FIERA, Battista (Giovanni Battista)
Nacque a Mantova nel 1465. Compì gli studi universitari a Pavia, e qui si dedicò sia alla medicina, che doveva diventare la sua principale occupazione, sia a tutte quelle discipline che costituirono le grandi passioni della sua esistenza, trasfuse in tutte le sue opere: la poesia, la filosofia, la teologia.
Dopo essersi addottorato - intorno al 1485 - il F. si trasferì a Roma, dove nel 1490 venne pubblicata da E. Silber la sua prima opera, la Coena, in distici elegiaci, introdotta da un epigramma elogiativo di Pomponio Leto.
La Coena è stata l'opera del F. che ha avuto maggior diffusione in ambito europeo. Se infatti in Italia la troviamo ripubblicata solo nel 1515 e nel 1537 in raccolte curate dallo stesso F. e nell'edizione del 1649 preparata da Carlo Avanzi da Rovigo, già nel 1508 la troviamo edita a Parigi e nel '30 e nel '71 a Strasburgo. Nel 1522 venne pubblicata a Basilea.
Intorno ai primi anni del Cinquecento il F. tornò a Mantova, forse per dedicarsi totalmente alla sua attività di medico. Sembra però evidente che le sue ambizioni non si risolvessero nella cerchia delle mura di Mantova. Nel 1515 raccolse una serie di scritti e li pubblicò presso lo stampatore mantovano Francesco Bruschi. Il volume raccoglieva gli Hymni divini, due libri di Sylvae, il Melanysius, la Coena e il dialogo De iusticia pingenda. I dodici Hymni divini, carmi latini di argomento teologico, erano dedicati a Leone X, il pontefice che aveva fatto di Roma il centro della cultura europea, con la speranza di poter ritornare nell'Urbe. Ma i carmi non piacquero a Leone X, come dichiara lo stesso F. in un epigramma contenuto nell'edizione del 1537 delle sue opere.
Morto Leone X, il F. ripeté il tentativo dedicando al suo successore Adriano VI nel 1522 il grandioso poema in quattro libri De Deo Homine. Anche questo tentativo di essere richiamato a Roma andò fallito, avendo ottenuto come ricompensa dal papa solo un breve di risposta, il cui tono elogiativo non va al di là di formule consuete. Ma la raccolta del 1515 contiene l'opera forse più significativa del F., quella che più illumina la sua profonda e incompresa sensibilità, il dialogo De iusticia pingenda.
Il dialogo si svolge fra Andrea Mantegna e un personaggio, Momo, che potrebbe rifarsi al "Momus" di Leon Battista Alberti. Che i rapporti fra il Mantegna e il F. fossero strettissimi è dimostrato anche dal fatto che il poeta dedicò ad un quadro che Mantegna dipinse per la marchesa Isabella d'Este, il Parnaso, un componimento contenuto nel Melanysius, in cui il quadro viene esaustivamente descritto e lodato.
Fra la raccolta del 1515 ed il 1522 si situano i Commentaria novae doctrinae in artem medicinalem diffinitivam Galeni, s. I. s. d., dedicati al doge L. Loredan e al Senato veneto, nell'evidente tentativo di trovare altrove il riconoscimento che da Roma non gli era venuto.
L'ampia silloge, che riflette puntualmente i diversi interessi del F., contiene anche: la Quaestio de virtute movente pulsum (datata dicembre 1510); la Quaestio de phlegmatico et bilioso aequaliter febrientibus (dedicata "ad conterraneos medicos suos amatissiinos" e datata 6 maggio 1510); il Tractatus de loco Angeli (dedicato al cardinal D. Grimani e datato 12 giugno 1512); il Tractatus de primo cognito (dedicato allo scotista bresciano Licheto e datato 7 sett. 1513); il Dialogus de iusticia pingenda; il Dialogus de praedestinatione (dedicato a Lodovico Gonzaga di Gazuolo nel 1515) e il Tractatus de intentione et remissione (dedicato al Pomponazzi nel 1515). Un'opera vasta, che pure non riuscì ad imporre il F. sulla scena letteraria, ormai dominata da autori ed interessi a lui lontani.
Nel 1522 fece un nuovo tentativo, anch'esso fallito, di ottenere credito presso la Repubblica veneta, dedicandole il De optima rei publicae gubernatione, item de laudibus urbis Venetae, s. I. Nel 1524 il F. pubblicò (secondo Fiorentino e Dionisotti a Mantova, secondo Faccioli a Venezia) l'Opusculum de animae immortalitate contra Pomponatium Mantuanum, in cui cercava di confutare, senza alcun rigore scientifico, il De immortalitate animae, pubblicato nel 1516. Gli ultimi anni della vita del F. dovettero essere particolarmente solitari e insoddisfacenti, se nel 1537 volle raccogliere i suoi scritti più significativi, in una sorta di celebrazione che i contemporanei gli avevano negato : Uscì quindi a Venezia, presso Giovanni Padovano e Venturino Ruffinello, una raccolta intitolata Baptistae Fiaerae Mantuani philosophi medici theologi et poetae De Deo Homine libri quattuor. Hymni divini. Dictatum de Virgine Matre immaculate concaepta. Coena et Libellus de pestilentia. Silvae. Elegiae et Epigrammata.
Il F. morì a Mantova nel 1538, lasciando dietro di sé un'opera a cui non è stato ancora attribuito il giusto luogo nella letteratura umanistica italiana. Del F. rimane anche una selva, Andina, conservata manoscritta nel Fondo Vittorio Emanuele, ms. 1076, della Biblioteca nazionale di Roma. La selva, che consta di 206 versi, è dedicata a Francesco Gonzaga e, ispirandosi direttamente a Virgilio, celebra le imprese militari e il mecenatismo dei Gonzaga.
Del F. rimane un pregevole ritratto eseguito da Lorenzo Costa, oggi conservato nella National Gallery di Londra.
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