BĀWĪT
T Monastero copto le cui rovine si estendono sul limite del deserto occidentale, circa 30 km a S della città di el-Ashmounein, l'antica Hermoupolis Magna (v. vol. iv, s. v. hermopolis). Si giunse a conoscenza del luogo nel 1898 tramite ritrovamenti fortunosi durante il lavoro dei sebakhin (ricercatori di terra fertile nei cumuli di detriti antichi). Lo stesso anno all'Istituto Francese del Cairo fu data la relativa concessione di scavo.
Estesi, ma poco sistematici e per nulla coordinati scavi furono eseguiti durante quattro campagne: la prima dal novembre 1901 al giugno 1902 (J. Clédat, E. Chassinat, Ch. Palanque); la seconda dal gennaio al maggio 1903 (Clédat, Palanque); la terza nell'inverno 1903 (Clédat); la quarta dal gennaio al marzo 1913 (I. Maspéro). I lavori furono sommariamente pubblicati in un certo numero di rapporti.
Le iscrizioni trovate nelle rovine ci dicono che il monastero, oltre che con il nome di B., era soprattutto conosciuto come il monastero di Apa Apollo, dal nome del suo fondatore. Molto sta ad indicare che costui sia da identificare con l'anacoreta ᾿Απολλῶ fondatore di un monastero, la cui vita ed attività sono descritte nell'ottavo capitolo dell'anonima Historia Monachorum in Aegypto. In tal caso il monastero dovrebbe essere stato fondato negli anni 385-390 circa. Gli scavi hanno messo in luce che B. era un doppio monastero: per religiosi e religiose. La relazione della Historia Monachorum ci permette, tuttavia, di concludere che il convento delle religiose non risale al tempo di Apollo. È impossibile pronunciarsi con qualche certezza sull'epoca in cui si aggiunse il monastero femminile, ma l'archeologia e la storia dell'arte indicano che tale trasformazione non si produsse che molto tempo dopo l'epoca di Apa Apollo. Dopo un declino di parecchi secoli, con molta probabilità il monastero fu disertato ed abbandonato alla sabbia, non molto dopo la metà del XII secolo.
Il monachismo di Apa Apollo s'ispira all'ideale anacoretico insegnato da Antonio, ma con degli adattamenti ricollegantisi al cenobitismo pacomiano. Nella sua disposizione architettonica il monastero si presenta come una laura, formata da centinaia di celle isolate, dislocate sul terreno intorno ad un nucleo centrale di edifici e di costruzioni, come chiese e refettorio, destinati ad uso liturgico comune. È da considerare influsso di origine pacomiana l'esistenza probabile di mura circondanti l'insieme delle costruzioni. Al tempo della visita dell'autore della Hist. Monachorum, l'inverno 394-395, il monastero avrebbe racchiuso non meno di cinquecento monaci. Il campo delle rovine è vastissimo, più di 700 m nelle due direzioni principali.
Gli scavi misero in luce un numero considerevole di strutture minori, soprattutto di celle, una quarantina delle quali decorate con affreschi, e due chiese (Chiesa Sud e Chiesa Nord) anch'esse affrescate in cui si trovarono centinaia di pezzi scolpiti in pietra e legno. Numerosi furono i rinvenimenti isolati, fra cui spicca l'icona in legno dipinto nel Museo del Louvre raffigurante il Cristo con accanto l'Apa Menas, del VII secolo. Le celle tipiche consistono, al pianterreno, di una cappella a vòlta a botte e, al piano superiore, dell'abitazione del monaco. Questo tipo di cella si ricollega ad una forma tradizionale di tomba egiziana, perché, secondo lo spirito tipicamente antoniano, la cella del monaco era considerata il luogo della sua mortificazione e resurrezione spirituale. La costruzione di queste tombe-celle sembra essersi mantenuta immutata attraverso i secoli, salvo che, dopo il VI sec., esse tendono a concentrarsi insieme per formare unità architettoniche più grandi.
Le due chiese sono basiliche a tre navate, di forma chiusa, rigorosamente parallelepipeda, tipicamente egiziana, senza absidi sporgenti e con tetti piani. Separato dal resto della chiesa da pareti trasversali, il presbiterio si presenta come un transetto in embrione a tre nicchie orientali, preannunciante il presbiterio tipico delle chiese copte più tarde. Materiale di costruzione: calcare per le colonne e i capitelli, mattoni crudi per le pareti. La Chiesa Sud era esternamente, ed in parte internamente, rivestita di lastre calcaree. Le due chiese sono parallele, separate solamente da un atrio comune con una fontana, echeggianti, perciò, le chiese doppie, spesso trovate nelle sedi episcopali. Sulla base dei capitelli la datazione di questo complesso si aggirerebbe intorno alla metà del VI secolo. Il numero rilevante di pezzi non finiti è segno evidente di una gran fretta di terminare la costruzione. Per il resto, la scultura architettonica di B. indica la cooperazione di artigiani copti, richiamati da molti luoghi vicini e lontani. Una piccola parte del materiale scolpito riflette il naturalismo di ispirazione antica, che fiorì nella Bisanzio del VI sec.; parecchi pezzi in pietra e legno, a figure ed ornamentazione vegetale, sono infatti abbastanza somiglianti agli avorî della Cattedra di Massimiano a Ravenna. La maggior parte della produzione, però, è una variante copta della forma tradizionale, stilizzata ed antinaturalistica, della scultura decorativa bizantina e cristiano-orientale. Questo genere di scultura fiorì dal IV al VII sec. nella valle del Nilo, fino a Sohag ed oltre; nel VI sec. il suo centro è piuttosto da ricercarsi a N, intorno a Memfi ed alla sua grande fortezza, chiamata Babilone.
Come accennato, la scultura bawittiana del VI sec. comprende non solo opere in pietra, ma anche in legno. Il gruppo più importante di scultura lignea risale però all'800 circa, allorché la Chiesa Nord fu riparata e parzialmente ricostruita, forse in seguito alle distruzioni mussulmane, frequenti nell'VIII e IX secolo. Questa scultura ci dà una visione più esatta dell'arte contemporanea in Egitto e completa l'immagine della prima arte araba, finora basata principalmente su materiale siro-palestinese. Stilisticamente questa scultura copto-araba è varia quanto l'arte copto-bizantina del VI secolo. Accanto a pezzi di stile tradizionale, tanto simile alla scultura di epoca giustinianea da potersene difficilmente distinguere, ci sono pezzi che si riallacciano alla ornamentazione delle stele copte dell'VIII secolo. Ancora altri ritrovamenti scultorei presentano elementi più spiccatamente arabi secondo uno stile egiziano-abbassideo, i cui presupposti sono da ricercare in parte nell'ornamentazione tardo-copta testè ricordata, in parte nell'arte arabo-ommeyyadea.
La pittura parietale di B. costituisce serie di documenti, che si estende dalla metà circa del V fino al XII sec. inoltrato. I dipinti più antichi non presentano figure e constano di incrostazioni dipinte con aggiunte di croci, pavoni ed altri motivi simbolici (Cappella xix, Sala 6). Si tratta di tradizione puramente locale sviluppatasi dall'arte provinciale greco-romana in Egitto. Solo dopo l'anno 500 circa l'iconografia ecclesiastica a figure penetra nella pittura parietale del monastero (Cappella xxxii). Le fonti di questo nuovo indirizzo dell'arte monastica della Tebaide sono probabilmente Alessandria e le chiese episcopali della valle del Nilo. Ben presto, però, intorno alla metà del VI sec., questa tradizione di pittura copta viene spezzata da un'influenza dominatrice di pittura bizantina (Chiesa Nord), che porta con sé nuovi motivi decorativi e una nuova iconografia. Dopo il periodo giustinianeo, e specialmente dopo la conquista araba, sono invece in primo luogo Siria-Palestina ed Armenia a fornire impulsi freschi di stile e di iconografia alla pittura di B. (coro della Chiesa Sud).
Una serie di figure dipinte sulle colonne della Chiesa Nord rappresenta l'opera più recente a Bāwīt. Essa sembra essere stata eseguita dallo stesso pittore armeno che nel 1124 era attivo nel cosiddetto Monastero Bianco a Sohag, a 150 km circa a 5 di Bāwīt. In quel tempo la maggior parte del grande monastero di Apa Apollo era già invasa dal deserto. Di lì a poco la sabbia coprī per sempre il teatro di settecentocinquanta anni di vita monastica e di svolgimento artistico.
Bibl.: J. Clédat, Le monastère et la nécropole de Baouî, in Mémoires publiés par les membres de l'Institut français d'archéologie orientale du Caire (= MIFAO), XII, i, 2, 1904, 1906; E. Chassinat, Fouilles à Baouît, ibid., XIII, 1911; J. Clédat, Le monastère et la nécropole de Baouît, ibid., XXXIX, 1916; J. Maspéro - E. Drioton, Fouilles exécutées à Baouît, ibid., LIX, 1, 2, 1931, 1943; Ch. Palanque, Rapport sur les recherches effectués è Baouît in 1903, in Bulletin de l'Institut français d'archéologie orientale, V, 1906, pp. 1-21; Rapporti di Clédat, Maspéro e G. Schlumberger nei Comptes rendus des séances de l'Academie des Inscriptions et Belles-Lettres, 1902, pp. 95-96, 525-546; ibid., 1904, pp. 517-526; ibid., 1913, pp. 287-301; ibid., 1919, pp. 243-248; J. Clédat, Baouît, in Dict. Arch. Chrét., II, i, 1910, coll. 203-251; W. E. Crum, Der hl. Apollo und das Kloster von Bawit, in Zeitschrift für ägyptische Sprache und Altertumskunde, XL, 1903, pp. 60-62; J. Strzygowski, Die Auffindung von Bawit und der iranische Einschlag in der Klosterkunst Aegyptens, in MIFAO, LXVII, 1940, pp. 67-81; A. Grabar, Martyrium. Recherches sur le culte des reliques et l'art chrétien antique, I, II, Parigi 1946, vedi indice, Baouît; M. Krause-K. Wessel, in Reallexikon zur byzantinischen Kunst, I, 1964, cc. 568-583, s. v.; H. Torp, Some Aspects of Early Coptic Monastic Architecture, in Byzantion, XXV-XXVI-XXVII, 1955-56-57, pp. 513-538; id., Murs d'enceinte des monastères coptes primitifs et couvents-forteresses, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, 76, 1964, pp. 173-200; id., La date de la fondation du monastère d'Apa Apollô de Baouît et de son abandon, ibid., 77, 1965, pp. 153-177; id., Two Sixth-century Coptic Stone Reliefs with Old Testament Scenes, Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia (Inst. Rom. Norv.), II, 1965, pp. 105-119; id., Byzance et la sculpture copte du VIe siècle à Baouît et Sakkara, in Synthronon (Scritti in onore di A. Grabar), Parigi 1968, pp. 11-27; Historia Monachorum in Aegypto, ed. A.-J. Festugière (Subsidia Hagiographica, 34), Bruxelles 1961, pp. 46-71, traduzione; id., Les moines d'Orient, IV, i, Parigi 1964, pp. 46-63.