Eugenio III, beato
Quasi nulla si sa della sua vita prima che egli, il 15 febbraio 1145, salisse al soglio pontificio. La storiografia pontificia ufficiale del Medioevo riferisce soltanto che prima dell'elezione si chiamava Bernardo ed era stato abate del monastero romano dei SS. Anastasio e Vincenzo "ad Aquas salvias in Trium Fontium". Non si conoscono né la data di nascita né le tappe della sua carriera, che gli storici hanno tentato di ricostruire ricorrendo spesso a speculazioni e teorie insostenibili. I documenti permettono soltanto di stabilire con una certa sicurezza - ammesso che si possa effettivamente identificare il Bernardo dei documenti con il futuro papa - che nel 1115 era monaco e chierico e nel 1128 priore del monastero camaldolese di S. Zeno a Pisa e che poi, al tempo dell'arcivescovo Uberto (1132-1137), ricoprì, almeno dal 1135 al 1137, l'ufficio di "vicedominus" nella stessa città, per poi diventare verso la metà del 1141, forse in connessione con il soggiorno di Bernardo di Chiaravalle in Italia, abate del monastero dei SS. Anastasio e Vincenzo a Roma, restaurato e affidato da papa Innocenzo II ai Cisterciensi. Secondo lo storico pisano cinquecentesco Raffaele Roncioni, E. era di origine nobile e apparteneva alla famiglia Paganelli di Montemagno (cfr. H. Gleber, pp. 179 ss.), ma quest'affermazione contrasta con la testimonianza di s. Bernardo che definì E. "homo rusticanus" (Opera, VIII, p. 114), qualifica che lascia pensare piuttosto a origini contadine o per lo meno modeste. La sua nascita a Montemagno di Camaiore è contraddetta inoltre dall'iscrizione sepolcrale in S. Pietro, dove si afferma che "Pisa virum genuit" (R.U. Montini, Le tombe dei papi, Roma 1957, p. 196). Qualcuno sostiene che il nome del futuro papa fosse stato Pietro, quello di suo padre Giovanni; quest'affermazione deriva dall'erroneo riferimento ad E. di un documento. Costantino Gaetani scrisse nel 1723 che la madre del papa si chiamava Maria Gajetana, ma si tratta indubbiamente di un'affermazione dettata da interessi genealogici (cfr. H. Gleber, pp. 179 ss.). Secondo un'altra tradizione, risalente già al Medioevo, E., prima di diventare papa, sarebbe stato anche cardinale. Si tratta evidentemente di una confusione del monastero dei SS. Anastasio e Vincenzo, di cui era stato abate, con l'omonima chiesa titolare. L'elezione del cisterciense pisano come successore di Lucio II morto in seguito a un attentato - elezione peraltro non salutata con favore da Bernardo - era dettata non solo da considerazioni riformatrici nel Collegio cardinalizio di cui facevano parte in quel momento tre cardinali pisani, ma anche dalla difficile situazione politica a Roma. L'elezione ebbe luogo nel refettorio del monastero di S. Cesario sul Palatino il giorno stesso della morte di Lucio (15 febbraio 1145), l'intronizzazione avvenne subito dopo nel Laterano. Ma già nella notte tra il 16 e il 17 febbraio il nuovo papa era costretto ad abbandonare la città in rivolta. Fu consacrato la domenica di "Exurge", il 18 febbraio 1145, nel monastero di Farfa. Non si conoscono i motivi che spinsero l'abate Bernardo a scegliere il nome di Eugenio. In alcuni compendi storici del Medioevo, come ad esempio nella cronaca di Martino di Troppau o nei Flores temporum, E. viene qualificato come "simplex". Questo attributo non costituiva necessariamente un giudizio negativo, ma indicava piuttosto la rettitudine del monaco e non contrasta neanche con le funzioni di comando esercitate da E. a Pisa e a Roma prima della sua elezione. E. non stabilì mai buoni rapporti con i Romani. Durante il suo pontificato, durato otto anni, quattro mesi e tre settimane, poté soggiornare a Roma complessivamente soltanto un anno e mezzo scarso. Nei primi anni la sua residenza preferita fu Viterbo (dall'aprile 1145 in poi), più tardi (dal 1149 in poi) soggiornò a Tuscolo, a Ferentino e a Segni. Il potere a Roma era infatti nelle mani del Senato, restaurato nel 1144 secondo il modello antico, con alla testa il "patricius" Giordano Pierleoni discendente da una famiglia di ebrei convertiti e fratello dell'antipapa Anacleto II morto nel 1138. E. scomunicò Giordano nel 1145, ma alla fine dell'anno giunse con i Romani ad un accordo, che, se da un lato prevedeva il riconoscimento del Senato da parte del pontefice, dall'altro restaurava l'ufficio del prefetto dell'Urbe nominato dal papa. Grazie a questo accordo E. poté rientrare a Roma (o piuttosto a Trastevere), ma il suo soggiorno durò soltanto fino al marzo 1146. Ben presto, infatti, Arnaldo da Brescia, che pure nel 1145 a Viterbo si era sottomesso al papa, divenne la guida spirituale dei Romani. Il 15 marzo 1148 E. esortò con una lettera i cittadini a guardarsi dall'influenza esercitata da Arnaldo. Ma le sue raccomandazioni non furono accolte: nell'autunno del 1149 il Senato invitò il re tedesco Corrado III a Roma per ricevere la corona imperiale dal popolo romano e per stabilirvi la sua residenza. L'invito rimase inascoltato, ma E. poté tornare a Roma soltanto per un breve periodo (novembre 1149-giugno 1150) grazie all'aiuto militare normanno. Rientrò a Roma un'ultima volta nel dicembre 1152, questa volta con la mediazione tedesca, dopo che i Romani avevano messo due consoli alla testa del Senato, composto di duecento membri, e progettato una nuova incoronazione imperiale. Negli anni 1147 e 1148 E., spinto dagli avvenimenti nell'Oriente cristiano, aveva fatto un lungo viaggio in Francia. La riconquista di Edessa da parte degli infedeli (Natale 1144) aveva preoccupato il papa già prima che nel novembre 1146 il vescovo siriano Ugo di ŠGablah giungesse a Viterbo con notizie più precise, sollecitando aiuti. Il 1° dicembre 1145 a Vetralla E. aveva emanato la bolla Quantum praedecessores con la quale invitava alla crociata, bolla rinnovata il 1° marzo 1146 a Trastevere. Il papa sperava soprattutto nel concorso dei cavalieri francesi, visto che re Luigi VII aveva dichiarato la propria disponibilità già nel Natale 1145 durante una Dieta celebrata a Bourges. La partecipazione dei Tedeschi dovette invece essergli meno gradita, perché contava sul loro aiuto nel conflitto con i Romani. Tuttavia, un anno più tardi, anche molti principi tedeschi e lo stesso re Corrado III presero la croce a Spira, spinti dalla predicazione di s. Bernardo. Nell'aprile 1147 E. autorizzò i principi della Germania settentrionale ad organizzare una crociata contro gli Slavi pagani (i Sorabi); nello stesso anno dette ad Alfonso VII di Castiglia il consenso per una spedizione militare contro i musulmani nel contesto della "reconquista" iberica. Nell'estate 1146 erano state condotte trattative con l'imperatore Manuele I di Bisanzio, sempre a proposito della crociata; il 5 ottobre 1146, da Viterbo, E. ordinò infine al clero italiano di predicare la croce. Ma nonostante i suoi sforzi il papa non riuscì a conservare il controllo dell'impresa. E. iniziò il viaggio in Francia partendo nei primi giorni del 1147 da Viterbo con un seguito di almeno diciassette cardinali. In base alle bolle emanate durante questo viaggio è possibile ricostruire l'itinerario seguito dalla Corte pontificia. Il 13 gennaio 1147 E. fu a Marturi presso Poggibonsi, l'8 febbraio a Lucca, il 12 febbraio a Pontremoli, il 2 marzo a Vercelli, il 7 marzo a Susa, il 9 marzo a Oulx e, dopo aver attraversato le Alpi, fu presente il 22 marzo a Lione e il 26 marzo a Cluny. L'incontro solenne con Luigi VII avvenne il 20 marzo a Digione, poi il papa e il re continuarono il viaggio insieme; il 6 aprile furono a Chiaravalle, il 10 aprile a Troyes, il 13 aprile a Provins e il 15 aprile a Meaux. La Pasqua fu celebrata il 20 aprile a Parigi con grandi solennità, che includevano l'incoronazione del re da parte del papa a St-Denis. Tuttavia, nel corso di una processione a St-Geneviève, scoppiarono violenti incidenti antipapali, provocati presumibilmente dai seguaci di Abelardo e di Arnaldo da Brescia che indussero il papa ad avviare una riforma monastica. L'esercito dei crociati con alla testa re Luigi VII si mise in marcia il 2 maggio 1147 seguendo quello tedesco guidato da Corrado III. E. invece rimase in Francia, passando l'estate e l'inizio dell'autunno quasi sempre ad Auxerre. Nel novembre si spostò su territorio imperiale soggiornando fino al febbraio 1148 a Verdun e a Treviri. Da lì si recò, infine, a Reims, dove si trattenne fino a dopo Pasqua, quando iniziò il viaggio di ritorno in Italia. Questa volta passò per Châlons-sur-Marne (20 aprile), Clairvaux (24 aprile), Langres (27 aprile), Besançon (5 maggio) e Losanna (14 maggio), dove si fermò per un periodo più lungo. Per attraversare le Alpi scelse il passo del Gran S. Bernardo, dopo aver fatto tappa a St-Maurice (25 maggio) e Martigny (27 maggio). L'8 giugno fu di nuovo a Vercelli e da lì si trasferì a Brescia (9 luglio), dopo brevi soste a Pavia (23 giugno) e a Cremona (7 luglio). Trascorse l'estate a Brescia in vicinanza delle montagne. Infine tornò a Viterbo passando per Leno (9 settembre), Parma (13 settembre), Pisa (8 ottobre), San Gimignano (22 novembre) e Siena (29 novembre). A Viterbo la presenza di E. è attestata per la prima volta il 30 dicembre 1148. Durante il suo viaggio, durato quasi due anni, E. celebrò due concili in Francia, a Parigi e a Reims, e uno in Italia, a Cremona. Un altro concilio era stato programmato a Treviri, in territorio imperiale, ma non si realizzò. Dei canoni emanati si sono conservati soltanto quelli relativi al concilio di Reims, mentre per gli argomenti trattati negli altri concili bisogna ricorrere ad altre fonti, sia documentarie sia storiografiche. Nel caso del concilio parigino, celebrato in data imprecisata, ma probabilmente poco dopo l'arrivo del papa nella città (Pasqua 1147) si trattò piuttosto di un Concistoro allargato che doveva occuparsi soprattutto del vescovo di Poitiers, Gilberto Porretano, sospettato di eresia, e della sua dottrina sulla Trinità. Furono poi dibattuti problemi di politica ecclesiastica come la destituzione dell'arcivescovo Guglielmo di York, elevato in modo non canonico, una questione che toccava non solo la vecchia rivalità tra York e Canterbury, ma anche i conflitti in corso per la Corona inglese. Un anno più tardi, nel marzo 1148, si riunirono a Reims, per il concilio convocato da E., più di quattrocento vescovi e abati, per lo più francesi. I canoni ivi promulgati ripetevano disposizioni degli anni Trenta che riguardavano il celibato e più in generale la vita onesta del clero. Non sono quindi molto interessanti, soprattutto rispetto alle altre questioni affrontate dal concilio. Va rilevato però che venivano dichiarate nulle ancora una volta tutte le disposizioni dell'antipapa Anacleto II e condannate certe eresie propagatesi recentemente in Guascogna e in Provenza. La condanna riguardava probabilmente i seguaci del prete Pierre de Bruis e del monaco Enrico contro i quali Bernardo di Chiaravalle nel 1145 aveva intrapreso una campagna di predicazione. Bernardo partecipò personalmente al concilio e lo influenzò profondamente. Veniamo a sapere, inoltre, che il predicatore itinerante bretone Eon de l'Étoile fu interrogato e condannato alla reclusione in un monastero. Fu ripreso e deciso anche il caso di Gilberto Porretano, aggiornato a Parigi: questi, dopo un processo durato due settimane, ritrattò alcune affermazioni incriminate. La decisione più clamorosa presa dal concilio fu però quella di sospendere gli arcivescovi di Magonza e di Colonia che non si erano presentati a Reims, nonostante che E. avesse avuto contatti amichevoli con loro poco tempo prima a Treviri. Sui motivi di questa decisione le fonti in nostro possesso lasciano spazio soltanto a supposizioni. In Francia la sospensione colpì i vescovi di Orléans e di Troyes. Inoltre il concilio dovette decidere nel conflitto relativo alla primazia, contestata, di Lione, Vienne e Bourges ed occuparsi di questioni riguardanti le esenzioni nelle diocesi di Bourges, Parigi, Sens, Autun e Rouen. E. sospese anche quasi tutti i vescovi inglesi, perché avevano disertato il concilio a causa del divieto del loro re di parteciparvi. L'unica eccezione era costituita dall'arcivescovo di Canterbury che non si era lasciato intimidire, ottenendo come premio la riconferma del suo primato. Re Stefano fu citato davanti al tribunale pontificio per giustificarsi, ma preferì non presentarsi. Nella penisola iberica il Portogallo (Braga) e l'Aragona (Tarragona) contestavano il primato dell'arcivescovo di Toledo, un'altra disputa che il concilio dovette affrontare. Anche nel corso del concilio celebrato a Cremona nel luglio 1148, durante il viaggio di ritorno del papa, furono dibattute soprattutto questioni di rivalità ecclesiastiche: Ravenna e Milano, Milano e Genova, Ravenna e Piacenza si contendevano reciprocamente la primazia. Inoltre il concilio si occupò del contenzioso tra Milano e la Moriana riguardante questioni di confine e del vecchio conflitto tra il vescovo di Modena e il monastero di Nonantola. La preoccupazione maggiore di E. dovette però essere quella di rendere note in Italia le decisioni del concilio di Reims, visto che quasi nessuno dei partecipanti lo aveva accompagnato in Italia. In tutti i concili celebrati da E. furono quindi discusse soprattutto questioni di politica ecclesiastica. Non solo i viaggi, ma anche legazioni, affidate per lo più a cardinali, garantivano l'influenza del papa al di fuori dello Stato della Chiesa, anche se l'avidità e il lusso degli emissari pontifici suscitavano spesso aspre critiche. I legati dovevano assolvere compiti sia politici sia ecclesiastici, ma nella prassi prevalsero i compiti più specificamente diplomatici a scapito di quelli religiosi e riformatori. Furono i legati pontifici a portare in Germania nel 1153 il consenso di E. all'annullamento del primo matrimonio del re tedesco Federico I con Adela di Vohburg, sua parente. Più gravido di conseguenze storiche fu invece il divorzio di Luigi VII di Francia da Eleonora di Aquitania avvenuto un anno prima, anch'esso "consensu Eugenii papae", ma non alla presenza di legati pontifici. Nella seconda crociata del 1147-1148 E. si fece rappresentare dal cardinale vescovo di Porto, Dietwin, mentre il cardinal prete Guido di S. Crisogono accompagnò i crociati francesi. Il vescovo Anselmo di Havelburg funse invece da legato pontificio nel 1147, in occasione della crociata contro i Sorabi. Nella primavera del 1147 il cardinale Dietwin, e dopo di lui anche il cardinale Guido dei SS. Cosma e Damiano, cancelliere della Chiesa, avevano trattato con Corrado III a proposito della sua partecipazione alla crociata, anche se E. avrebbe certamente preferito una discesa del re a Roma, sempre in mano dei suoi avversari. È probabile che di questa faccenda si fosse discusso già durante il precedente soggiorno di Dietwin, recatosi in Germania per la prima volta nel 1145, insieme con il cardinal prete Tommaso di S. Vitale. Allora era stata preparata anche la canonizzazione dell'imperatore Enrico II (1002-1024), celebrata poi da E. il 14 marzo 1146, un gesto inteso senza dubbio come un invito alla collaborazione rivolto al re tedesco. Del resto, lo scambio di ambasciatori tra la Corte pontificia e quella tedesca fu particolarmente intenso durante tutto il pontificato di Eugenio III. L'arcivescovo Adalberto di Treviri (1137-1152) era considerato il legato permanente del papa in Germania. Un certo cardinale Gerardo nel 1145 era attivo nella zona di confine tra Francia e Germania; un "magister" Greco alla fine del 1148 agiva per incarico del papa in Sassonia. Nell'estate 1151 giunsero in Germania, muniti di ampi poteri, i cardinali preti Ottaviano di S. Cecilia e Giordano di S. Susanna per invitare ancora una volta il re Corrado III a recarsi a Roma; all'inizio del 1153, infine, i cardinali Bernardo di S. Clemente e Gregorio di S. Angelo concludevano a nome di E. il trattato di Costanza con il nuovo re Federico I Barbarossa. Conflitti dinastici dividevano Boemi e Polacchi, e per mediarli il cardinale diacono Guido da Fucecchio nel 1145 e nel 1146 soggiornò in Boemia e in Moravia; nel 1147 operò, poi, in Polonia come legato pontificio il suddiacono Giovanni. Nel 1148 anche il cardinale diacono Guido da Crema - il futuro antipapa Pasquale (III) - si recò in Polonia, passando per la Moravia; egli tornò a Roma nel 1149 attraverso la Germania. In Inghilterra il vescovo Enrico di Winchester, fratello di re Stefano e legato permanente del papa, ancor prima del 1151, a quanto pare, fu sostituito nella carica di legato dal primate inglese, l'arcivescovo Teobaldo di Canterbury (1139-1161), misura determinata tra l'altro dai conflitti per la Corona inglese allora in atto. Negli anni 1151-1152 il cardinal prete Giovanni Paparo di S. Lorenzo in Damaso si recò in Scozia e in Irlanda. Oggetto della sua missione fu il distacco della Chiesa scozzese dalla Chiesa metropolitana di York nell'Inghilterra settentrionale. In Irlanda si trattava di elevare al rango di metropoliti ben quattro vescovi. Alla legazione scandinava del cardinale inglese Nicola Breakspear di Albano (il futuro papa Adriano IV) si deve invece la fondazione nel 1152 dell'arcivescovato di Nidaros (Trondheim) in Norvegia che fu distaccato dalla sede metropolitana danese-svedese di Lund. In Svezia il legato presiedette un sinodo riformatore a Linköping, dove ottenne l'impegno del re di pagare a Roma l'obolo di S. Pietro. All'arcivescovo di Lund trasmise, per incarico del papa, il pallio. Viceversa, nonostante le frequenti assenze e la situazione piuttosto difficile, la Corte pontificia fu anch'essa meta di numerose ambascerie incaricate di trattare questioni politiche e ecclesiastiche. Nell'ottobre del 1149 E. ricevette a Tuscolo re Luigi VII di Francia che, attraverso il Regno di Sicilia, stava tornando dalla crociata. Nel luglio del 1150 il papa si incontrò con Ruggero II di Sicilia a Ceprano, città sul confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno. Se i due re erano indubbiamente i visitatori più altolocati del papa, non dovettero però suscitare il clamore provocato dalla visita degli ambasciatori orientali giunti a Viterbo nel novembre 1145. Si trattava del vescovo di ŠGablah e degli inviati del patriarca armeno ("katholicos") venuti con l'offerta dell'unione delle due Chiese. La loro visita rivelò infatti all'Occidente cattolico, per la prima volta dopo lunghissimo tempo, l'esistenza di un lontano cristianesimo orientale, nestoriano, attraverso la leggenda del prete Giovanni, che il vescovo Ottone di Frisinga, in quel momento presente alla Corte pontificia in qualità di ambasciatore tedesco, racconta nella sua Chro-nica (pp. 32 s.). Dati gli stretti rapporti tra l'Impero e il papato, non passò anno senza lo scambio di ambasciatori. Sebbene l'iniziativa fosse partita e promossa dalla corte tedesca, anche E., da parte sua, intendeva rafforzare, con la canonizzazione dell'imperatore Enrico II, i legami tra i due poteri universali. Tuttavia, vari motivi impedirono alla fine il tanto auspicato viaggio a Roma di Corrado III e la sua incoronazione imperiale. E. aveva sperato di piegare i Romani ribelli con l'aiuto del re tedesco, ma alla fine fu già un successo che Corrado III rifiutasse di ricevere la corona imperiale dalle mani dei nemici del papa. E. accettò che Corrado, anche senza essere stato incoronato, usasse il titolo di "imperator augustus", e non protestò quando il re si qualificò "semper augustus" anche nei suoi confronti. Ma non solo: egli stesso, in una lettera del 1° aprile 1148 scritta a Reims, si rivolse a Enrico, figlio e coreggente del re, chiamandolo figlio dell'"imperatore" Corrado. Va tuttavia detto che la lettera in questione era stata "dettata" da Wibald, abate di Stablo e Corvey, il consigliere più influente di Corrado III e istitutore di suo figlio, che in quel momento si trovava alla Corte pontificia come ambasciatore tedesco. Fu lui, infatti, a conferire alla titolatura dei re tedeschi un'impronta "augustale", contro la quale E., a quanto pare, non ebbe da obiettare. Wibald svolse a lungo la funzione di collegamento tra la corte del re e la Curia pontificia e fu anche l'autore delle due lettere che annunciavano al papa l'elezione di Enrico (VI), avvenuta nel giugno 1147, e quella di Federico I nel 1152, con la promessa di obbedienza "in omnibus" nella prima e di protezione del papato romano nella seconda. A quest'ultima lettera E. rispose con l'approvazione, non richiesta, dell'elezione di Federico I. Le trattative tra la corte tedesca e la Curia pontificia, iniziate già al tempo di Corrado III, portarono nel marzo 1153 alla conclusione del famoso trattato di Costanza centrato sulla difesa reciproca dell'"honor", quello del papato e quello dell'Impero. Il carattere bilaterale degli accordi dimostra che le due parti si consideravano di pari rango. L'obiettivo del trattato era la restaurazione del vecchio ordine nell'Impero e nella Chiesa: al papa fu promessa la restituzione della sua sede tradizionale, Roma, al re l'incoronazione imperiale. Tuttavia, l'accordo di Costanza non era diretto soltanto contro i Romani ribelli, ma anche contro Bisanzio e il Regno normanno di Sicilia. L'esito infelice della seconda crociata era stato addebitato soprattutto a Bisanzio, tanto che nel 1150 si pensò di organizzare una crociata contro l'Impero d'Oriente, progetto approvato anche da Eugenio III. L'animosità contro Bisanzio acuì inoltre la rivalità tra i due Imperi. Tra Roma e il Regno di Sicilia, feudo della Chiesa, in seguito si erano create nuove tensioni, quando Ruggero II senza chiedere il permesso al papa fece incoronare re il figlio Guglielmo a Palermo (Pasqua 1151). L'attuazione del trattato di Costanza avvenne però soltanto dopo la morte di E., avvenuta a Tivoli l'8 luglio 1153. In seguito la salma fu trasferita a Roma e sepolta nell'oratorio di S. Maria a S. Pietro. Di E. si conservano più di mille bolle. Si tratta nella maggior parte delle solite conferme di beni e diritti a istituzioni ecclesiastiche. Con le promesse di protezione pontificia E. superò tutti i suoi predecessori. I Cisterciensi furono particolarmente favoriti dal papa, che per tutta la vita rimase legato all'Ordine cui era appartenuto prima di assumere la più alta carica della cristianità. E. continuò infatti a indossare sotto le vesti pontificali l'abito monacale dei Cisterciensi e creò ben tre cardinali provenienti da questo Ordine. Nel 1152 confermò la Charta caritatis dell'Ordine cisterciense con alcune aggiunte importanti che riguardavano soprattutto la pace ecclesiastica e l'esenzione dall'interdetto. Nessun segno esteriore o interiore rivela un cambiamento nella diplomatica pontificia di quel periodo. Va tuttavia rilevato che in una bolla del 10 aprile 1153, emanata a S. Pietro a favore di quei canonici, compare per la prima volta il titolo di "vicarius Christi", una dizione che lascia pensare all'influenza di s. Bernardo e rivendica per il papa la funzione di massima guida spirituale. Quasi quaranta lettere e in primo luogo il trattato De consideratione ad Eugenium papam, scritto da s. Bernardo tra il 1148 e il 1153 (pubblicato da J. Leclercq-H.M. Rochais in Sancti Bernardi Opera, III, Romae 1963, pp. 379-493), testimoniano del legame, sempre vivo, tra il maestro e l'allievo salito sul trono di s. Pietro. Questi scritti elaboravano infatti un programma di riforme basato sull'ideale della povertà apostolica che riguardava anche il papato. La posizione di Bernardo era quindi del tutto opposta a quella di Gerhoch, il dotto prevosto del monastero dei Canonici Regolari di Reichersberg che nei suoi scritti si era dichiarato contrario a novità e riforme. Gerhoch aveva dedicato le sue opere a E. poco dopo che questi era stato eletto papa e ne era stato lodato. Da quando aveva conosciuto i suoi scritti durante il soggiorno a Treviri E. intratteneva rapporti epistolari anche con Ildegarda di Bingen. I suoi forti interessi teologici lo indussero inoltre a invitare il vescovo Anselmo di Havelberg a scrivere i Dialogi, nei quali Anselmo, ambasciatore imperiale a Costantinopoli nel 1135-1136, riferisce delle dispute con i teologi greco-ortodossi guidati dall'arcivescovo Niketas di Nicodemia. Sempre per invito del papa il giurista Burgundione da Pisa, che aveva accompagnato Anselmo a Costantinopoli, tradusse dal greco gli scritti di Giovanni Damasceno e li pubblicò sotto il titolo De fide orthodoxa. Recentemente si è supposto anche che E. abbia favorito gli studi canonistici di Graziano, camaldolese bolognese. Sin dal 1152 Burgundione esercitò alla Curia pontificia la funzione di "iudex sacri Lateranensis palacii" ovvero "iudex apostolice sedis". Si sa anche che all'inizio del pontificato il cancelliere della Curia, l'inglese Robert Pulleyn (1145-1146), aveva molta influenza sul papa. Gli successe nella carica di cancelliere il cardinale Guido da Caprona, pisano (1146-1149). Dopo di lui furono cancellieri Bosone, camerario pontificio e, più tardi, storiografo del papato (1149-1153), e, dal maggio 1153, Rolando Bandinelli, il futuro papa Alessandro III. Dal 1148 al 1153 soggiornò alla Corte papale il dotto Giovanni di Salisbury, anch'egli attivo nella Cancelleria. Le parti conservate della sua Historia pontificalis (1148-1152) riguardano il pontificato di E. e costituiscono per questo una fonte contemporanea preziosa. La Vita di E. nel Liber pontificalis, rivisto e continuato da Bosone, tratta soltanto degli inizi del pontificato e, per lo più, in modo piuttosto scarno. Il fatto è tanto più sorprendente in quanto Bosone, funzionario della Curia, era bene informato degli avvenimenti ed interessato alle sorti del papato e dello Stato della Chiesa. A Bosone viene attribuito un elenco dei beni e delle entrate della Chiesa al tempo di E. oggi perduto, ma utilizzato mezzo secolo più tardi dal camerario Cencio Savelli, il futuro Onorio III, nel Liber censuum. La Vita di Bosone menziona infatti alla fine come opere lodevoli di E. il ricupero alla Chiesa di Terracina, Sezze, Norma e Fumone, il restauro del palazzo pontificio nel Vaticano e la costruzione di un palazzo a Segni. E. ordinò anche opere di restauro e di ampliamento a S. Maria Maggiore, come testimoniano alcune iscrizioni. Nella gestione della Chiesa non si lasciò guidare dagli ideali cisterciensi. Si capiscono quindi le esortazioni e le perplessità di s. Bernardo che dubitava delle capacità del confratello di guidare la Chiesa, perplessità che si esprimono nella lettera scritta dopo l'elezione e che vengono formulate anche nella Vita di Bosone. La storiografia pontificia successiva fu più clemente con il papa. E. lasciò un buon ricordo soprattutto nella sua città natale (Pisa) e tra i Cisterciensi. Già i contemporanei lo chiamavano "beato", epiteto che tuttavia non va inteso nel senso canonico. A partire dalla metà del sec. XVI il nome di E. compare nei libri memoriali liturgici dei Cisterciensi e il 3 ottobre 1872 Pio IX, su richiesta del generale dell'Ordine, ne confermò il culto, stabilendo come anniversario il giorno della sua morte (8 luglio). Il giudizio della storiografia moderna è più obiettivo. Il pontificato di E. segna, secondo l'opinione corrente, la fine dell'epoca delle riforme.
Fonti e Bibliografia
Le bolle di E. sono registrate in Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, II, Lipsiae 1888, nrr. 8714-9785, pp. 21-89; per la Vita di Bosone cfr. Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 386; la Historia pontificalis di Giovanni di Salisbury è pubblicata senza il nome dell'autore da W. Arndt, in M.G.H., Scriptores, XX, a cura di G.H. Pertz, 1869, pp. 516-45; il giudizio di s. Bernardo sta in Sancti Bernardi Opera, a cura di J. Leclercq-H.M. Rochais, VIII, Romae 1977, p. 114.
Tra le cronache si citano: Ottonis episcopi Frisingensis Chronica, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XLV, a cura di A. Hofmeister, 1912², pp. 32 s.;
Martinus Oppaviensis, Chronicon pontificum et imperatorum, a cura di L. Weiland, ibid., Scriptores, XXII, a cura di G.H. Pertz, 1872, p. 436;
Flores temporum auctore fratre ordinis Minorum, a cura di O. Holder-Egger, ibid., XXIV, a cura di G. Waitz, 1879, p. 247.
Inoltre cfr. la seguente bibliografia: J. Delannes, Histoire du pontificat d'Eugène III, Nancy 1737;
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M. Jocham, Geschichte des Lebens und der Verehrung des seligen Papstes Eugenius III., Augs-burg 1873;
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Moine de Lérins, Vie du béat Eugène III pape, Lérins 1879;
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