BAUDI DI VESME, Carlo
Nacque a Cuneo il 23 luglio 1805 dal nobile Michele Benedetto e da Ottavia Maria Caissotti di Chiusano. Trasferitasi a Torino nel 1822 la famiglia, per gli impegni a corte del padre, vi frequentò le scuole dei gesuiti, dove gli furono insegnate le lingue classiche secondo gli schemi tradizionali; ma il B., fin dai primi anni, cominciò ad ampliare la sua istruzione imparando presto quasi tutte le lingue europee e padroneggiando particolarmente il tedesco. Conseguita la laurea in giurisprudenza (10 giugno 1830), proseguì gli studi entrando come volontario in uno degli uffici generali dello Stato destinati ad avviare i giovani laureati alla magistratura o alla carriera amministrativa. Presto però i suoi interessi storici, filologici ed eruditi prevalsero e, stimolati anche dallo sviluppo che gli studi storici andavano prendendo in Piemonte, fra il '30 e il '40, lo spinsero a partecipare, assieme al giovane studioso Spirito Fossati, al concorso che l'Accademia delle Scienze di Torino, su proposta di Cesare Balbo, nel 1833 aveva bandito per uno studio sulle Vicende della proprietà in Italia dalla caduta dell'impero romano fino allo stabilimentodei feudi.I due studiosi, nel novembre del 1835, ottenevano il premio, con un lusinghiero giudizio per la loro monografia, che veniva pubblicata (Torino 1836).
L'opera esamina i diversi istituti che avevano caratterizzato la proprietà terriera dall'impero di Augusto fino a Corrado II, ma, pur mostrando un'ottima informazione delle fonti e della bibliografia e una notevole ricchezza di congetture, per la maggior parte valide, sostenute con giustezza anche in discussione col Savigny (per es., a proposito dell'etimologia di arimanno: ehre-mann, uomod'onore, secondo il Savigny; heer-mann, uomodell'esercito, secondo il B., cfr. p. 139), finisce spesso col ridursi a una esposizione manualistica di storia generale in cui il feudo appare istituto esclusivamente franco, anche se sembra al B. aver avuto anticipazioni o meglio paralleli nei benefici ecclesiastici del periodo longobardo (pp. 221 s.); tale istituto avrebbe avuto poi il suo "stabilimento universale" nella prima metà del secolo XI (cfr. III, capp. VIII e IX). Un particolare interesse rivestono tuttavia le pagine dedicate ai rapporti fra Longobardi e popolazioni romane, con le quali il B. e il Fossati si inserivano direttamente nella polemica suscitata dal Discorso del Manzoni fin dal 1822. La loro posizione era quasi sempre avvedutamente opposta a quella del Manzoni e più vicina al Machiavelli, al Muratori e al Romagnosi, sia nel prospettare il periodo del regno longobardo come periodo di benessere per l'Italia in confronto ai periodi precedenti (p. 174), sia nell'asserire, con ricchezza di documentazione (pp. 139 ss.), l'esistenza di Romani liberi che già sotto Autari avrebbero goduto della medesima condizione dei Longobardi (pp. 190 s.). Ma su questo particolare, sostenuto per essersi attenuto alla lezione che, di Paolo Diacono offre il codice ambrosiano, ritornò più tardi, modificandolo nel senso voluto dal Troya, dopo aver confrontato gli altri codici allora conosciuti della stessa fonte (cfr. Dell'ediz. delle leggi longobardiche pubblicate per cura della R. Deputaz. di storia patria. Ed osservazioni e schiarimenti sull'articolo del sig. Giovanni Merkel dell'Arch. stor. di Firenze, estr. dall'Antologia italiana, Torino 1847, p. 73).
Il successo di questa ricerca spinse il B. a partecipare a un nuovo concorso bandito dall'Académie des Inscriptions et Belles Lettres sul tema Dei tributi delle Gallie sotto la dominazione dei Franchi sino alla morte di Ludovico il Pio; anche per questo lavoro, scritto in latino, ricevette il premio, mentre contemporaneamente veniva ammesso fra i soci dell'Accademia delle Scienze di Torino.
Del lavoro il B. pubblicò solo il I libro (Dei tributi delle Gallie negli ultimi tempi dell'impero romano, Torino 1839; cfr. anche Il Subalpino, IV [1839], pp. 205-247), che diligentemente esamina, a partire dall'età di Cesare, le condizioni fiscali della Gallia. Lo studioso francese Edoardo Laboulay fece poi oggetto di uno studio particolare il lavoro, che pubblicò tradotto in francese nel 1840 sulla Revue de droit et iurisprudence epiù tardi, nel 1861, nella Revue historique de droit français et étranger.Il giudizio del Laboulay era del tutto favorevole e poneva in evidenza come il B. si fosse posto sul cammino tracciato dal Savigny, portando negli studi un ulteriore contributo rispetto a questo (cfr. F. Sclopis, Notice sur la vie..., p. 8).
Il B. pose mano intanto col Fossati, nel 1838, a tradurre l'opera dello storico tedesco Heinrich Leo, Geschichte der italienischen Staaten; dava alle stampe nello stesso anno la traduzione del Savigny (Imposizioni dirette sotto gli imperatori romani, trad. di C. B. di V., Torino 1838). Ancora nel quadro dei suoi interessi per il diritto romano, unito questa volta al vivo gusto per la paleografia, per cui aveva particolare competenza, rientra la preziosa ma parziale pubblicazione del codice teodosiano (Corpus iuris romani... Pars prima. Ius anteiustinianeum. Tomus secundus. Codex Theodosianus, Augustae Taurinorum 1839). Comprendeva per intero i primi tre libri e ventidue dei titoli del quarto libro del codice, e assumeva tanto più importanza per essere il B. riuscito a decifrare e a riportare nella sua edizione 23 nuove costituzioni trovate in un palinsesto della biblioteca universitaria di Torino e fino allora ignorate. Quasi contemporaneamente pubblicò pure certe sue Coniecturae criticae in difficiliora tria loca e fragmentis Codicis theodosiani a Clossio repertis (in Mem. d. Accad. d. Scienze di Torino, s. 2, II [1840], pp. 61-91)e qualche tempo dopo Frammenti di orazioni panegiriche di Magno Aurelio Cassiodoro, Suratese (ibid., s. 2, VIII[1846], pp. 169-212).
Pure immerso nei suoi studi, il B. non si disinteressò ai problemi politici e amministrativi del tempo. Già dal 1836pare avesse possedimenti in Sardegna, ma certamente nel '41acquistò nell'isola un terreno demaniale, "Cucurru de Forru", di circa 517 ettari e 17 aree, di cui si prefiggeva di fare una tenuta agricola modello, spinto anche dall'intenzione di essere di esempio ai coltivatori sardi e dalla speranza di aiutare una zona depressa. Nella domanda di acquisto al demanio il B. propose anche le culture a suo criterio più indicate, pensando di compiere degli esperimenti simili a quelli che si conducevano all'estero (cfr. G. Ghivezzani, pp. 4 s.).Il terreno si rivelò inadatto, ma il B. non desistette dal proposito: ancora il 18 marzo 1848acquistava un vasto oliveto nel territorio di Iglesias. I frequenti viaggi in Sardegna frattanto gli avevano permesso una conoscenza approfondita dei problemi isolani, per cui, dovendosi procedere fra il '47 e il '48a riforme, fu invitato da Carlo Alberto a scrivere una memoria: pubblicava così le Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna (Torino 1848).
La memoria, scritta fra l'ottobre e il novembre del '47, benché presto superata in parte dalle riforme concesse nell'isola, rimane di vivo interesse per l'esattezza del quadro, per i problemi visti e le soluzioni proposte. Il B. con sistematicità esamina i diversi aspetti economici e politico-amministrativi che facevano dell'isola una zona arretrata, invocandomisure idonee (fra cui la costituzione di un ministero speciale, p. 140). Pur rendendosi conto della scarsa disposizione del territorio allo sfruttamento agricolo, propone colture che gli sembrano uniche convenienti, quali il tabacco, il grano e la barbabietola da zucchero (pp. 31-34), e il rimboschimento. Ma ritiene sia essenziale l'istruzione tecnica dei contadini: sarebbe dunque opportuno trasferirli in altre zone per aggiornarli (p. 36). Lo Stato, del resto, data la miseria degli agricoltori, deve intervenire con finanziamenti (p. 36). Il bestiame poi deve essere tolto dallo stato selvaggio ed erratico e sfruttato convenientemente. La vera fonte di ricchezza per la Sardegna però rimane l'industria mineraria anch'essa finora mal sfruttata (cap. VI). Può giovare senza dubbio l'abolizione delle gravose decime ecclesiastiche (pp. 46 s.) e una più equa distribuzione delle imposte dirette, che almeno per alcuni anni dovrebberoessere eliminate specialmente per gli agricoltori mentre i commercianti tuttora esenti potrebbero pagarle sui dazi. Propone inoltre l'unificazione della legislazione con gli stati di terraferma, come fu fatto, lo snellimento della burocrazia, la costituzione di Cagliari a porto franco per lo sviluppo commerciale l'ordinamento in forma rigorosa dell'istruzione dal livello elementare a quello universitario: mentre vastamente diffuse ritiene che debbano essere le scuole inferiori, per il livello superiore crede sarebbe bastata la sola università di Sassari tenuta dallo Stato.
In attesa che il saggio fosse pronto, il B. aveva pubblicato le sue proposte su La Concordia, ilquotidiano di L. Valerio, cui dava la sua collaborazione nei primi mesi del '48. Suquel giornale interveniva anche per difendere il diritto dello Stato al controllo sulla stampa ecclesiastica (I [1848], n. 1); per affrontare questioni di interesse più vasto in un articolo dal titolo Della guardia civica e dell'esercito in Piemonte (ibid., n. 7), in cui richiedeva un rafforzamento dell'esercito piuttosto che l'istituzione della guardia civica, strategicamente inutile e strumento di "anarchia e tirannide"; per farsi sostenitore, dopo la concessione dello statuto, di richieste dell'opinione pubblica, soprattutto per l'estensione dell'amnistia agli elementi più estremisti, quali Mazzini, che restando colpiti dalla legge ponevano in evidenza la debolezza dello Stato; riguardo alla necessità che i ministri costituzionali si dichiarassero responsabili davanti al parlamento; e perché si provvedesse a una legge speciale per l'emancipazíone degli ebrei (ibid., n. 62).
La collaborazione a La Concordia non durò a lungo, non potendo più il B., col passare dei mesi, aderire all'organo del Valerio, ormai decisamente democratico. Del resto era stato chiamato da Vincenzo Ricci a svolgere le mansioni di "primo ufficiale degli interni per gli affari di polizia" nel primo ministero costituzionale (12 apr. 1848). Fu eletto poi deputato per la prima, la seconda e la quarta legislatura del parlamento subalpino fino a che, il 2 nov. 1850, venne chiamato al Senato per i suoi meriti di studioso.
Dopo l'armistizio Salasco, e il prevalere in Italia e in Piemonte delle correnti più rivoluzionarie, il B. si era schierato tra i moderati del gruppo del Risorgimento, e in parlamento sottoscriveva la adesione al governo Perrone-Pinelli, sostenendo la necessità dell'azione mediatrice anglo-francese. Non tardò d'altra parte a ritornare al giornalismo, dirigendo il quotidiano La Nazione, che egli stesso, insieme con Carlo Promis, aveva fondato a Torino.
Nella sua breve vita il giornale si propose di condurre un'azione moderatrice nei riguardi del governo, ritenendo il B. sterile l'opposizione sistematica in un momento di tanta gravità. E chiarendo nel programma la linea di condotta si mostrava preoccupato soprattutto del raggiungimento della libertà e dell'indipendenza italiana, che sarebbero solo le premesse del "miglioramento e del perfezionamento umano il quale si accoglie nella dignità morale dell'uomo", che egli ricordava essere il vero scopo delle istituzioni politiche; lontano dal pensare all'unità nazionale, auspicava un regno dell'alta Italia. Nello stesso, programma, in fatto di politica economicosociale, sosteneva l'equa spartizione delle ricchezze pur non professandosi democratico, termine equivoco, ma "popolare" (Programma, 4 dic. 1848).Il B., di volta in volta, attraverso il giornale affrontò poi i principali problemi in discussione. Più volte ritornò su quello della guerra, modificando le proprie opinioni in relazione agli avvenimenti; pur ritenendo insostenibile la situazione creatasi con l'armistizio, giudicava il paese lontano dalla preparazione che avrebbe potuto portarlo alla vittoria e riteneva necessario l'aiuto militare del Regno di Napoli e della Toscana e quello diplomatico franco-inglese (n. 1, 2 genn.; n. 7, 9 genn.; n. 21, 25 genn. 1849); ma, denunciato l'armistizio, accettò la guerra come una necessità per superare un danno maggiore (n. 63, 15 marzo). Nei confronti delle repubbliche democratiche egli assumeva un netto atteggiamento di opposizione, giudicandole illegittime perché costituite senza il consenso del popolo e del principe (n. 39, 15febbraio e n. 47, 24 febbraio), mentre d'altra parte, avvicinandosi sempre più al neo-guelfismo, si mostrava fiducioso in Pio IX e sosteneva come inalienabile il potere temporale dei papi (n. 39, 15febbraio); la sua opposizione al Mazzini fu aperta. Ricche di particolare competenza risultano le sue osservazioni sui problemi tecnici e amministrativi dello Stato: collegò la diffusione della ricchezza alla libertà e alla sicurezza e attribuì allo Stato il compito di proteggere l'industria, l'agricoltura e il commercio (cfr. n. 57, 8 marzo 1849).Con la disfatta di Novara e la nuova situazione creatasi all'interno il giornale perdeva la sua funzione e cessava di uscire.
Nuove attività prendevano il B., oltre quella politica e quella di studio. Circa un anno dopo (luglio 1850), cedendo in cambio di azioni un suo fondo ("Canonica") presso Iglesias, entrò a far parte della società di capitali liguri e piemontesi per lo sfruttamento, ottenuto in concessione trentennale, di una antichissima miniera di piombo argentifero situata a Monteponi.
Il B., che aveva già dimostrato grande interesse per le cose sarde, con entusiasmo assunse il nuovo compito di industriale minerario e già nel 1852entrò a far parte di una commissione nominata dai soci, che provvedesse all'ispezione dei lavori e suggerisse i provvedimenti più adatti, facendo difetto la direzione. Nel 1855, dopo mal riuscite imprese e perdite di capitale, il B. ritornò in Sardegna insieme con il socio C. Margosio, costituendo una commissione direttiva in cui egli stesso ebbe gran parte, e riuscendo, nel periodo gennaio '56-giugno '58, a presentare ai soci un utile lordo di 816.030lire, notevole rispetto al capitale sociale di 600.000 lire. Avendo affidata la direzione all'intraprendente ingegner Adolfo Pellegrini, il B. nel '62 assunse la presidenza rimasta vacante; da questo momento la Società di Monteponi cominciò ad ampliarsi, grazie al suo coraggioso appoggio ad opere indubbiamente nuove nella tecnica mineraria di quegli anni. Si ingrandirono gli scavi, si sperimentarono nuove lavorazioni del materiale, si scoprì la calamina in grandissima quantità ('67), si costruì, per ideazione stessa del B., una ferrovia privata per il trasporto e l'imbarco a Porto Vesme del materiale minerario ('71); i piùpotenti mezzi tecnici vennero usati contro le acque nelle gallerie e, nonostante i costosi lavori, la società nel '75portò il suo capitale a 4.800.000 lire. Gli ultimi anni furono spesi dal B. per cercare di ottenere dallo Stato, avvicinandosi il termine della cessazione contrattuale, la vendita della miniera, mediante l'innovazione della legislazione mineraria in favore della proprietà privata.
Egli non aveva tralasciato tuttavia gli antichi studi. Dal tempo della pubblicazione della sua opera giovanile sulla proprietà, rimasto insoddisfatto delle soluzioni da più parte proposte sulla questione longobarda, si era affaticato per curare un'edizione delle leggi e di alcuni documenti longobardi. La regia Deputazione di storia patria di Torino, di cui dal 1836 faceva parte (nel '52 ne era eletto segretario e nel '74 presidente), gli aveva affidato la cura, per la collezione dei Monumenta Historiae Patriae, degli Edicta, che dopo quindici anni di studio videro la luce nel 1855 (Edicta regum Langobardorum edita ad fidem optimorum codicum opera et studio Caroli Baudi a Vesme ex curatoribus Historiae patriae promovendis, Augustae Taurinorum 1855).
Prescindendo dalle precedenti edizioni del Muratori e del Canciani, sulla scorta di almeno 24fra codici manoscritti ed edizioni notevoli, il B. ricostruiva con avvedutezza il testo degli editti, aggiungendo undici appendici di documenti dirette a chiarire alcuni punti della storia longobarda: fra queste di particolare interesse quella curata da C. Promis, in cui si riferisce della mercede dei maestri comacini nell'alta Italia.
Non tralasciò tuttavia di interessarsi di storia recente e fin dal '50 iniziò a scrivere una Storia politica d'Italia dal 1796 al 1814. Dal manoscritto rimasto inedito, quantunque portato a termine in tre libri, il B. pubblicò un saggio dal sottotitolo Istruzioni date al conte Balbo mandato ambasciatore di Sardegna a Parigi (Torino 1953), in cui si riassumeva con particolare larghezza, traendola dai documenti ufficiali, la linea politica imposta a Prospero Balbo nei confronti della rivoluzione. Pure intorno al '50 si precisarono certi suoi interessi linguistici che lo portarono a curare la pubblicazione del Dialogo di San Gregorio volgarizzato dal Cavalca (Firenze 1854) e più tardi (dal '61 fu chiamato a far parte della Commissione per la cura dei testi di lingua inediti o rari per l'Emilia) I primi quattro libri del volgarizzamento della terza deca di Tito Livio attribuito a Gio. Boccaccio, e Del Reggimento e Costumi di donna di messere Fr. Barberino, secondo la lezione dell'antico testoa penna barberiniano (ambedue con data Bologna 1875). Particolare impegno egli pose nell'edizione dell'ultimo testo, dove per la prima volta affrontava il problema critico pubblicandone un esemplare ritenuto ancora valido.
Uno sforzo di teorizzare le sue opinioni, che non si elevano per altro nel metodo da termini empirici, ormai antiquati, compiva accingendosi a scrivere un lavoro sulla lingua italiana, che da quanto risulta dall'unico saggio pubblicato a Torino nel 1874 (La lingua italiana e il volgare toscano. Ricerche storiche e filologiche)avrebbe dovuto dividersi in due parti, la prima storica, la seconda filologica. Per intanto sosteneva la derivazione del volgare dal latino rustico e di questo ultimo dal latino arcaico. I suoi interessi linguistici erano d'altra parte alimentati dalla famosa questione delle carte d'Arborea, di cui egli prese sin dall'inizio a difendere l'autenticità (cfr. Rapporto della giunta accademica intorno alla pergamena sarda, contenente un ritmo storico del fine del sec.VII, in Mem. d. Accad. d. scienze di Torino, s. 2, XV [18531, pp. 305-314), basandosi peraltro, più che sull'esame storico e filologico, su quello paleografico non esattamente determinante. Rimase convinto dell'esistenza di un volgare letterario che da Firenze si sarebbe trasferito in Sardegna nel sec. XII, e della evoluta civiltà di quell'isola in confronto al resto d'Europa durante il Medioevo, anche quando gli accademici delle Scienze di Berlino, fra cui il Mommsen, gli dimostravano il contrario (cfr. Relazione sui manoscritti d'Arborea pubblicati negli Atti della R. Accad. delle Scienze di Berlino [genn. 1870]. Osservazioni intorno alla relazione sui manoscritti ecc... Intorno all'esame critico delle carte d'Arborea di Girolamo Vitelli, Torino 1870).
Il B. morì a Torino il 4 marzo 1877. Lasciava in via di pubblicazione il Codice diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna, che uscì postumo nello stesso anno (Torino 1877).
Il codice, comprendente lo statuto di Iglesias negli ultimi anni della dominazione pisana e nei primi di quella aragonese, ritrovato dal B. nel 1865fra le carte dell'Archivio comunale della città sarda, rivestiva particolare importanza per essere l'unico documento autentico salvato dall'incendio che aveva distrutto l'archivio di Iglesias nel 1354, per illustrare il modo con cui Pisa reggeva i propri domini d'oltre mare, ed infine per comprendere lo statuto particolare regolante l'industria mineraria del luogo nel Medioevo. Il B. già in precedenza aveva tratto dal codice un'interessante memoria (cfr. Dell'industria delle miniere nel territorio di Villa di Chiesa in Sardegna nei primi tempi della dominazione aragonese, in Mem. d. R. Accad. d. scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 2, XXVI [1871], pp. 225-463), volta ad illustrare questa parte del codice, ma nell'opera postuma, aggiornandola ed unendola con un'accurata storia della Sardegna, la premetteva alla pubblicazione del codice e di tutti i documenti del periodo pisano e di quelli riguardanti l'industria mineraria, argomenti altrettanto inesplorati fino al sec. XVII.
Bibl.: V. Promis, Il conte C. B. di Vesme, in Arch. stor. lombardo, IV(1877), pp. 141-146; G. Flecchia, C. B. di Vesme, in Riv. di filologia e istruzione classica, V (1877), gennaio-aprile (estr.); G. Ghivezzani, Il conte C. B. di Vesme e la Sardegna, in Corriere di Sardegna, nn. 7374, 1877 (estr.); F. Sclopis, Notizie sulla vita e degli scritti del conte C. B. di Vesme, Torino 1877; Id., Notice sur la vie et les travaux du comte C. B. de Vesme, in Nouvelle revue histor. de droit franç. et étranger, Paris 1878, estr.; E. Ricotti, C. B. di Vesme, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, III, Torino 1879, pp. 51-76; A. Manno, L'opera cinquantenaria della R. Deputaz. di storia patria di Torino, Torino 1884, pp. 150-153; M. Ricci, C. B. di Vesme, in Ritratti e profili politici e letterari con una raccolta di iscrizioni edite ed tnedite, Firenze 1888, pp. 69-112; T. Sarti, Il Parlamento subalpino, Terni 1890, pp. 97 s.; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906. Per quanto riguarda l'attività svolta dal B. in seno alla società di Monteponi cfr. Società di Monteponi. Centenario 1850-1950, Torino s. d. (ma 1952).