TORTI, Battista
TORTI (de Tortis), Battista. – Originario di Nicastro, ora Lamezia Terme, non è nota la data di nascita, né i nomi di alcun familiare se non quello del fratello, Silvestro, con il quale svolse l’attività di editore e di tipografo a Venezia a partire dal 1481. Le sue origini sono denunciate solo nella sua edizione dei Fasti ovidiani del 24 dicembre 1482 (Incunabula short title catalogue, da ora in poi ISTC, io00170000), in cui si legge «Baptista Tortius a Neocastro Venetiis imprimendam curavit».
Fu uno degli editori e tipografi dalla produzione più imponente nella Venezia tra Quattro e Cinquecento. A lui si devono, infatti, oltre 200 edizioni in 60 anni di carriera. Il fratello, invece, pur emergendo come suo socio e collaboratore in diversi documenti, non si sottoscrisse mai.
Non si conoscono notizie prima del suo arrivo a Venezia, città che dobbiamo immaginare abbia raggiunto piuttosto giovane, forse già alla fine degli anni Settanta del Quattrocento. La sua prima edizione certa è il Missale romanum, licenziato il 31 agosto 1481 (ISTC, im00690000). Gli si attribuisce però anche una rarissima stampa delle Epistole ed evangeli in volgare, datata Venezia 25 giugno 1481 (ISTC, ie00093000), ma non sottoscritta (esemplare unico in San Marino, California, Huntington Library). Sono comunque sette le sue edizioni (tra firmate e attribuite) uscite nel primo anno di attività.
Dopo gli esordi orientati alla produzione religiosa, Torti rivolse ben presto la propria attenzione ai testi classici, settore che avrebbe caratterizzato la sua attività per quasi tutti gli anni Ottanta del Quattrocento. Non è del tutto assente però il volgare, rappresentato da testi di carattere sia religioso (come il Fiore novello del 12 ottobre 1482, ISTC, if00171900), sia profano (come il Decameron dell’8 maggio 1484, ISTC, ib00727000). L’anno di svolta per Torti fu però il 1488, quando orientò la propria produzione quasi esclusivamente al settore dei testi giuridici, specie con glosse, di cui divenne un vero specialista.
La produzione di Torti fu consistente anche nel numero di copie impresse per ogni edizione. Per esempio, nelle Decretales cum glossa di Gregorio IX, sottoscritte il 10 ottobre 1496 (ISTC, ig00474000), Torti specificò, al verso della prima carta, che erano stati tirati ben 2300 esemplari, una cifra particolarmente elevata per l’epoca. Quanto sia attendibile questa dichiarazione non è chiaro, poiché nella ristampa delle medesime Decretales, sottoscritte da Torti il 9 aprile 1500 (ISTC, ig00478500), ricompare la medesima dicitura con lo stesso numero di esemplari tirati. In altri casi i numeri, pur mantenendosi su livelli considerevoli, sono più in linea con le tendenze della tipografia del Quattro e Cinquecento. È il caso del Digestum vetus giustinianeo, stampato da Torti il 31 ottobre 1494 (ISTC, ij00551000), in cui il tipografo dichiarò una tiratura di 1500 copie. Anche in questo caso, però, ristampando l’opera il 5 ottobre 1498 (ISTC, ij00553000), egli riprodusse la medesima dichiarazione.
Tirature così elevate dovevano prevedere una commercializzazione ad ampio raggio e infatti pare che le edizioni di Torti avessero largo smercio in tutta Europa, specie in Germania e in Spagna. Lo testimoniano, tra le altre cose, la provenienza tedesca di numerosi esemplari conservati oggi alla British Library e l’uso dell’espressione lectra de tortis come sinonimo di gotico in Spagna.
Alcune particolarità tipografiche, come per esempio l’impiego di maniculae a stampa e particolari allineamenti testuali, rendono immediatamente riconoscibili le pubblicazioni di Torti. In particolare, il tipografo adottò dai primi anni Novanta del Quattrocento l’uso di stampare in rosso un occhiello al recto della prima carta, con un titolo abbreviato e l’indicazione de tortis, a rivendicare immediatamente la titolarità dell’edizione. Talvolta era anche usata, sempre in rosso all’occhiello, la specifica cum privilegio, come deterrente per truffe o contraffazioni.
Torti dimostrò fin dagli esordi una certa capacità nello stabilire alleanze e contatti commerciali. Già nel citato Missale romanum del 1481 figurava la sottoscrizione «per Baptistam de Tortis et socios». Tra questi ultimi doveva esserci forse il libraio editore Francesco de Madiis, che collaborò con Torti per la stampa del De officiis di Cicerone del 12 ottobre 1481 (ISTC, ic00597000), delle Decretales di Gregorio IX del 7 settembre 1484 (ISTC, ig00458000) e in varie occasioni fino alla fine del secolo. L’editore doveva essere anche uno dei librai che provvedevano alla diffusione delle edizioni di Torti, come dimostra la vendita di una copia del Novellino di Masuccio Salernitano, stampato da Torti l’8 giugno 1484 (ISTC, im00345500), già pochi giorni dopo la pubblicazione dell’edizione.
Nel 1499 i fratelli Torti denunciarono per plagio alle autorità francesi il catalano Nicolas Benedict e il vercellese Giacomino Suigo, insieme ad altri tipografi lionesi non esplicitamente nominati. Si era scoperto, infatti, che già da alcuni anni a Lione venivano contraffatte alcune edizioni, con tanto di indebita riproduzione dei nomi degli editori veneziani e delle relative marche, al fine di smerciarle a un prezzo più basso.
Uno dei casi provati, per esempio, riguarda Angelo Gambiglioni, Tractatus de maleficiis, recante la sottoscrizione «Venetiis per Baptistam de Tortis Mccccxcvii die xxv novembris» (ISTC, ig00064800) e commercializzato insieme ad Alberto da Gandino, Opus in materia maleficiorum, che al colophon recita «Impressum per Magistrum Iacobinum Suigum de sancto Germano. Anno Domini M.ccccxcvij. die xj Decembris» (ISTC, ig00070500). Entrambe le edizioni, come ha dimostrato Dennis Rhodes, sono da attribuire a Suigo, che riproduceva due titoli del catalogo di Torti usciti nel 1494: il trattato di Gandino il 24 aprile (ISTC, ig00069000), quello di Gambiglioni il 22 maggio (ISTC, ig00063000).
Accortisi precocemente della truffa, i fratelli Torti, ancor prima di denunciare i colpevoli alle autorità francesi, si rivolsero a quelle veneziane il 2 marzo 1498, per chiedere un privilegio decennale per la stampa di alcune opere, che pare non siano poi andate sotto i torchi o siano state impresse prima o molto dopo la richiesta di privilegio: nel documento si parla, infatti, di «opere di Odofredo e Albrigo, Avicena cum Gentil, li Geminiani et la Praticha papiensis» (Fulin, 1882a, p. 131).
Di Odofredo da Bologna Torti pubblicò la Lectura super tribus libris Codicis solo l’11 maggio 1514 (Edit16, CNCE 76640, con il privilegio esibito al frontespizio); di Albricus non c’è invece traccia nel catalogo del veneziano; il Canon Medicinae di Avicenna con il commento di Gentile da Foligno era stato già pubblicato da Torti in cinque volumi tra 1491 e 1495 (ISTC, ia01427000), così come il trattato di Domenico da San Gimignano Super sexto Decretalium, stampato tra 1495 e 1496 (ISTC, id00313000 e id00314000), che però veniva riproposto nel 1502 (Edit16, CNCE 17586), senza rivendicazione di privilegio; infine anche la Practica moderna iudicialis di Giovanni Pietro Ferrari era stata sottoscritta da Torti il 7 ottobre 1495 (ISTC, if00116300).
Nel 1502 Torti fu in contatto anche con il libraio perugino Francesco Cartolari, che stava avviando una serie di rapporti con Venezia, per curare i quali avrebbe nominato, nel 1505, il fratello Gaspare e il tipografo Giorgio Arrivabene suoi procuratori in loco.
Nel 1507 i fratelli Torti figurarono anche in un consorzio di editori senza nome o marchio propri, che vide la partecipazione di alcuni tra i protagonisti della produzione e del commercio del libro a Venezia nel primo Cinquecento: Lucantonio Giunti il Vecchio, Amedeo Scoto, Giorgio Arrivabene e Antonio Moretto.
Secondo il contratto, la società sarebbe dovuta durare cinque anni, con un programma orientato esclusivamente ai testi giuridici. Vi si stabilivano tempi e modi della realizzazione delle edizioni, divieto di concorrenza, prezzi di vendita. La società non avrebbe avuto una propria manifestazione esplicita, benché diversi titoli presentino al frontespizio una cornice silografica che sembra rimandare ai Giunta, ma la sola sottoscrizione, con relativa marca, di Torti. Sulla base di quanto ci è pervenuto, bisogna ipotizzare che la società sia durata più a lungo del previsto, almeno fino ai primi anni Trenta del Cinquecento, nel tentativo di esaurire un programma estremamente ambizioso.
Rientrano forse nell’ambito di questa impresa anche gli ultimi privilegi richiesti da Torti. Il 20 gennaio 1514 egli, ancora insieme al fratello, si rivolse alle autorità veneziane per ottenere un privilegio di dieci anni per la pubblicazione delle opere di Alessandro Tartagni da Imola e di altri, regolarmente uscite fino al 1522. Di nuovo il 19 novembre 1516 i fratelli Torti chiesero un nuovo privilegio decennale per pubblicare Texti canonici et Bartoli, anche questi stampati tra 1516 e 1520.
Negli anni Trenta del Cinquecento, la produzione di Torti si diradò sensibilmente, assumendo carattere occasionale (circa un’edizione l’anno), anche se continuò a riproporre titoli, autori e temi che avevano fatto la sua fortuna.
L’ultima edizione sottoscritta da Torti è lo Speculum aureum et lumen advocatorum di Roberto Maranta, del 1540 (Edit16, CNCE 61298, esemplare unico a Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi). Si tratta di un’impresa finanziata da Pomponio Maranta, figlio dell’autore, che consegnava il manoscritto paterno al libraio editore veneziano, ma di origini milanesi, Sigismondo Maccasola. Dell’operazione, in cui non viene nominato Torti, incaricato della stampa solo in un secondo momento, si conservano il contratto (che prevedeva una tiratura di 1000 copie), datato 10 novembre 1539, e il contenzioso, proseguito fino al 1543, che vide coinvolto il bidello-libraio padovano Girolamo Giberti, il quale denunciava la mancata consegna di alcune copie. Torti doveva dunque essere ancora vivo nel 1540, per morire, probabilmente molto anziano, di lì a poco.
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