BEATO di Liébana, Santo
Monaco ed esegeta, vissuto nella seconda metà dell'8° secolo. Si possiedono scarse informazioni sulla vita di B. e le notizie che è possibile trarre dalla sua opera letteraria si rivelano più affidabili rispetto alla Vita compilata nel sec. 17° (PL, XCVI, coll. 887-894). Nato probabilmente intorno alla metà del sec. 8°, B. visse nel monastero di San Martín de Turieno (od. Santo Toribio) nella valle di Liébana (Asturie) e risulta ancora in vita dopo la data di morte presunta del 19 febbraio 798. B. era noto ai suoi contemporanei principalmente come difensore dell'ortodossia in Spagna contro l'eresia adozionista di Elipando vescovo di Toledo, sede primaziale e antica capitale della penisola ispanica: l'Adversus Elipandum (PL, XCVI, coll. 893-1030) gli valse una lettera di plauso da parte di Alcuino, che guidava in ambito carolingio la campagna antiadozionista.La fama di B. è legata oggi ai Commentari all'Apocalisse, composti nel 776 se si presta fede a un riferimento cronologico presente nel testo. In particolare le copie riccamente illustrate di quest'opera hanno reso il nome di B. ricorrente nella storia della cultura medievale.Non è conservata alcuna copia dei Commentari all'Apocalisse di età contemporanea all'autore; la più antica è un frammento con un'illustrazione miniata conservato a Silos (Santo Domingo, Bibl., fragm. 4), risalente alla fine del 9° secolo. I Commentari sono pervenuti in trentaquattro manoscritti medievali, inclusi quelli frammentari, eseguiti tra il sec. 9° e il 13°; almeno ventisei di questi sono illustrati, con una disposizione che seguiva, nel formato e nell'iconografia, quella presunta dell'originale di B., con l'eccezione della copia ora a Berlino del sec. 12° (Staatsbibl., Theol. lat. fol. 561).Dopo una breve prefazione e una più lunga summa dicendorum, il testo completo dell'Apocalisse era suddiviso in sessantotto paragrafi (storiae) che raggruppavano ciascuno fino a diciotto versi; ogni paragrafo era seguito dall'explanatio, una serie più o meno lunga di brani che interpretavano il testo in senso allegorico e anagogico. Nei Commentari B. non figura mai come autore; l'opera è in effetti sostanzialmente una compilazione di importanti passi di Girolamo, Agostino, Gregorio Magno, Ambrogio, Fulgenzio, Ireneo, Ticonio, Apringio, Isidoro di Siviglia, Gregorio di Elvira e Bacchiario. Tra questi esegeti, B. attinse maggiormente all'opera del nordafricano Ticonio (m. nel 390 ca.), il cui Commento all'Apocalisse gli fornì anche un modello per la divisione dell'opera in dodici libri (Romero-Pose, 1988).Poiché molti dei codici contenenti i Commentari di B. presentano illustrazioni simili malgrado le varianti testuali, e poiché le immagini dell'Apocalisse risultano legate al testo in un insieme uniforme piuttosto che semplicemente aggiunte in un sistema di frontespizi, non si è mai dubitato che il prototipo di tutte le copie spagnole (l'originale dei Commentari o una copia eseguita nella cerchia di B.) fosse illustrato. Questo ciclo di scene di soggetto apocalittico è indipendente da ogni altra tradizione figurativa ed è molto probabile che sia basato sulle illustrazioni della copia del Commento di Ticonio usata da B. come fonte per il testo. Per la verità le illustrazioni ai Commentari di B. non sono direttamente riferibili all'esegesi ticoniana, ma ognuna di esse è una versione pittorica più o meno letterale della storia che precede e i testi delle storiae a loro volta appaiono in una variante della versione della Vetus Latina collegata all'Africa settentrionale, indubbiamente la stessa utilizzata nel Commento di Ticonio. L'uso persistente di questo testo ancora nel sec. 8° - quando la Vulgata era da lungo tempo diffusa anche nella penisola iberica - testimonia in modo inconfutabile la dipendenza dell'opera di B. da un modello africano.L'impostazione e l'iconografia apocalittica basate su Ticonio sono dunque alla base di tutta la successiva produzione di codici miniati. Altre immagini non apocalittiche - introdotte da B. o presenti in edizioni successive - integrano talvolta le sessantotto scene, portando il numero canonico delle illustrazioni delle copie più tarde a centootto; di queste, sette si riferiscono a testi inclusi da B. nei Commentari. La rappresentazione del mondo, inserita dopo la descrizione della missione degli apostoli, potrebbe essere stata tratta da una copia delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia; dato che il testo stesso fa menzione di un'illustrazione, sembra certo che l'originale dei Commentari possedesse una rappresentazione geografica simile alla copia di Burgo de Osma (Catedral, Bibl., 1, cc. 34v-35r) miniata da Martinus nel 1086, estesa su due pagine ed esemplata su un prototipo tardoantico. La palma compare in un passo dei Moralia di Gregorio Magno come parte di un'immagine metaforica; l'uso allegorico dell'arca di Noè in Gregorio di Elvira ispirò un'elaborata rappresentazione dell'arca; infine una citazione della parabola della volpe e del gallo è all'origine dell'illustrazione raffigurante questi due animali.Dal punto di vista testuale (Beati in Apocalypsin, 1930; Neuss, 1931) come da quello delle miniature (Klein, 1976) le copie dei Commentari possono essere divise in due gruppi ed è nei manoscritti del secondo gruppo che si ha la presenza più massiccia di illustrazioni supplementari. Esse iniziano, dopo un frontespizio con la croce o l'alfa, con i ritratti degli evangelisti in cattedra, accompagnati da figure stanti, alternati a pagine con coppie di angeli ostendenti vangeli: si tratta di un'iconografia che aveva la funzione di estendere l'autorevolezza del testo evangelico a quello apocalittico. Queste otto pagine erano seguite di norma da altre quattordici, che riportavano la genealogia di Cristo in una catena di medaglioni con seicento nomi ca.; un'ulteriore ed estesa parte figurata faceva seguito al Commento al libro di Daniele di Girolamo, aggiunto ai Commentari di B., con undici scene riguardanti passi di Daniele distribuite in miniature inframmezzate al testo. Sia i ritratti degli evangelisti sia le scene del libro di Daniele trovano confronti nella tradizione delle bibbie miniate spagnole, che avrebbero fornito all'opera di B. gli schemi iconografici. Neuss (1931) sostiene che gli evangelisti, le scene del libro di Daniele, l'arca, la volpe e il gallo erano già presenti nell'originale di B., anche se queste illustrazioni sono costantemente assenti in uno dei due gruppi di codici. Klein (1976) ha però notato la coincidenza delle copie in cui sono assenti tali rappresentazioni con gli esemplari delle versioni più antiche, dimostrando così che il patrimonio iconografico dei Commentari si era andato arricchendo nel tempo. Questa osservazione concorda con le conclusioni di Sanders (in Beati in Apocalypsin, 1930), il quale, studiando l'opera da un punto di vista testuale, ha ipotizzato che i Commentari siano il risultato di numerose varianti successive.La convinzione di Neuss dell'esistenza di un archetipo già definito è basata sull'ipotesi che il testimone più vicino all'originale di B. sia da identificarsi con il codice di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878) - miniato nel 1070 ca. da Stefano per l'abate Gregorio - che combina una versione testuale vicina al prototipo con un apparato iconografico di tipo ampliato. L'originale, dunque, non solo doveva già comprendere serie di immagini supplementari - come gli evangelisti o le illustrazioni del Commento al libro di Daniele - ma anche riquadrature che incorniciavano scene apocalittiche, poste contro fondi a fasce policrome. Alcune delle miniature dovevano essere a piena pagina, altre invece composte, secondo uno schema inedito, da una scena che occupava due pagine affrontate entro un'unica cornice. In realtà, a giudicare dagli esemplari contenenti le versioni più antiche, come i due codici madrileni (Bibl. Nac., Vit. 14-1, scritto nel regno di León nel 950 ca.; Real Acad. Historia, 33, scritto e parzialmente miniato nell'ultimo quarto del sec. 10° in Castiglia e terminato a San Millán de la Cogolla ai primi del sec. 12°), le copie più antiche dovevano presentare miniature prive di cornice, campite su un fondo costituito dalla pergamena stessa.Sebbene la composizione dei Commentari all'Apocalisse sia stata talvolta messa in relazione con la campagna antiadozionista di B., in realtà essa dovette precedere tale controversia. Tuttavia la ricerca delle precise motivazioni dell'opera è praticamente impossibile, dal momento che l'intero testo del commento è sostanzialmente mutuato da altri autori; anche il passo finale della prefazione, in cui B. dedica l'opera al collega Eterio di Osma come lettura edificante per i confratelli ("Haec ergo sancte pater Etheri, te petente, ob aedificationem studii fratrum tibi dicavi"), è ricavato, con le sole eccezioni della parola fratrum e la sostituzione del nome Eterio, dalla frase con cui termina la presentazione di Isidoro del suo Contra Iudaeos alla sorella Florentina. Inoltre, l'utilizzazione dei Commentari di B. nella liturgia del periodo pasquale, quando l'Apocalisse sostituiva la lettura veterotestamentaria, era resa impossibile dal modo in cui il testo apocalittico era suddiviso, nonché dall'adozione del testo della Vetus Latina. Si può pertanto solo ipotizzare un impiego in ambito monastico dell'opera di B. per la lectio divina. B. scrisse probabilmente i Commentari spinto da motivazioni escatologiche, poiché secondo calcoli diffusi nella tradizione popolare relativi alla cronologia universale, la sesta età, l'ultima età terrena, doveva concludersi nell'anno 800, data che avrebbe avuto come testimone la generazione di Beato. Per le generazioni seguenti invece un generico fine devozionale e il fatto stesso di tramandare un'opera monastica del genere dovettero ispirare la realizzazione delle numerose copie successive.Molto probabilmente nel sec. 10° venne introdotta nei manoscritti di B. una riforma decorativa che condusse all'esecuzione di codici di straordinaria ricchezza pittorica, quali il B. di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878). Il più antico manoscritto conservato che presenta le miniature incorniciate contro fondi a fasce e i nuovi soggetti iconografici è quello scritto e miniato da Maius per il monastero di San Miguel de Escalada (New York, Pierp. Morgan Lib., M.644) intorno al 940; questa copia, tuttavia, non può essere considerata l'archetipo del commento 'riformato', anche perché non risulta essere il prototipo neanche della propria sottofamiglia di manoscritti. Resta comunque difficile anticipare il probabile archetipo molto tempo prima dell'epoca di Maius e ritenerlo proveniente da un'area diversa da quella di origine del miniatore, il regno di León: infatti Maius fu sepolto nel chiostro di San Salvador de Tábara, località il cui scriptorium appare menzionato nel 970 nella straordinaria immagine miniata di una torre nella copia dei Commentari iniziata dallo stesso artista e completata dal suo allievo Emeterius (Madrid, Arch. Histórico Nac., 1097B, c. 167v). Cinque anni più tardi Emeterius completò, con l'aiuto di una donna (forse una monaca) chiamata Ende, un commento riccamente miniato ancora in buono stato di conservazione (Gerona, Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7). L'attività di Maius coincide cronologicamente con quella di Florentius, che diresse lo scriptorium del monastero di Valeranica, a S di Burgos nella contea di Castiglia. L'opera di Florentius è da porre in relazione con bibbie le cui miniature mostrano paralleli con quelle del Commento al libro di Daniele contenuto nei Commentari di Beato. La riforma decorativa dell'opera di B. dovette dunque essere attuata con la collaborazione di entrambi i suddetti miniatori. I manoscritti carolingi costituirono un'altra delle fonti della riforma iconografica. La presenza nella penisola iberica di codici miniati provenienti da Tours è attestata dal nuovo stile delle iniziali, riscontrabile in codici come il B. Morgan (New York, Pierp. Morgan Lib., M.644) e nei frontespizi con temi iconografici caratteristici della scuola di Tours, quali la Croce con strumenti della passione e la Maestà presenti nel B. di Gerona (Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7). Il prestito più evidente può considerarsi, a ogni modo, il fondo a bande, in seguito considerato segno distintivo della scuola spagnola, ma che era già precedentemente comparso nelle illustrazioni delle bibbie carolinge; tale tipo di fondo dipinto sarebbe stato inoltre impensabile senza miniature incorniciate; tanto queste quanto i fondi a bande dovettero essere introdotti intorno al 940 in un commento eseguito nel León, forse a opera dello stesso Maius.Si è soliti applicare il termine mozarabo alle copie dei Commentari risalenti al sec. 10°, associandole alla cultura arabizzante dei cristiani che vivevano nei territori controllati dai musulmani. Nessun manoscritto superstite dei Commentari, comunque, è stato prodotto in Andalusia, né sembra che alcuno di quelli esistenti sia opera di un miniatore formatosi in quell'ambito culturale. A parte la citazione di dettagli architettonici, come gli archi a ferro di cavallo e i motivi pseudocufici ad alfiz, elementi presenti entrambi, peraltro, anche nell'architettura sacra del sec. 10° nella Spagna settentrionale cristiana, è difficile precisare l'apporto della cultura islamica alle miniature presenti nelle copie dei Commentari. La brillante policromia costituisce l'elemento più vicino alla c.d. scuola mozarabica, ma non è affatto chiaro se tale caratteristica sia dovuta a un'influenza islamica, dal momento che le conoscenze che si hanno dell'arte islamica spagnola non consentono di verificare se una simile policromia le fosse o meno peculiare. D'altra parte anche la Bibbia di Cava dei Tirreni del sec. 9° (Bibl. dell'abbazia, 1), proveniente dalla zona della Spagna non occupata dagli Arabi, colpisce soprattutto per l'intensità cromatica della sua ornamentazione. Se resta quindi improbabile che l'arte islamica abbia influenzato significativamente il carattere formale delle illustrazioni dei Commentari, nel campo iconografico, invece, e più particolarmente nelle scene di glorificazione e in quelle comprendenti personaggi e simboli celesti, sono presenti elementi tratti dal vocabolario islamico. Così l'Adorazione dell'Agnello (New York, Pierp. Morgan Lib., M.644, c. 87r) presenta musicanti di un tipo comune ad avori musulmani andalusi.Buona parte degli esempi di utilizzazione in ambito cristiano di motivi propri dell'iconografia di corte islamica, come gli animali predatori, è contenuta comunque nel codice del 975 (Gerona, Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7). Questo manoscritto venne copiato nello stesso monastero leonese di Tábara dove erano stati eseguiti nel 970 il commento ora a Madrid (Arch. Histórico Nac., 1097B) e probabilmente il B. Morgan (New York, Pierp. Morgan Lib., M.644), nessuno dei quali mostra però un così deciso gusto per temi ornamentali islamici. Nelle copie dei Commentari di età romanica alcuni cambiamenti stilistici portano alla scomparsa degli elementi islamici, benché nell'architettura e nella scultura europea il gusto esotizzante dell'impiego di temi di tale origine andasse diffondendosi progressivamente.Un'ultima fioritura della tradizione dei Commentari di B. illustrati si ebbe in area castigliana, in particolare intorno a Burgos. Molte di queste copie più tarde sono da mettere in relazione con le fondazioni cistercensi, conseguenza pressoché inevitabile dell'ascendente dell'Ordine sul monachesimo spagnolo dell'epoca. Talvolta queste opere, pur mostrando motivi iconografici tipici del tempo all'interno di temi tradizionali come il Giudizio universale del manoscritto di Parigi (BN, nouv. acq. lat. 2290, c. 160r), riflettono una tradizione iconografica che rimase marcatamente conservatrice fino al suo esaurirsi.Altri esemplari illustrati sono: il codice miniato da Ovecus nel regno di León intorno al 950 (Valladolid, Bibl. Univ., 433); quello di Madrid (Bibl. Nac., Vit. 14-2), scritto nel 1047 da Facundus per i reali Ferdinando I e Sancia e che contiene tavole genealogiche (cc. 1-5) provenienti da un'opera di B. o da una Bibbia della seconda metà del sec. 10°; quello di Seu d'Urgell (Mus. Diocesà, 501), copiato nell'ultimo quarto del sec. 10°; quello dell'Escorial (Bibl., & II. 5), scritto intorno all'anno Mille a San Millán de la Cogolla; la copia acquarellata seicentesca (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 1079, cc. 6-12) di sette pagine di un commento scritto intorno al 1150 da Sancius per l'abate Pantio di San Andrés de Fanlo in Aragona; il codice di Torino (Bibl. Naz., I. II. 1), copiato forse dal manoscritto di Gerona (Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7); il codice scritto a Santo Domingo de Silos nel 1091 da Munnio e Dominico e miniato da Petrus nel 1109 (Londra, BL, Add. Ms 11695). Appartengono al sec. 12° il codice scritto forse nel regno di León (Roma, Bibl. dell'Accad. Naz. dei Lincei e Corsiniana, 40. E. 6); il frammento conservato a León (Arch. Histórico Prov., Perg., Astorga 1), costituito da due carte; il codice proveniente dalla regione di Burgos e copiato nella seconda metà del secolo (Manchester, John Rylands Lib., 8); quello copiato nel 1180 ca., probabilmente a San Pedro de Cardeña, e oggi smembrato in quattro parti (Madrid, Mus. Arqueológico Nac., 2; già Parigi, Coll. Marquet de Vasselot; Madrid, Bibl. de la Fund. Zabálburu; Gerona, Mus. d'Art, 47); il codice di Lisbona (Arq. Nac. Torre do Tombo) copiato da Egeas nel 1189; quello copiato in Navarra alla fine del secolo (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1366) e il manoscritto del 1220 proveniente dalla zona di Burgos conservato a New York (Pierp. Morgan Lib., M. 429). Alla prima metà del sec. 13° appartiene invece un frammento costituito da due carte copiate nella Spagna centrosettentrionale e inviato in Messico nel 1559 (Città del Messico, Arch. General de la Nación, 4852).
Bibl.:
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Edd. in facsimile. - Sancti Beati a Liébana in Apocalypsin Codex Gerundensis. El Apocalipsis de Gerona. Totius codicis similitudinem prelo expressa, a cura di J. Marqués Casanovas, C.E. Dubler, W. Neuss, 2 voll., Olten-Lausanne 1962; Beati in Apocalipsin libri duodecim. Codex Gerundensis A.D. 975, a cura di J. Camon Aznar, T. Martin Martinez, J. Marqués Casanovas, 2 voll., Madrid 1975; Beato de Saint-Sever: Ms. lat. 8878 de la Bibliothèque Nationale de Paris, Madrid 1984.
Letteratura critica. - K. Miller, Mappaemundi. Die ältesten Weltkarten, I, Die Weltkarte des Beatus (776 n. Chr.), Stuttgart 1895; W. Neuss, Die Apokalypse des hl. Johannes in der altspanischen und altchristlichen Bibel-Illustration (Spanische Forschungen der Görres Gesellschaft, s. II, 2-3), 2 voll., Münster 1931; O. K. Werckmeister, Pain and Death in the Beatus of Saint-Sever, SM, s.III, 14, 1973, pp. 565-626; J. Fontaine, L'art préroman hispanique (La nuit des temps, 38, 47), 2 voll., La Pierre-qui-Vire 1973-1977; P.K. Klein, Der ältere Beatus-Kodex Vitr. 14-1 der Biblioteca Nacional zu Madrid. Studien zur Beatus-Illustration und der spanischen Buchmalerei des 10. Jahrhunderts (Studien zur Kunstgeschichte, 8), 2 voll., Hildesheim-New York 1976; "Actas del Simposio para el estudio de los códices del 'Comentario al Apocalipsis' de Beato de Liébana, Madrid 1976", 3 voll., Madrid 1978-1980; P.K. Klein, Les cycles de l'Apocalypse du haut moyen âge (IXe-XIIIe s.), in L'Apocalypse de Jean. Traditions exégétiques et iconographiques, IIIe-XIIIe siècles, "Actes du Colloque de la Fondation Hardt, Genève 1976", Genève 1979, pp. 135-186; M. Mentré, La peinture mozarabe, Paris 1984; Los Beatos, Europalia 85 España, cat. (Bruxelles 1985), Madrid 1985; Saint-Sever. Millénaire de l'abbaye, "Colloque International, Saint-Sever 1985", a cura di J. Cabanot, Mont-de-Marsan 1986; P.K. Klein, La fonction et la 'popularité' des Beatus, ou Umberto Eco et les risques d'un dilettantisme historique, in Etudes Roussillonnaises. Mélanges Pierre Ponsich, Perpignan 1987, pp. 313-327; E. Romero-Pose, La importancia de los 'Comentarios de Beato' in la historia de la literatura cristiana, Compostellanum 33, 1988, pp. 53-91.J. Williams