GRITTI, Battista
Nacque a Venezia verso il 1405 da Omobono di Triadano, del ramo a S. Giovanni del Tempio nel sestiere di Castello, e da Giovanna Orsini di Ziliolo, figlia del ricco titolare di uno dei banchi nella piazza di Rialto (si deve forse anche all'apporto della dote della Orsini la cospicua proprietà immobiliare di cui, agli inizi del XV sec., risulta proprietario questo ramo dei Gritti).
Dedicò gran parte della vita alla mercatura, come era prassi normale per i Veneziani di allora, e antica tradizione domestica: i fratelli, i figli, i nipoti del G. percorsero le rotte del Levante e delle Fiandre; nel 1437 il fratello Benedetto fu titolare di una galea della "muda" di Alessandria e Beirut; è quindi probabile che lo stesso G. fosse in qualche misura associato all'impresa. Si spiega così il carattere sporadico della sua attività politica che non si tradusse in carriera, perché egli fu sempre attento ad accettare incarichi, o a ricoprire magistrature, direttamente connessi al mondo della mercatura: non risulta, per esempio, che si sia mai recato in Terraferma.
Nei registri del Segretario alle Voci il suo nome compare per la prima volta il 13 marzo 1446, quando il G. aveva più di quarant'anni; fu eletto, per dodici mesi, giudice del proprio, magistratura che si occupava di cause patrimoniali in ambito cittadino, gran parte delle quali riguardava, ovviamente, l'emporio di Rialto.
A questa breve incursione nella politica seguono anni di silenzio; il suo nome ricompare solo nel 1453, in un momento e in un luogo di eccezionale importanza per la storia del Mediterraneo: la caduta di Costantinopoli. Il G. si trovava colà perché la sua nave era stata costretta a riparare nel Corno d'Oro dal blocco dei litorali operato da Maometto II, e fu coinvolto nella difesa della città nella primavera del 1453. Non sappiamo con certezza quale ruolo abbia avuto; alcune fonti (N. Barbaro, Sabellico) gli attribuiscono la difesa della reggia delle Blacherne; altri (Fincati) lasciano intendere che operò nel porto; quel che è certo è che il G. si batté a fianco dei compatrioti e dei Bizantini fino alla fine. Le cronache coeve sono concordi nell'accusare di fiacchezza la squadra inviata da Venezia, il cui comandante, Giacomo Loredan, non volle o non seppe recare valido aiuto alla città assediata; nel contempo, le stesse fonti testimoniano il valore dimostrato dalla colonia veneziana di Costantinopoli.
Era con lui il nipote Luca (figlio di suo fratello Triadano), che riuscì a scappare con la sua galea quando la città cadde, il 29 maggio 1453, mentre il G. fu fatto prigioniero dai Turchi. Diversamente da molti compatrioti uccisi nel saccheggio (a cominciare dallo stesso bailo, Girolamo Minotto), egli ebbe salva la vita e gli fu concessa la libertà pagando una taglia.
In calce all'elenco dei sopravvissuti, scrive Niccolò Barbaro, testimone oculare degli avvenimenti: "Tuti questi vintinove nobeli, i qual fo prexoni in man del turco, tuti tornò a Veniexia, i qual tuti si ave taia, chi ducati doamilia, chi ducati mille e chi ducati otozento; in men de uno anno tuti si fo tornadi a Veniexia". Quest'ultima affermazione desta perplessità, poiché è improbabile che il G. sia rimpatriato, visto che un anno dopo egli era a Costantinopoli col titolo di vicebailo (e, come tale, il 15 maggio 1454 raccomandava alle autorità di Creta il nobile Michele Cantacuzeno). Il pronto ristabilimento dei buoni rapporti veneto-ottomani, dopo la catastrofe, erano stati sanciti dall'inviato del Senato presso Maometto II, Bartolomeo Marcello, che dopo la ratifica della pace era stato nominato bailo (16 ag. 1454); nel frattempo il G. aveva svolto funzioni di rappresentante degli interessi veneziani nel Bosforo, dato il prestigio di cui godeva e la vasta rete di traffici che a lui faceva capo (a questo proposito, va ricordato che anche il pronipote Andrea, futuro doge, trascorse gran parte della giovinezza a Costantinopoli, esercitandovi con profitto la mercatura).
Lo troviamo a Venezia nel 1456, quando sposò Elisabetta Bembo di Alvise di Lorenzo, da cui ebbe Francesco e Omobono. Il G. aveva più di cinquant'anni; era normale, allora, sposarsi tardi per un veneziano, ma la soglia del mezzo secolo appare alquanto singolare; né si deve pensare che questa scelta rappresentasse una svolta esistenziale, il desiderio di una vita tranquilla, di una carriera politica finalmente praticata nella sua città, dopo tanti rischi e fatiche. La permanenza in patria, infatti, fu di breve durata, giusto il tempo di sistemare la famiglia e gli affari; il 20 ott. 1468 il G. entrava consigliere a Candia, dove si fermò due anni (è probabile che la famiglia vi avesse degli interessi, perché nel 1472 suo fratello Benedetto divenne duca, cioè governatore, dell'isola). Dopo di che siamo di fronte a un nuovo intervallo oscuro nella sua vita, protrattosi fino al 1479: possiamo solo ipotizzare che si sia dedicato alla mercatura, forse dividendosi fra Venezia e le colonie marittime, nonostante lo stato di guerra con gli Ottomani, che sottese l'intero periodo. La pace, ingloriosa per la Repubblica, venne stipulata nel gennaio 1479, e il 16 aprile il G., che allora faceva parte del Senato, fu eletto bailo a Costantinopoli. Rifiutò; altri l'avevan fatto prima di lui, ma certo egli doveva tener presente che suo fratello Triadano era morto in armata cinque anni prima, combattendo proprio contro i Turchi. Tuttavia il 25 aprile, riconfermata l'elezione dal Senato, mutò opinione ("et mò li parse di acceptar, et andò": Sanuto).
Partì il 3 settembre, sulla galea di Melchiorre Trevisan; lo accompagnava il pittore Gentile Bellini, appositamente richiesto alla Signoria da Maometto II. L'udienza d'ingresso del G. ebbe luogo un mese dopo: è del 17 novembre una lettera del sultano al doge, con cui dichiarava di aver avuto dal bailo i 10.000 ducati d'oro previsti dal trattato di pace. I rapporti veneto-ottomani non erano mai stati migliori e, dopo tanti anni di guerra, i traffici conoscevano una promettente ripresa; a questa consolante realtà economica e sociale si contrapponevano però pericolose iniziative sul piano politico da parte del sultano, che si era assicurato il dominio delle isole Ionie spodestando Leonardo Tocco e ora guardava alla costa occidentale dell'Adriatico, alla Puglia. Ovviamente, nessuno Stato cristiano poteva restare indifferente di fronte a uno sbarco turco in Italia, eppure gli interessi veneziani in qualche modo coincidevano con quelli ottomani, a causa dei timori che destava nella Repubblica l'ambiziosa politica del re di Napoli, Ferdinando I. Tra 1479 e 1480 si susseguirono diverse ambascerie segrete tra Venezia e la Porta, ma quando si giunse alla stretta conclusiva, cioè all'esplicita richiesta di una comune alleanza antiaragonese, avanzata da Maometto II, la Cancelleria ducale formulò una risposta del tutto ambigua e sibillina. A Costantinopoli, però, il G. s'era lasciato sfuggire imprudenti aperture, che i Turchi mostrarono di intendere come incoraggiamenti nei confronti di uno sbarco a Otranto del pascià di Valona, Keduk Aḥmed: in fondo - sembra avesse argomentato il bailo - il sultano era nel suo pieno diritto se si fosse impadronito di luoghi già appartenuti all'Impero bizantino, sul cui trono ora egli sedeva. Naturalmente, il Senato redarguì il G. e ne sconfessò le parole, in quanto pronunciate a titolo personale e senza copertura ufficiale. L'effimera durata dell'invasione turca in Puglia (dall'11 ag. 1480 al 10 sett. 1481) e, soprattutto, la morte di Maometto II posero fine alle accuse che l'equivoca condotta veneziana aveva suscitato da parte dei principi cristiani. La scomparsa del sultano era stata annunciata dal G. al Senato il 3 maggio 1481, con espressione famosa, dal sapore di un liberatorio grido d'esultanza: "La grande aquila è morta"; dopo di che, il G. rimase a Costantinopoli sino al febbraio 1483, quando fu sostituito da Pietro Bembo, a riferire notizie, certamente gradite a Venezia, sulle lotte e i contrasti tra i figli di Maometto, Bāyazīd e Gem, con conseguente paralisi dell'espansionismo ottomano.
Rimpatriato, il G. fu tra i 41 elettori dei dogi Marco (17 nov. 1485) e Agostino Barbarigo (28 ag. 1486), e nel frattempo (14 giugno 1486) venne eletto provveditore al Sal. Era ottuagenario, eppure ricoprì la carica forse perché si trattava di una magistratura assai ricca, in contatto con il settore del commercio marittimo e anche con quello artistico: i provveditori al Sal, infatti, avevano competenza sull'architettura pubblica veneziana.
Fece poi ancora parte del Senato o della sua zonta; a quest'ultima carica fu eletto ancora una volta il 18 ott. 1492 per l'anno successivo, ma non portò a termine il mandato, come si evince dalla scritta "obiit" che accompagna a margine la registrazione dell'elezione. Morì dunque a Venezia nel 1493 e fu sepolto nel primo chiostro della chiesa di S. Francesco della Vigna, nel sestiere di Castello.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 169, 181, 184; Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, c. 13r; 5, cc. 35v, 42r; 6, cc. 80v, 88v, 109v; 9, c. 2r; 15, cc. 26r, 65v; N. Barbaro, Giornale dell'assedio di Costantinopoli, 1453, a cura di E. Cornet, Vienna 1856, pp. 17, 61 s.; M. Sanuto, Le vite dei dogi (1474-94), a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Padova 1989, pp. 146 s., 184, 186, 253, 274, 284; II, ibid. 2001, pp. 511, 528; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum ab Urbe condita, in Degl'istorici delle cose veneziane…, I, Venezia 1718, p. 700; L. Fincati, La presa di Costantinopoli (maggio 1453), in Archivio veneto, n.s., XXXII (1886), 1, p. 35; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 231; F. Fossati, Alcuni dubbi sul contegno di Venezia durante la ricuperazione d'Otranto (1480-81), in Nuovo Archivio veneto, n.s., VI (1906), pp. 8, 33; F. Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen-Âge, Paris 1959, p. 432; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 1967, pp. 402, 424, 444, 453; A. Olivieri, Capitale mercantile e committenza nella Venezia del Sansovino, in Critica storica, XV (1978), 4, p. 50; A. Pertusi, L'umanesimo greco dalla fine del secolo XIV agli inizi del secolo XVI, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, I, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1980, p. 243; M. Villa, Gentile e la politica del "sembiante" a Stambul, in Venezia e i Turchi, Milano 1985, p. 160; I "Documenti turchi" dell'Archivio di Stato di Venezia, a cura di M.P. Pedani Fabris, Roma 1994, p. 6.