sua relazione, letta il 7 gennaio 1659, che a suo parere l’Impero era ormai ridotto «in un’ombra, e memoria, dell’antico decoro e commando» (Fontes rerum austriacarum, 1867, p. 1). Nell’analisi dell’esitante operato di Ferdinando III e della disastrosa pace del 1648 riconobbe comunque allo scomparso imperatore doti di prudenza, giudizio ed esperienza. Osservò che il successore, malgrado la giovane età, sembrava giudizioso e maturo, anche se affiancato da un Consiglio di guerra contaminato da «interessi e passioni» (ibid., p. 8). Commentò con rammarico l’amicizia con la potenza ottomana e l’impossibilità di far valere le ragioni della Repubblica. Concluse con la presentazione di un cerimoniale della corte a uso dei suoi successori.
Appena rientrato in patria, dovette tornare a Vienna come ambasciatore straordinario per l’incoronazione imperiale e qui gli venne comunicata, nel luglio 1659, l’elezione ad ambasciatore straordinario presso Luigi XIV per chiedere sussidi per il conflitto in Candia. Il 9 ottobre era già a Parigi, poi, dopo diversi incontri con ministri e Mazzarino, soggiornò lungamente in Linguadoca per seguire da vicino l’incontro tra Luigi XIV e Filippo IV di Spagna, e a Tolosa per partecipare alle nozze del re francese (giugno 1660). Fece ritorno in settembre.
Dal 1661 al 1667 fu 17 volte savio Grande; il 3 febbraio 1662 divenne procuratore di S. Marco de citra e ancora deputato sopra la provvisione del denaro (1661), savio sopra le decime del clero, provveditore sopra i monasteri, deputato sopra la fabbrica del palazzo ducale (1662).
L’attività politica non escluse quella intellettuale: già a Parigi nel 1644 aveva fondato un’accademia ‘italiana’. A Venezia, nel 1661-63, ospitò gli incontri dell’Accademia dei Filaleti, dedicati alla filosofia naturale e alla botanica, e fu membro dell’Accademia Dodonea. Nel gennaio 1659 gli fu conferita la dignità di bibliotecario di S. Marco: in questa veste, però, si limitò a occuparsi del lascito del consultore in iure Gasparo Lonigo (1659) e a dividere la raccolta tra la Secreta e la Libreria, tanto che il suo successore, Silvestro Valier, dovette riscontrare lo stato di abbandono in cui versava la Libreria.
Nell’ultima fase della guerra di Candia, già promosso da un autore anonimo a una futura carica dogale, si trovò eletto capitano generale da Mar (15 settembre 1663), carica prestigiosissima, ma pericolosa. La carriera politica di numerosi patrizi, già dal Quattrocento, era stata annichilita dall’insuccesso (spesso dovuto a fattori estranei alla loro capacità di leadership) nello svolgimento della loro funzione; altri erano stati innalzati al grado di eroi nazionali. Nani, che conosceva bene quelle storie, non si sentiva preparato per l’incarico e lo rifiutò, consapevole che gli fosse stato giocato un brutto scherzo come reazione alla sua crescente popolarità. La fase militare della guerra di Candia continuò senza di lui, ma il rifiuto ipotecò la sua carriera, che conobbe una brusca frenata. Eletto per la seconda volta allo stesso incarico nel gennaio 1667, rifiutò ancora (tanto più che qualche giorno prima era morto il fratello maggiore, responsabile fino ad allora degli affari di famiglia), e partì Francesco Morosini.
Dopo di allora, a eccezione di tre elezioni di rappresentanza diplomatica (nel 1667 e nel 1670 per i conclavi di Clemente IX e X, e nel 1675 come plenipotenziario a Nimega, ma rifiutato come mediatore dalla Spagna), prese a occuparsi dei problemi della Terraferma, dei confini della Repubblica, di questioni interne: nel 1665 fu sopraprovveditore alle Pompe e provveditore alle Beccarie; nel 1666 diventò revisore e regolatore dei dazi; nel 1669 inquisitore in Levante; nel 1670 deputato ad pias causas e provveditore al Sale; nel 1671 commissario in Dalmazia; nel 1672 provveditore generale dell’Armata ed esecutore contro la bestemmia; nel 1673 aggiunto alla sanità; nel 1674 savio contro l’eresia e savio alla Mercanzia; e nel 1675 correttore della promissione ducale.
La permanenza a Venezia gli permise di concentrarsi su due riforme importanti relative alla documentazione governativa. Forse influenzato dall’Ordonnance civile francese, il 27 settembre 1667, su sua proposta in veste di incaricato agli archivi, il giureconsulto Marino Angeli procedette alla compilazione delle leggi pubbliche (Legum venetarum compilatarum methodus, Venezia 1678), cui fece seguito nel 1688 il tomo sulle leggi in materia privata. Un’altra iniziativa riguardò gli archivi. Nani incaricò Antonio Negri di preparare un «indice della Secreta» (presentato al Senato il 23 novembre 1669), un tentativo ambizioso di dare ordine alle carte «come idea del buon governo, e norma politica per i secoli futuri» (Arch. di Stato di Venezia, Indice, intr., c. n.n.). L’appello di Negri per continuare la compilazione dell’Indice, seguendo lo stesso ordine, fu disatteso per il fatto che invece di uno strumento di recupero, era stato concepito come «necessario lume delle cose passate» (presentazione di Nani in Senato, ibid.) e quindi come un inventario.
Nel 1675, negli anni che la storiografia veneziana contemporanea definisce come quelli dell’‘antimito veneziano’, e cioè quando diversi scrittori patrizi e stranieri fecero circolare gli uni opere manoscritte clandestine, gli altri libri a stampa che demolivano l’autocelebrazione della Serenissima, venne scritta un’opera che fornì, come già era avvenuto nel 1664, il ritratto dei 100 patrizi più influenti della Repubblica. La descrizione di Nani era più sfumata e rintracciava nella sua «propria modestia» le ragioni della mancata candidatura dogale nell’elezione di quell’anno (Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Cod. Gradenigo 15, p. 34). Tuttavia il crollo della sua popolarità era un fatto. Anche nel 1676 si presentò candidato, ma la gara si svolse tra i Sagredo e i Contarini. E nel 1677, quando come correttore alle leggi (eletto il 14 febbraio) propose una correzione alla legge del 1671 circa l’elezione al Consiglio dei dieci, trovò un avversario in Giovanni Sagredo, ancora amareggiato dalla mancata elezione alla carica di doge, che bollò la proposta come oligarchica e Nani venne sconfitto.
Morì di ‘febbre maligna’ a Venezia il 6 novembre 1678.
Nel testamento, redatto il 7 ottobre 1674, chiese di essere sepolto nella cappella di S. Dorotea col vestito cappuccino nella chiesa di S. Giovanni Novo, con suffragio da parte della Confraternità di S. Basso, di cui era membro. Oltre a lasciti generosi per opere di beneficenza e vari membri di famiglia, ordinò che il suo patrimonio andasse al nipote Antonio con specifica richiesta di pubblicare la seconda parte della sua Historia e di avere cura dei suoi libri e manoscritti. L’inventario del suo archivio politico enumera 458 titoli, tra i quali spiccano in calce originali di Ermolao Barbaro, pervenuti ai Nani a seguito del matrimonio tra Elena Pisani e Agostino Nani. L’archivio politico e la biblioteca, custoditi dal nipote e lasciati ai propri eredi in fedecommesso, sono stati divisi nel 1720 tra le famiglie Ruzzini e Foscarini. Una parte dei manoscritti finì nelle mani dell’abate Daniele Francesconi nel 1818 e poi nella British Library; altri codici si trovano alla Biblioteca nazionale austriaca, alla Biblioteca Marciana e al Museo Correr a Venezia.
Edizioni di altre opere: Relazione di Francia fatta al Senato veneto… 3 febrajo 1661, a cura di G. Melchiorri, Roma 1844; Due dispacci, Venezia 1874.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. Codd. I, St. veneta 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii …,V, cc. 450-451; Avogaria di Comun, Libro d’oro,Nascite, III, c. 228v; Senato, Terra, filza 721 (rel. di Nani sul lascito Lonigo, 15 settembre 1663); Ibid., Dispacci, Arch. proprio Francia, 5 bis, filze 101-107 (1645-48), 124-125 (1660); Arch. proprio Germania, 7, filze 104-109, 110b-112 (1654-58), 113-114 (luglio 1659); Collegio, Relazioni, b. 9 (Francia, 1648; 1660); b. 14 (Germania, 1659); Procuratori di S. Marcode supra, b. 68, f. 1 (rel. di Silvestro Valier, 11 settembre 1680); Notarile, Testamenti, b. 1166, n. 69 (testamento di Nani, 7 ottobre 1674); X Savi alle decime in Rialto, Redecima 1661, reg. 1502, c. 559; Giudici di petizion, Inventari, 446/7; Provveditori alla sanità, 788, 6 novembre 1678; Indice della Cancelleria segreta di Antonio di Negri; Ibid., Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 98; 1216, pp. 76, 87; 2047; 2483/30; 2502, cc. 283-4; 2714/6; 3109/36; 3282, c. 112; Cod. Correr, 32; Archivio Morosini Grimani, bb. 265; 505/2-3; 538, f. II-III; Cod. Gradenigo, 15, pp. 34-36; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 105 (=7732), c. 41; 392 (=7610), cc. 176-195, 683-696; 580 (=8956), cc. 274-317; 644 (=8063), cc. 19-41; 841 (=8920), cc. 113, 124, 175, 187; 884 (=8583), f. III; 901 (=8846), cc. 2-15, 164-186; 903 (=7829), cc. 1-27; 927 (=8596), c. 209r; 1242 (=8824); 1743 (=7802), f. III-IV; 1847 (=9617), f. IX, cc. 176-225; 2027 (=8248), cc. 148-176; 2385 (=9757), cc. 2-155; 2386 (=9759), cc. nn.; 2389 (=11721), cc. 241-272; Ibid., Biblioteca del Seminario patriarcale, Cod. 787.2 (=876.2), cc. 1-24; Padova, Biblioteca universitaria, Archivio, b. 2, III, doc. 48; Syracuse NY, Syracuse University, The Leopold von Ranke Manuscript Collection, mss. 28, 57; Londra, British Library, Mss. Add. 8607-8609; 8736-8744; 10174; 10199; 16518, cc. 318, 224; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. Foscarini LX, n. 6241; Le glorie de gli Incogniti, Venezia 1647, pp. 285-287; S. Orsato, Li marmi eruditi… consecrate a... B. N., Padova 1659; P. Zeno, Memoria degli scrittori veneti, Venezia 1662, p. 99; L. Crasso, Elogii de gli huomini letterati, Venezia 1666, pp. 101-106; B. Gallici, Mercurii Tripoda... sive… virorum gesta H. Foscareni... Io. Bapt. Cornelii Piscop... B. N., Vicenza 1666, pp. 29-60; M. Trevisan, L’immortalità di G.B. Ballarino, Venezia 1671, p. 225; P. Michiel, Delle poesie postume… consacrate a… B. N., Venezia 1671; S. Tartagna, Il generalato di Palma del… sig… G. Cornaro… consacrato al sig… B. N., Udine 1676; A. Macedo, Pictura Venetae Urbis, Venezia 1677, pp. 51-59; M. Angeli, Legum Venetarum compilatarum…, praesidentibus ad compilationem B. Nanio… et Julio Justiniano, Venezia 1678; G. Querini, Obitum equitis Io. Bapt. 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