VITTORE III, beato
Dauferio nacque nel 1027 da un ramo della famiglia principesca di Benevento. La Cronaca di Montecassino ci informa che suo padre fu ucciso dai Normanni, mentre dai Dialogi, scritti successivamente da Dauferio stesso, si è a conoscenza che una sua bisnonna paterna, Bella, fu monaca presso S. Pietro in Benevento. All'età di circa venti anni, Dauferio fuggiva dalla casa paterna per assecondare la propria vocazione monastica. Ricondotto con la forza presso la famiglia, trascorso circa un anno, scappò nuovamente e, questa volta, grazie all'aiuto di Siconolfo, preposto del monastero beneventano di S. Sofia, riuscì a raggiungere Salerno e a porsi sotto la protezione del principe Guaimario, cui era legato da vincoli di parentela. Trascorse, pertanto, un periodo presso il monastero della Ss. Trinità di Cava, finché, dietro le pressanti richieste dei familiari, non si decise a tornare nella sua città natale, dove entrò come monaco presso l'abbazia di S. Sofia. In questa occasione mutò il suo nome in quello di Desiderio. Durante la permanenza a S. Sofia, interrotta soltanto da un breve soggiorno presso il monastero di S. Maria delle Tremiti e da tre mesi di vita eremitica sulla Maiella, Desiderio venne in contatto con personaggi impegnati in prima linea nel processo di riforma della Chiesa, come il vescovo Umberto di Silvacandida e Federico di Lorena, cancelliere, abate di Montecassino e futuro papa Stefano IX. Fu quest'ultimo a presentarlo al pontefice Leone IX, in visita a Benevento nella tarda primavera del 1053. Nel 1055, in occasione di un incontro, avvenuto in Firenze, con Vittore II, successore di Leone IX, Desiderio chiese e ottenne dal pontefice l'autorizzazione a lasciare S. Sofia di Benevento e a entrare come monaco a Montecassino. Nominato preposto di una dipendenza cassinese situata in Capua, nell'aprile del 1058, mentre stava per imbarcarsi a Bari alla volta di Costantinopoli in missione diplomatica presso l'imperatore bizantino per conto di Stefano IX, fu raggiunto dalla notizia della morte del papa e, conseguentemente, della sua elezione ad abate del monastero di Montecassino. Fatto rapidamente ritorno, il 19 aprile 1058, domenica di Pasqua, Desiderio era consacrato abate. Si apriva così per Montecassino una stagione di profondo rinnovamento e di crescita di prestigio. Nei trent'anni in cui Desiderio fu alla guida del monastero, si assistette a un immenso sviluppo delle risorse materiali dell'abbazia. Grazie alle cospicue donazioni di terre e chiese, non solo da parte dell'aristocrazia longobarda al tramonto, ma soprattutto da parte dei nuovi dominatori normanni, la "Terra Sancti Benedicti" raggiunse un'estensione di circa 80.000 ettari, senza contare le numerose dipendenze localizzate in varie aree dell'Italia centrosettentrionale, e persino in Sardegna. La straordinaria ricchezza fornì gli strumenti per la realizzazione di un'ambiziosa politica culturale. Essa fu il risultato dell'ospitalità offerta alle personalità intellettuali più interessanti del tempo - Costantino l'Africano, Alberico, Alfano, per citarne solo alcune -, dell'impegno profuso dall'abate nella formazione di una grande biblioteca e del conseguente impulso fornito all'attività dello "scriptorium": più di settanta codici furono fatti copiare da Desiderio, tra cui, accanto a opere di patristica, liturgia, omiletica, anche autori classici rari nel Medioevo quali Tacito, Frontino, Giovenale, Apuleio. A ciò si aggiunga l'intensa attività costruttiva di Desiderio, che avrebbe trovato la sua esplicazione più alta nella ricostruzione della basilica di S. Benedetto. L'edificio, alla cui consacrazione, nel 1075, presero parte le più alte personalità del mondo politico ed ecclesiastico del momento, fu realizzato grazie anche alla cooperazione di maestranze di origine costantinopolitana esperte nell'arte del mosaico, e, attraverso la sua proposta di recupero di una dimensione paleocristiana e antichizzante in linea con i contenuti ideologici della Riforma, era destinato a svolgere funzione normativa per la successiva vicenda artistica del Sud della penisola. Ma Desiderio non si contentò semplicemente di assicurare alla casa di s. Benedetto "domus, rura, lacus" e, come si legge nella Cronaca di Montecassino, di incarnare la figura del "restaurator ac renovator", del "fundator" del cenobio dopo s. Benedetto, Petronace e Aligerno. Negli anni del suo abbaziato, Montecassino riuscì a svolgere anche un ruolo di primo piano nel contesto politico dell'Italia meridionale, dove il tramonto della potenza longobarda, l'affermazione dei Normanni, e, in un contesto più ampio, le vicende connesse con la riforma della Chiesa e i rapporti tra questa e l'Impero, stavano creando le condizioni per un'evoluzione dei tradizionali assetti politici di quest'area. Desiderio seppe inserirsi attivamente in tale processo e assecondarlo, proponendosi tra i promotori più attivi di un'intesa tra Normanni e papato. I primi, con Roberto il Guiscardo e Riccardo di Capua, aspiravano a una legittimazione della propria posizione nel Mezzogiorno tale da superare la dimensione dei potentati locali e attingere ai più alti gradi della gerarchia delle potestà terrene; al secondo, profilandosi minaccioso all'orizzonte lo scontro con l'Impero, occorreva un valido sostegno materiale e militare per portare a compimento gli obiettivi della Riforma e, nel contempo, rilanciare con rinnovato vigore le secolari aspirazioni a un'egemonia della Chiesa di Roma in Italia meridionale. Sotto gli auspici di Desiderio, pertanto, nell'agosto del 1059, durante il concilio di Melfi, il pontefice Niccolò II investiva Roberto e Riccardo delle terre da loro di recente conquistate, ricevendone in cambio un giuramento di fedeltà che rendeva i due normanni vassalli di S. Pietro. I frutti di questa intesa non tardarono a farsi sentire. Nell'autunno del 1061, in occasione della travagliata ascesa al soglio pontificio del successore di Niccolò II, Alessandro II, il principe normanno Riccardo di Capua si recò a Roma insieme a Desiderio, come racconta la Cronaca cassinese "[...] in omnibus suffragante", per assicurare al neoeletto papa un valido sostegno armato. Tuttavia, l'intelligenza politica di Desiderio, la sua capacità di portare a compiuto sviluppo tutte le potenzialità insite in quella funzione di mediazione cui la stessa posizione geografica sembrava destinare Montecassino, raggiunse le sue più significative esplicazioni soprattutto durante il pontificato di Gregorio VII. Proprio allora, infatti, l'intesa tra Normanni e papato, in diverse occasioni, conobbe momenti di forte tensione, le cui origini vanno ricercate, essenzialmente, nel fatto che il flusso inarrestabile dell'espansione normanna, sotto l'impulso di Roberto il Guiscardo, era arrivato a minacciare i territori direttamente soggetti alla Santa Sede e sembrava negare del tutto la pregiudiziale della sovranità papale sul Meridione implicita nell'investitura di Melfi. Gregorio VII scomunicò ben tre volte il Guiscardo, arrivando persino a caldeggiare la formazione di una lega contro di lui. Se non si giunse a una rottura definitiva, il merito va ascritto in gran parte all'instancabile attività diplomatica di Desiderio. Fu grazie a essa se, nella primavera del 1084, il Guiscardo accorse a Roma in aiuto di Gregorio VII accerchiato in Castel S. Angelo dalle truppe dell'imperatore Enrico IV e, dopo aver incendiato e saccheggiato la città, portò con sé il pontefice a Salerno, fornendogli un asilo sicuro fino alla morte di quest'ultimo avvenuta il 25 maggio 1085. Al momento della sua morte, Gregorio VII lasciava la Chiesa in una situazione estremamente difficile. Lo scisma apertosi con il concilio di Bressanone e l'elezione da parte dell'imperatore Enrico IV di Wiberto, vescovo di Ravenna, come antipapa Clemente III, era ancora nel pieno del suo svolgimento. Il partito wibertino, oltre alla base operativa di Ravenna, aveva a Roma un forte seguito soprattutto nel gruppo dei cardinali presbiteri. Fuori d'Italia, mentre Francia e Inghilterra avevano assunto una posizione di sostanziale neutralità, in Germania l'area occidentale del paese, in particolare la regione renana, facente capo ai tre grandi arcivescovati di Colonia, Magonza e Treviri, era di obbedienza wibertina; l'area sud-orientale era rimasta invece legata al partito gregoriano. Questo poteva contare, in Italia centrosettentrionale, sulla fedeltà incondizionata della contessa Matilde di Canossa e sul fatto che diversi vescovi scismatici, come Tedaldo di Milano, Ebeardo di Parma, Gandolfo di Reggio, erano morti durante il 1085. A Roma, la famiglia dei Frangipani, nella figura del prefetto Cencio, e la maggioranza dei cardinali vescovi restavano tenacemente legati alla causa gregoriana. In Italia meridionale, la crisi apertasi con la scomparsa del Guiscardo, avvenuta nel luglio del 1085, non aveva compromesso in maniera rilevante la tradizionale adesione normanna alla causa papale. In questo contesto si apriva il problema della successione di Gregorio VII. Secondo alcune fonti, tra cui la Cronaca di Ugo di Flavigny, il pontefice, in punto di morte, aveva lasciato indicazioni su chi avrebbe dovuto raccogliere la sua eredità, designando una rosa di tre nomi: il vescovo Anselmo II di Lucca, il vescovo Oddo di Ostia e l'arcivescovo Ugo di Lione. Stando alla Cronaca di Montecassino, Gregorio avrebbe fatto anche il nome di Desiderio, ma l'attendibilità di tale notizia, considerando che essa s'inserisce in un capitolo dell'opera che è stato dimostrato essere il prodotto di una fusione disordinata di circa otto sezioni differenti, sembra assai poco attendibile. Quel che è certo è che Desiderio partecipò attivamente alla ricerca del candidato più idoneo, come testimonia il suo incontro, avvenuto probabilmente a Montecassino a soli quindici giorni dalla morte di Gregorio VII, con il vescovo Ubaldo di Sabina e un certo Graziano, portavoce della fazione gregoriana di Roma. È noto anche che Desiderio esortò i cardinali a scrivere alla contessa Matilde perché invitasse i tre vescovi designati da Gregorio VII a recarsi a Roma, in modo da porre fine al più presto alla vacanza della Sede papale. Tuttavia, il 18 marzo del 1086 moriva Anselmo II, dei tre candidati la figura più carismatica e, probabilmente, a giudizio unanime, il più qualificato a succedere a Gregorio. Circa due mesi dopo, a Roma, il 24 maggio del 1086, a seguito di un'assemblea particolarmente burrascosa, Desiderio veniva eletto papa, con il nome di Vittore III. Resta difficile, sulla base delle testimonianze di cui si dispone, mettere a fuoco con chiarezza le ragioni di una simile scelta. È probabile che a determinarla concorse la considerazione del sostegno offerto da Desiderio al papato riformatore, fin dal tempo del pontificato di Niccolò II, che aveva inserito l'abate cassinese nel Collegio cardinalizio come cardinale presbitero di S. Cecilia in Trastevere, e lo aveva nominato vicario papale con l'incarico di sovrintendere ai monasteri del Principato (area geografica corrispondente ai Principati di Salerno e di Benevento), della Puglia e della Calabria. È verosimile anche che il clero e la nobiltà romana rimasti fedeli alla causa gregoriana videro nella vasta disponibilità di risorse di Montecassino, nonché nella tradizionale amicizia tra il suo abate e il mondo normanno, una base sicura su cui fare affidamento per affrontare con rinnovato vigore la lotta contro gli scismatici. Inoltre, rispetto ai vescovi indicati da Gregorio come suoi successori, Desiderio aveva il vantaggio di essere il più anziano tra i cardinali presbiteri. Tra questi ultimi o eventualmente tra i cardinali diaconi, secondo la Collectio canonum di Deusdedit, occorreva venisse scelto il nuovo pontefice per attuare un'elezione canonicamente corretta. V. tentò tenacemente di opporsi alla propria nomina: abbandonò immediatamente Roma per Ardea e di qui si recò a Terracina, dove alla fine di maggio si spogliò delle insegne papali rifiutandosi d'indossarle più a lungo. A giugno era di nuovo a Montecassino. La sua rinuncia ad accettare la carica conferitagli era motivata dal carattere burrascoso che aveva accompagnato l'elezione, nonché dalla consapevolezza di dover far fronte all'ostilità degli ultragregoriani capeggiati da Ugo di Lione, che non gli perdonavano i rapporti amichevoli intrattenuti, in passato, con Enrico IV. Il papa, inoltre, sapeva di non poter contare, in quel particolare momento, su un efficace e compatto aiuto normanno, poiché il duca di Puglia, irritato per la mancata nomina alla sede vescovile di Salerno di un suo candidato, aveva rimesso in discussione la propria fedeltà al partito gregoriano. A Montecassino, comunque, V. non rimase tranquillo in attesa degli eventi. Non solo dovette fronteggiare diversi tentativi, narrati dalla Cronaca di Montecassino, per riportarlo a Roma, ma, stando alla testimonianza di Ugo di Lione, fu molto attivo nel promuovere una nuova elezione, arrivando a proporre candidature diverse dalla propria, come quella del vescovo Ermanno di Metz. La questione era, comunque, destinata a risolversi nel marzo del 1087, allorché fu indetto a Capua un concilio, cui presero parte, oltre naturalmente a V., esponenti di punta del partito gregoriano di Roma, il prefetto romano Cencio, il principe Giordano di Capua e anche il duca di Puglia Ruggero Borsa. In chiusura del concilio, secondo la Cronaca di Montecassino, si riaprì la questione dell'elezione papale. V., dopo due giorni di tentennamenti, la domenica delle Palme del 1087 si decise infine a confermare l'elezione del 1086 e a riprendere le insegne papali. A spingere Desiderio a una simile risoluzione furono, probabilmente, l'urgenza degli eventi - il fronte degli scismatici aveva ripreso vigorosamente l'iniziativa, promuovendo il ritorno a Roma di Wiberto - ma anche la consapevolezza che il gruppo degli ultragregoriani aveva conosciuto delle defezioni in suo favore, come quella del vescovo Oddo di Ostia. V. sapeva, inoltre, di poter contare ora sul sostegno militare di un fronte normanno ricostituitosi nella sua unità, dopo che Ruggero Borsa aveva visto nominare il proprio candidato alla guida della sede vescovile di Salerno. Dopo aver trascorso la Pasqua a Montecassino (28 marzo), si diresse a Roma, scortato da Giordano di Capua e Gisolfo di Salerno. Qui, una volta che i Normanni si furono impadroniti di S. Pietro, fino a quel momento caposaldo dei wibertini, il 9 maggio V. fu consacrato papa. Tra i suoi atti, fra cui va annoverata la conferma dell'immunità per l'abbazia di Montier en Der, la conferma dei possedimenti della nuova sede vescovile di Ravello, e una lettera indirizzata all'imperatrice bizantina Anna Dalassena, finalizzata a impetrare l'alleggerimento dei pedaggi imposti ai pellegrini in visita al Santo Sepolcro, spicca la convocazione di un concilio a Benevento per la fine di agosto del 1087. A esso parteciparono i vescovi di Puglia, di Calabria e del Principato. Secondo la testimonianza della Cronaca di Montecassino, l'unica di cui disponiamo al riguardo, durante il concilio il pontefice venne formulando un programma di governo della Chiesa nel pieno rispetto della tradizione gregoriana, come attestano le varie deliberazioni prese dall'assemblea, tra cui la conferma della scomunica per Clemente III e i suoi seguaci, la condanna dell'investitura da parte dei laici e delle ordinazioni simoniache. Tre giorni dopo la conclusione del concilio, a Montecassino, V., gravemente ammalato, moriva. Era il 16 settembre 1087. Sul suo breve pontificato ha pesato a lungo il giudizio negativo di certa parte della storiografia. Soprattutto A. Fliche ha visto in lui una pallida figura tra quelle eroiche di Gregorio VII e Urbano II, cui la sua natura essenzialmente di esteta e bibliofilo, più preoccupato delle sorti del suo monastero che dei destini della Chiesa, e probabilmente anche la sua malattia, impedirono di fronteggiare con la dovuta energia e determinazione la difficile situazione di quegli anni. In realtà, i quattro mesi del suo pontificato videro V. attivamente impegnato nella gestione della non facile eredità di Gregorio VII. In tal senso egli si preoccupò di assicurare al partito gregoriano una base unitaria sufficientemente solida per poter affrontare con successo la sfida contro i wibertini, non solo in Italia, ma anche, per esempio, in Germania, dove, secondo la testimonianza di Bernoldo di St. Blasien, non mancò di fornire il suo appoggio al vescovo Gebeardo di Costanza, un ultragregoriano convinto. La sua persona venne in tal modo configurandosi sempre più come un punto di riferimento imprescindibile per quanti erano rimasti fedeli alla causa gregoriana. Si pensi alla stima e alla devozione tributategli dalla contessa Matilde, o al fatto che il cardinale Deusdedit scelse di dedicare proprio a lui la sua Collectio canonum, uno dei manifesti ideologici della Chiesa gregoriana. Si pensi, ancora, al Liber de unitate ecclesiae conservanda, in cui V. veniva presentato, da un monaco anonimo di parte wibertina, quale degno successore di Gregorio VII. Come sostiene H.E.J. Cowdrey (L'abate Desiderio), l'attività di V. papa non si risolse in "un interludio torbido e incolore", ma rappresentò un ponte di collegamento importante tra il pontificato di Gregorio VII e quello di Urbano II. Venerato come beato, il culto fu confermato da Leone XIII il 23 luglio 1887. La sua memoria liturgica viene celebrata il 16 settembre. Fonti e Bibl.: Desiderio, Dialogi de miraculis sancti Benedicti, in M.G.H., Scriptores, XXX, 2, fasc. 3, a cura di G. Schwartz-A. Hofmeis-ter, 1934, pp. 1149-50; Bernoldo, Chronicon, a cura di G. Waitz, ibid., V, a cura di G.H. Pertz, 1844, pp. 446-47; Ugo di Flavigny, Chronicon, ibid., VIII, a cura di G.H. Pertz, 1848, pp. 466-68; Pietro Diacono, De viris illustribus Casinensis cenobii, in P.L., CLXXIII, coll. 1028-30; Annales Casinenses, in M.G.H., Scriptores, XIX, a cura di G.H. Pertz, 1866, p. 307; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. 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