MONTALDO, Battista
– Figlio naturale del doge Leonardo e fratellastro di Antonio e Raffaele, nacque a Genova, probabilmente intorno al 1375.
Con i fratelli prese parte attiva alle vicende politiche dell’ultimo decennio del Trecento e come loro ottenne dal duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, regolari sovvenzioni in denaro per favorire i suoi disegni di dominio sulla Liguria. All’interno della fazione che il fratello Antonio aveva creato negli anni del suo dogato (1392-94), il M. si accollò soprattutto la gestione degli affari cittadini, che divenne di sua esclusiva competenza dopo che, morto Antonio, il fratello Raffaele incentrò le proprie attenzioni sulla Corsica. Dal 1398, anno in cui questi assunse per la prima volta il governo dell’isola, il M. diresse gli interessi dei Montaldo a Genova, perseguendo una politica di ferma ostilità nei confronti di ogni ipotesi di governo paritetico tra guelfi e ghibellini, caldeggiato dai Francesi per favorire una pacificazione generale.
Il tentativo di imporre con la forza una simile ripartizione portò, nel gennaio 1400, a una devastante guerra civile. Il governatore fu costretto a fuggire a Savona e i popolari ghibellini, temporaneamente vincitori, affidarono il governo a Battista Boccanegra, senza peraltro rinnegare il rapporto di dipendenza dal re di Francia Carlo VI. Contro di lui scesero però in campo gli Adorno, i Montaldo, i Fregoso e i Guarco, cioè le quattro potenti fazioni «cappellazze», le quali lo obbligarono ad abbandonare il Palazzo comunale, scontrandosi subito dopo tra di loro in un continuo alternarsi di fragili alleanze. Per cercare di riportare la pace, il 26 marzo fu eletto un regio capitano nella persona di Battista De Franchi Luxardo con il favore dei Montaldo e dei Guarco, ma la sua autorità continuò comunque a essere contestata da ogni parte e la città ritrovò la pace solo con l’arrivo del nuovo governatore francese, il maresciallo Jean de la Maingre, detto Boucicault (31 ott. 1401). Sotto il suo ferreo governo, inaugurato da una serie di esecuzioni pubbliche, i principali colpevoli dei disordini furono arrestati, giustiziati o banditi, ma i Montaldo, che pure erano stati tra i protagonisti della guerra civile, riuscirono a sfuggire a ogni punizione, anche se dovettero rinunciare alla Corsica.
Il M. continuò comunque a essere tenuto in una certa considerazione, tanto che nel 1408 fu nominato capitano e vicario di Livorno, che l’anno prima Boucicault aveva venduto al Comune di Genova, dopo essersene impadronito a spese di Gabriele Visconti, figlio naturale di Gian Galeazzo. A Livorno il M. si trattenne per cinque anni, reggendone il governo con il pugno di ferro, minacciato com’era dalle continue trame fiorentine per venirne in possesso. Quando nel 1410 Genova si ribellò al duro regime di Boucicault e riconobbe per proprio signore Teodoro II di Monferrato, i Montaldo aderirono subito alla sua causa e il M. assunse il comando delle galee operanti nella Riviera di Levante contro i Fieschi, rimasti fedeli al re di Francia.
Ferito durante l’assedio di Portovenere, riprese in seguito il governo di Livorno che conservò durante la guerra scoppiata agli inizi del 1412 con i Fiorentini. La notevole esperienza maturata nel corso della sua permanenza in Toscana fu determinante nel farlo designare come unico ambasciatore genovese nelle trattative di pace con Firenze che condussero, il 27 apr. 1413, al trattato di Lucca.
Un mese prima, la cronica instabilità di Genova aveva portato alla cacciata del luogotenente di Teodoro II e con il consueto strascico di polemiche era stato nominato doge Giorgio Adorno, fratello di Antoniotto. I Montaldo inizialmente gli diedero il loro appoggio e il M., nel novembre di quell’anno, fu uno degli otto ambasciatori inviati dal doge a Lodi per incontrare Sigismondo, re dei Romani, e papa Giovanni XXIII. I buoni rapporti esistenti tra Adorno e Sigismondo, culminati nella concessione al primo del vicariato imperiale, suscitarono tuttavia sospetti e gelosie tra gli altri capi popolari, timorosi che questo fosse il primo passo verso la signoria.
Nel dicembre 1414, dopo che nell’estate era stata stroncata una prima sollevazione dei Guarco, fu scoperto un complotto ordito dal M. e da Blasco De Franchi per destituire Adorno, ma prima di essere arrestati, i due eccitarono una rivolta tra i loro partigiani, alla quale aderirono poi anche gli Spinola. Fu l’inizio della cosiddetta «guerra di mezzo» che devastò la città per mesi, ma che soprattutto scompaginò i già precari assetti fazionari tradizionali. Il M., che per qualche tempo fu l’unico vero rivale di Adorno, ebbe inizialmente dalla sua antiche casate ghibelline come i De Mari, i Vivaldi, i Grillo e gli Imperiale, e si assicurò l’appoggio dei Giustiniani, dei Guarco, dei Boccanegra e di molti artigiani sia guelfi sia ghibellini.
Riuscì anche per qualche tempo a controllare il centro della città ma non poté avere la meglio sul doge, al quale si era unito il potente clan dei Fregoso. La paralisi dei commerci, le distruzioni e le ruberie commesse dai contendenti spinsero alla fine gli artigiani, che vedevano del tutto distrutte le loro attività, a cercare un accordo tra le parti, e per un momento sembrò che potesse essere raggiunto, nominando reggenti il M. e Tommaso Fregoso. L’opposizione degli Adorno fece però fallire quasi sul nascere questa possibilità; la città ripiombò nella guerra civile e fu solo dopo molte trattative che si riuscì a convincere Giorgio Adorno a rinunciare al dogato, eleggendo infine, il 23 marzo 1415 un giureconsulto, Barnaba da Goano, fino allora tenutosi in disparte. Il nuovo doge rimase in carica solo pochi mesi, finché gli Adorno e i Fregoso non decisero di deporlo e di eleggere Tommaso Fregoso. Il M., rimasto a Genova dopo l’apparente pacificazione, fece appena in tempo a fuggire e a riparare a Portovenere, ancora tenuta dai suoi uomini. Rimasto tuttavia senza forze militari, sorpreso com’era stato dal repentino colpo di mano, il 6 settembre accettò di restituire Portovenere al doge, trasferendosi a Pisa. Passò in seguito a Milano, dove raggiunse il fratello Raffaele presso il duca Filippo Maria Visconti, ponendosi al suo servizio.
Dal 1417 egli fu continuamente in guerra contro i Fregoso e prese parte alle varie spedizioni contro Genova che il duca andò organizzando insieme con il marchese di Monferrato e con gli altri fuorusciti genovesi. Nel 1421, in particolare, il M. fece armare a Finale, insieme con il marchese Lazzarino del Carretto, due galee che comandò poi, insieme con altre aragonesi, nello scontro del 22 ottobre davanti a Porto Pisano contro la flotta genovese capitanata da Battista Fregoso, fratello del doge, che egli fece prigioniero. Con la resa di Genova al duca di Milano e l’insediamento della signoria viscontea, il M. fece parte della delegazione che il 4 marzo 1422 gli giurò fedeltà nel castello di Porta Giovia e in seguito fu da lui ricompensato per la fedeltà dimostrata negli anni precedenti, dapprima con la nomina a podestà di Parma (27 maggio 1423) e nel 1425 di Brescia.
Nel 1427 il M. è ancora ricordato come uno degli ufficiali di guerra del Comune di Genova, dopo di che se ne perdono le tracce. Non sono noti il luogo e la data della sua morte.
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