BEATITUDINE
. In modo generale s'intende con questo nome il godimento dell'uomo nel possesso dei beni necessarî alla vita. V'è nella natura umana un desiderio incoercibile e innato della felicità; ma nessun bene limitato l'appaga pienamente: di qui il bisogno, avvertito anche dai filosofi, di cercare la felicità nel possesso di Dio, non solo razionalmente conosciuto ed amato, ma intuitivamente posseduto ("beatifica visione").
La dottrina cattolica insegna che la felicità perfetta consiste soltanto nella beatifica visione di Dio. Alla fine della vita presente, l'anima che fu elevata all'ordine soprannaturale della grazia e non commise peccato (come i fanciulli battezzati e morti prima dell'uso della ragione), o l'espiò pienamente in questo mondo, passa immediatamente allo stato di gloria nella visione dell'essere divino. Questa beatitudine trascende le forze naturali dell'uomo, ed è perciò donazione gratuita di Dio; ma è al tempo stesso conquista di virtù come coronamento di vita cristiana. Il "lume di gloria" è necessario come un rinvigorimento ed un'elevazione delle anime (Clemente V, in Denzinger, Enchiridion, n. 475) perché possano vedere e godere dell'essenza divina, visione intuitiva et etiam faciali, nulla mediante creatura in ratione obiecti visi se habente, sed divina essentia immediate se nude, clare et aperte eis ostendente. In questa visione, le anime eadem divina essentia perfruuntur, e perciò sono vere beatae. (Benedetto XII, in Denzinger, Enchirid., n. 530).
Dalla visione di Dio fluisce l'amore beatifico, secondo l'espressione teologica e poetica di Dante (Parad., XXVIII, 105-111):
E dèi saper che tutti hanno diletto
Quanto la sua veduta si profonda
Nel Vero in che si queta ogn'intelletto.
Quinci si può veder come si fonda
L'esser beato nell'atto che vede,
Non in quel ch'ama, che poscia seconda.
Questo insegnamento risulta dalla Sacra Scrittura, specialmente dal Nuovo Testamento, dal magistero della chiesa, dall'elaborazione teologica dei padri e dei dottori. Le questioni sollevate da Giovanni XXII prepararono la via alle definizioni di Benedetto XII e del concilio fiorentino (Denzinger, Enchirid., nn. 530, 693),
Beatitudini si chiamano anche le apostrofi, con cui si apre, con la parola "beati" (μαςκάριοι) il Discorso della montagna in Matteo, V, 3-10, e in Luca, VI, 20-23: otto e in terza plurale, in Matteo; quattro, in seconda plurale e seguite dai quattro "guai", in Luca.
Bibl.: Le Bachelet, Benoît XII, in Dict. de théol. cathol.; Janvier, La Béatitude, Parigi 1903; A. Sartori, La Visione beatifica, Torino 1926.