FREGOSO (Campofregoso), Battista
Nacque a Genova il 2 febbr. 1452 dal doge Pietro e da Bartolomea Grimaldi, figlia del signore di Monaco. Trascorse i primi anni a Piombino, di cui era signore Emanuele Appiani, marito della zia paterna Battistina (gli succedette nel 1457, il figlio Jacopo). Qui ricevette una buona istruzione nelle lettere, successivamente si avviò alla professione militare. Nel 1463 prese dimora a Novi, infeudata da Filippo Maria Visconti a Pietro padre del F. nel 1443 e confermata in suo dominio nel 1470. Schierato tra i partigiani dei duchi di Milano, dai quali aveva ricevuto il feudo di Rivanazzano, presso Pavia, il F. ebbe nel 1478 l'occasione di intervenire nella scena politica genovese.
Nei primi mesi del 1477 Genova, sottoposta al dominio sforzesco dal 1464, si era apertamente ribellata. La corte milanese aveva risposto energicamente, insediando uno dei capi delle fazioni genovesi, Prospero Adorno, in qualità di governatore ducale (aprile 1477). Ma questi, sobillato da Ferrante d'Aragona, aveva rivelato crescenti aspirazioni autonomiste, fino a farsi proclamare doge nel luglio 1478. Per riprendere il controllo della città gli Sforza avevano dapprima tentato di sostituire all'Adorno il vescovo di Como, Branda da Castiglione, non esitando a chiedere l'appoggio dei Fieschi, potenti signori della Riviera di Levante, primi ispiratori della ribellione. Poi, tramontate le ipotesi di accordo politico, i duchi avevano deciso di reprimere la rivolta con la forza, ma il loro esercito era stato duramente sconfitto dai Genovesi e dalle truppe di Roberto Sanseverino (9 ag. 1478). Fu a questo punto che la corte milanese incaricò il F. di entrare in Genova e assumere il potere con un colpo di mano.
Alla fine di agosto del 1478 il F. allacciò contatti con i nobili genovesi, confidando nel prestigio della propria famiglia, acerrima rivale degli Adorno, e nel crescente malcontento dell'aristocrazia per i legami stretti dall'Adorno, abile demagogo, con le fazioni popolari. I risultati furono deludenti: Doria, Spinola e Fieschi mostravano diffidenza, gli Adorno sembravano pronti alla difesa e persino alcuni membri della famiglia Fregoso tramavano ai suoi danni. Nondimeno, il F. si decise a tentare l'impresa. A Milano stipulò con i duchi, in data 4 e 12 ott. 1478, patti che gli garantivano la carica di futuro governatore di Genova, con una prima somma di 2.000 ducati, alcune importanti fortezze della città e condizioni vantaggiose per i principali esponenti della famiglia. Quindi, nella notte tra il 22 e il 23 ottobre, mosse con i suoi armati verso Genova, diretto a Luccoli, fortilizio adiacente alle mura e alla chiesa fortificata di S. Francesco. L'azione fu coronata da successo e, dopo una scarsa resistenza, il F. ricevette dal vescovo Castiglione il governo della città a nome degli Sforza.
Iniziò trattative con i capitani del Popolo e con i capi di "alberghi" nobili e popolari: Doria, Grimaldi e Guarco si dichiararono disposti a tornare sotto il regime sforzesco, ma i Fieschi rimasero a fianco degli Adorno. In queste condizioni, lo scontro decisivo poteva avere esiti incerti. Così, solo dopo aver ottenuto il possesso del Castelletto, che gli Sforza preferivano tenere sotto proprio diretto controllo, e aver vinto l'opposizione di Ibleto Fieschi, capo della famiglia, il F. si accinse alla battaglia finale. A metà novembre iniziarono feroci combattimenti in diversi quartieri della città e Prospero Adorno, nonostante alcuni successi delle sue truppe, dopo un improvviso voltafaccia dell'ambasciatore del re di Napoli, fu costretto alla fuga. Così, il 25 novembre, il F. prese il potere e il 28 fu nominato doge.
La corte milanese sospettò subito uno scarso rispetto degli accordi. Il F., infatti, non solo aveva omesso ogni riferimento agli Sforza, ma aveva anche lasciato a Ibleto Fieschi piena autorità sulla Riviera di Levante, con il controllo di alcune porte di Genova. Le previsioni più pessimistiche furono confermate dal primo atto emanato dal nuovo doge: la stipulazione di una alleanza (in data 29 nov. 1478) tra il Comune di Genova, papa Sisto IV e il re di Napoli, cioè i nemici degli Sforza e dei Medici nella guerra seguita alla congiura dei Pazzi, che entrava allora nella sua fase più drammatica. I duchi decisero immediatamente di inviare a Genova il cancelliere A. Colletta, mentre Lorenzo il Magnifico ordinava armamenti cautelativi a Sarzana, venduta dai Fregoso a Firenze nel 1467. Il F. si giustificò addossando la responsabilità dell'atto ai capitani del Popolo e si dichiarò fedele agli impegni presi. Ma non mutò indirizzo politico. Anzi, correvano voci che volevano il F. segretamente stipendiato da Ferrante d'Aragona. Nondimeno, la corte milanese, impossibilitata a una reazione di forza, preferì accordargli credito e aiuti finanziari, con la commissione di guadagnare almeno il consenso della cittadinanza agli Sforza.
La riconciliazione del re di Napoli con Lorenzo il Magnifico, l'ascesa al potere di Ludovico Sforza detto il Moro, che il F. aveva contrastato per dimostrarsi fedele ai duchi, e in ultimo la riedizione della lega tra Napoli, Firenze e Milano mutarono radicalmente, tra il 1479 e il 1480, il quadro politico-diplomatico, lasciando Genova pressoché isolata. Così, il Moro, avuta mano libera dai nuovi alleati, rinvigorì le mire milanesi su Genova, istigando Ibleto Fieschi a spodestare il Fregoso. La guerra civile, iniziata sul finire del 1479, dopo un esile accordo, toccò la fase più acuta nell'ottobre 1480, quando il F. fu costretto a rifugiarsi nel Castelletto e i Fieschi, per spezzare le solidarietà familiari intorno a lui, fecero eleggere doge il cugino Agostino, uno dei protagonisti della ribellione del 1477. Il F. fece allora ricorso all'aiuto militare offertogli da Marsilio Torelli - del quale aveva sposato in seconde nozze la sorella, Bernardina - e, dopo aspri combattimenti, a Natale dello stesso anno, riuscì a riprendere il potere.
Il conflitto, tuttavia, non si spense, né giovò al F. un'intesa politica e commerciale con Milano, raggiunta nel marzo 1481. Poco dopo, infatti, Ibleto Fieschi, congiuntosi con gli Adorno, fece strage in Genova della fazione del F., che si salvò a stento, e in giugno nuovi combattimenti insanguinarono il contado di Chiavari e la Val Sturla. Solo alla fine dell'estate, il F., dopo essere stato a lungo assediato nel Castellazzo, posto sulle alture prospicienti la città, liberò il campo.
Queste lotte intestine avevano ostacolato i disegni di Sisto IV, il quale, in seguito alla conquista turca di Otranto (8 ag. 1480), appariva animato da un tardivo zelo crociato. Agli stessi fini aveva risposto un tentativo di mediazione tra le fazioni rivali del card. G.B. Savelli, a cavallo tra il 1480 e il 1481. Tuttavia, anche quando, nel giugno 1481, gli scontri parvero cessati, il F. non poté spingersi oltre un generico appoggio nei confronti dello zio Paolo Fregoso, creato in quell'occasione cardinale e comandante della flotta pontificia armata dai Genovesi in soccorso della città pugliese. Il F. riprese, nondimeno, l'iniziativa dopo la resa dei Turchi (10 sett. 1481), spingendo affinché la flotta si volgesse alla riconquista delle colonie del Mar Nero, perse nel corso del '400. Ma non trovò consensi adeguati e Paolo Fregoso poté tornare a Genova, in attesa di spendere al meglio il credito acquistato nella liberazione di Otranto.
Cessato il pericolo turco, ripresero i contrasti fra gli Stati italiani. Per muovere Genova da una posizione diplomatica in stallo, nel luglio 1482, il F. entrò nella lega stretta tra il papa e Venezia, contrapposta all'alleanza tra Milano, Firenze e Napoli, che includeva ora anche Ercole d'Este: erano gli schieramenti della guerra di Ferrara. In questa occasione il F. intervenne a favore della famiglia Torelli, che, mentre i Veneziani iniziavano le ostilità contro gli Estensi, aveva aderito alla rivolta contro il Moro promossa da Pier Maria Rossi, nobile parmense. Ma la spedizione militare genovese allestita in soccorso dei ribelli, sotto il comando di Agostino Fregoso, fu bloccata in porto dalla flotta aragonese.
La posizione del F. appariva ormai indebolita: all'inizio del 1483, quando anche il papa abbandonò i Veneziani, egli rimase unico alleato della Serenissima e dei Rossi. Il malcontento della nobiltà di Genova, scossa da una difficile congiuntura economica, montava, mentre si diffondevano voci secondo le quali il F. avrebbe ceduto la città all'imperatore Federico III. Fu lo zio Paolo Fregoso ad approfittare del declino politico del F.: il 25 nov. 1483 lo attirò nel suo palazzo e lo costrinse ad abdicare, per essere a sua volta proclamato doge.
Il F. si ritirò a Novi. Nel conflitto tra Firenze e Genova per il possesso di Sarzana, riconquistata da Ludovico Fregoso nel novembre 1479, partecipò sporadicamente alle operazioni a fianco dei Fiorentini, spendendo gran parte delle sue sostanze. Alla fine del 1484 cercò sostegno presso Ludovico Sforza. Ma il Moro non intendeva servirsi del F. per imporre la propria influenza su Genova e lo spinse a sottoscrivere, nel febbraio 1485, un atto di fedeltà allo zio.
Il F. tornò a Novi. Le continue delusioni subite e il suo isolamento politico lo fecero volgere alle lettere, coltivate nell'adolescenza. Pensò dapprima alla stesura di Annali genovesi; in un secondo momento (a partire dal 1486) attese a una raccolta di famosi detti e fatti esemplari, pubblicata postuma, col titolo De dictis factisque memorabilibuscollectanea. Rientrò nel contempo in contatto con l'ambiente letterario milanese (al quale si era accostato intorno al 1478), carteggiando con il poeta P. Piatti, lo storico G. Merula, con il noto consanguineo Antoniotto Fregoso, e persino con Ermolao Barbaro.
Questi ozi letterari furono ben presto sconvolti. Nel 1487, il doge Paolo Fregoso, alleato con il Moro, spinse il figlio Fregosino a impadronirsi, aiutato da truppe sforzesche, del feudo di Novi, punto nevralgico tra Genova e Milano. Scacciato, persa gran parte della sua biblioteca, il F. si rifugiò ad Antibes. La rivalsa parve vicina nell'agosto 1488, in occasione della congiura ordita da Adorno e Fieschi contro Paolo Fregoso, che aveva preso il titolo di governatore ducale per conto del Moro, dopo la riconquista fiorentina di Sarzana e la stipulazione di una pace con i Medici assai sfavorevole ai Genovesi. L'azione riuscì e il governatore fu costretto alla fuga con il rischio di cadere nelle mani del nipote che aveva spodestato. Ma poco dopo si vide quanto strumentale fosse stato l'appoggio chiesto al Fregoso. Il Moro infatti, approfittando dell'isolamento del nuovo governo, costrinse, sotto la pressione delle armi, Fieschi e Adorno a venire a patti, ottenne il dominio della città e ne affidò la reggenza ad Agostino Adorno. Paolo Fregoso, lautamente ricompensato, abbandonò la scena, mentre il F. fu brutalmente estromesso.
Ritiratosi a Frejus, conobbe un esilio ancora più duro. Privo di mezzi, dopo essere stato spogliato di Rivanazzano, egli tentò in un primo momento, nella primavera del 1489, di ottenere il permesso di tornare a Genova. Poi, vista preclusa ogni via per un ritorno, passò alla corte del re di Francia Carlo VIII, che nel 1492 gli offrì una pensione annua di 1.200 lire tornesi. Grazie a questa alta protezione poté tornare agli studi, componendo tra l'altro una raccolta di versi, i Ritmi, andati perduti.
Gli importanti eventi di quello stesso anno riportarono il F. all'attività politica. La discesa del re di Francia in Italia, rompendo il sistema di equilibrio degli Stati italiani - coinvolti ormai in lotte per il predominio di portata europea - vanificava le sue speranze di poter riacquistare il potere, ma non quelle di guadagnare una posizione eminente in patria. L'occasione gli fu offerta dalle mire su Genova di Carlo VIII, il quale, dopo la stipulazione dell'alleanza antifrancese dell'aprile 1495, intendeva strapparla al dominio sforzesco, per mantenere più facili contatti con il Regno di Napoli, acquistato poco prima. Ma il F. doveva essere di nuovo deluso: il re, infatti, aveva affidato l'impresa ai suoi peggiori nemici, Paolo Fregoso e Ibleto Fieschi, insieme con il card. Giuliano Della Rovere (il futuro Giulio II). Così, mentre Paolo (Paolo Battista) Fregoso s'impadroniva di Ventimiglia e i Francesi muovevano verso Genova da Rapallo e dalla Valle del Bisagno, il F. stazionava in Asti, con le sue truppe, in attesa di scendere nella Val Polcevera. Né riuscì a entrare in azione: alla fine di luglio 1495, una disperata reazione dei Genovesi costrinse gli assalitori a risalire l'Appennino e a congiungersi con il grosso francese, reduce dalla battaglia di Fornovo.
Al suo ritorno in Francia, Carlo VIII lasciava nella penisola un quadro politico-militare incerto, a causa dell'intervento spagnolo nel Regno di Napoli. Nondimeno, senza troppo valutare le difficoltà, nella primavera del 1496, il re mostrava di voler scendere di nuovo in Italia e di ritentare la conquista di Genova, per soccorrere più agevolmente i suoi eserciti di stanza nel Mezzogiorno. Il F., che tra aprile e maggio 1496 soggiornò a Lione, insieme con il card. Della Rovere, ne approfittò per sollecitare i preparativi militari necessari. Ma i nuovi progetti del re si scontrarono presto con l'opposizione della corte e con la stanchezza generale degli eserciti regi. Al F., spostatosi in giugno ad Asti, rimasto privo di sostanze, impossibilitato a finanziare egli stesso l'impresa, non restò che protestare per i ritardi. In questi mesi concitati, tuttavia, egli trovò il modo di far pubblicare a Milano un dialogo di argomento amoroso, l'Anteros, composto probabilmente nei primi mesi del 1495.
L'operazione militare contro Genova, cui il F. affidava le estreme speranze di rivincita, iniziò solo tra il dicembre 1496 e il gennaio 1497, dopo la tregua tra Francia e Spagna sui Pirenei. Il card. Della Rovere, il F. e il luogotenente generale G.G. Trivulzio, con un esercito faticosamente raccolto di 1.000 lancieri e 6.000 fanti, mossero da Asti verso Genova, dove si sperava di suscitare una ribellione antisforzesca. Un primo successo fu colto con la conquista di Novi Ligure, feudo dal cui dominio il F. era stato dichiarato poco prima decaduto. Poi, per rafforzare le posizioni, egli, insieme col Trivulzio, occupò centri vicini, mentre il cardinale Della Rovere, presa Ventimiglia, si avvicinò alla metà di gennaio a Savona. Quando il Trivulzio, addentratosi nel Ducato di Milano, s'impadronì di Bosco Marengo, luogo di grande importanza strategica presso Alessandria, la situazione parve volgere al meglio. Tuttavia, la reazione degli alleati italiani, dopo il primo smarrimento, fu decisa. Sia Savona sia Genova, infatti, si difesero energicamente, preparandosi addirittura allo scontro in campo aperto. Intanto giungevano in Alessandria i rinforzi inviati dal Senato veneziano. Le truppe guidate dal F. e dal cardinale Della Rovere, scoraggiate per il venir meno del previsto appoggio dei Fiorentini in Lunigiana e del duca Luigi d'Orléans (il futuro Luigi XII) nel Milanese, mal pagate e afflitte da problemi logistici, furono così costrette ad allontanarsi da Savona e ad abbandonare Ventimiglia, congiungendosi con gli eserciti del Trivulzio. Ma anche questi, alla metà di febbraio 1497, dopo alcune incursioni nel Ducato milanese, si ritirò ad Asti, lasciando guarnigioni nei centri più importanti.
L'insuccesso spinse il re di Francia, nel marzo seguente, ad accettare che la tregua con gli Spagnoli fosse estesa anche all'Italia. Al F. e al Trivulzio spettò nondimeno di compiere un'ultima scorreria, senza esiti di rilievo, contro Albenga e il Marchesato di Finale. Poco dopo le truppe milanesi e veneziane riguadagnarono tutti i territori rimasti ancora in mano francese, compresa Novi.
Le delusioni incontrate alla corte francese spinsero il F. di nuovo verso il Moro, con il quale, nel febbraio 1498, trovò un accordo che gli garantiva la restituzione del feudo di Novi e la concessione di una pensione annua. Ma il duca di Milano, che temeva i disegni di Luigi XII, succeduto in aprile a Carlo VIII, aveva agito solo per neutralizzare la sua ostilità e il F. non poté ottenere nulla di quanto promessogli. Per porre rimedio alle strettezze finanziarie, nell'estate del 1499, quando ripresero le guerre d'Italia, egli tentò di ottenere una condotta dal Senato veneziano, ma senza successo. Una seppur tardiva rivincita gli offrirono la rapida caduta del Moro, in agosto, e la sottomissione di Genova a Luigi XII, il 26 ott. 1499. La dominazione francese del Milanese gli permise, infine, nel 1500, di tornare in possesso di Novi. Attese così al compimento del suo De dictis factisque, che volle dedicare ad Antoniotto Fregoso, e nel 1503 si recò a Roma, probabilmente per salutare l'elezione a pontefice di Giuliano Della Rovere.
Morì a Roma all'inizio di agosto del 1504.
Il F. fu uomo colto. Si formò sui classici, sugli autori del Trecento (soprattutto Dante e Petrarca) e sugli umanisti del proprio secolo, con alcuni dei quali si tenne in contatto continuo. Rimase però in una posizione marginale, in parte per il suo impegno politico, in parte perché, non essendo interamente padrone del latino, gli veniva a mancare un requisito essenziale della figura dell'intellettuale nel XV secolo. Stese così in volgare le due opere maggiori, destinando solo il De dictis factisque alla traduzione latina. Nell'Anteros la scelta linguistica appariva peraltro funzionale al progetto di raggiungere un pubblico ampio di gentiluomini e cortigiani. Infatti, questo dialogo con il "maestro" P. Piatti, affrontando il tema delle sofferenze imposte dalla passione amorosa (di cui il F. aveva fatto esperienza corteggiando la nobildonna milanese Antonia Stampa), offriva un panorama completo delle più importanti teorie sull'amore. Condotta l'argomentazione con estese citazioni latine, volgari, esempi illustrativi e persino excursus dalle ambizioni "scientifiche", come quello sull'origine fisiologica della pulsione amorosa, il F. concludeva con la condanna del coinvolgimento carnale, sorretta da temi del repertorio antierotico classico e cristiano, nella celebrazione dell'unione coniugale.
Intenti pedagogici ancor più marcati, strenua ricerca della completezza, si trovano alla base del De dictis factisque. Seguendo infatti i dettami della storiografia classica, il F. raccolse una copiosa messe di exempla, tratti dall'antichità greca e romana, dagli storici umanisti, come G. Pontano e G. Simonetta, e persino dalle proprie esperienze personali, con lo scopo di offrire al lettore strumenti adeguati per riuscire in quello stesso agire politico nel quale egli stesso aveva fallito.
Opere: B.C. Fulgosi Anteros, Mediolani, L. Pachel, 1496; B. Fulgosi De dictis factisque memorabilibuscollectanea a Camillo Gilino latina facta, ibid., J. Ferrario, 1509; il manoscritto in volgare di quest'opera (Londra, British Library, Harl.Mss. 3878), contiene anche un Ad Petrum filium prologus, una Coronisapostrophe ad filium e una versione della dedica ad Antoniotto Fregoso, pubblicati da G.G. Musso. Discreta la fortuna: l'Anteros fu tradotto da Th. Sibillet in francese ed edito a Parigi nel 1581, con il titolo Contramours, mentre il De dictis factisque, considerato la naturale prosecuzione dell'opera di Valerio Massimo Factorum et dictorum memorabilium libri IX, conobbe diverse ristampe fuori d'Italia (a Parigi nel 1518 e nel 1587; a Basilea nel 1541; ad Anversa nel 1565, a Colonia nel 1604).
Fonti e Bibl.: Cronica gestorum in partibus Lombardiae…, a cura di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXII, 3, ad Ind.; A. Galli, Commentarii de rebus Genuensium, a cura di E. Pandiani, ibid., XXIII, 1, pp. XXII, 62, 75-78; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, ibid., XXIV, 8, pp. XVIII, 3-8, 51, 64; M. Sanuto, I diarii, I-III, Venezia 1879-80, ad Indices; G. Grasso, Docum. riguardanti la costituzione di una lega contro il Turco nel 1481, in Giornale ligustico, VI (1879), passim; A. Salvago, Cronaca di Genova…, a cura di C. Desimoni, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1879), pp. 423 ss.; Acta in Consilio secreto in Castello Portae Iovis Mediolani, a cura di A.R. Natale, Milano 1963-69, ad Ind.; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, ad Ind.; G.G. Musso, La cultura genovese tra il Quattro e il Cinquecento, in Miscell. di storia ligure, I (1958), pp. 130-139, 175-183; E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago-London 1981, ad Ind.; C. Gasparini, Appunti sulla vita di B. F., in Giornale stor. della letteratura ital., CLXI (1984), pp. 398-420; Id., L'"Anteros" di B. F., ibid., CLXII (1985), pp. 225-249.