Angiò, Beatrice d'
, Ultima dei tredici figli di Carlo II d'A. e di Maria d'Ungheria, nacque intorno al 1290, con ogni probabilità in Provenza.
Secondo il Minieri Riccio (Studi storici, p. 100) si sarebbe fatta monaca nel 1301; ma sembra più probabile che la giovinetta fosse entrata in monastero per completare la sua formazione: infatti in quello stesso anno il padre l'aveva promessa in sposa a Sancio figlio del re di Maiorca (H. Fincke, Acta aragonensia, I 109 n. 74). Sposò nel 1305 il marchese Azzo VIII d'Este; morto il quale (1308) passò in seconde nozze con Bertrando Del Balzo, e visse in seguito per lo più a Napoli. Morì ad Andria nel 1335.
D. rimprovera a Carlo II il matrimonio della giovanissima figlia col marchese d'Este, non perché questi fosse vecchio, come dicono antichi commentatori, giacché Azzo aveva al più 42 anni, ma perché per le circostanze in cui avvenne, il matrimonio sembrò a D. (e così a Bianchi e ghibellini) una compravendita: veggio vender sua figlia e patteggiarne / come fanno i corsar de l'altre schiave (Pg XX 80-81).
I commentatori antichi precisano la somma sborsata da Azzo. Alcuni, come il falso Boccaccio che riferisce la somma di centomila fiorini (e il Serravalle addirittura duecentomila), hanno certamente esagerato. Più prudenti il Lana e l'Ottimo, Benvenuto, Buti e Landino parlano genericamente di doni e di denari. Vera, in parte, è invece la somma di trentamila fiorini, riferita da Pietro e dalle postille cassinesi, e quella di ventimila riportata dall'Anonimo, che vicendevolmente si completano. Infatti Azzo VIII nel contratto matrimoniale costituì alla giovane moglie un dovario di cinquantunmila fiorini, dei quali trentamila costituirono il prezzo di acquisto della contea di Andria, devoluta alla corona per la morte (alla fine del 1305) del principe Raimondo Berengario, fratello di B.; e per il valore dei restanti ventunmila fiorini, il marchese assegnò alla moglie le terre di Copparo e di Migliaro nel contado di Ferrara e la terza parte di Lendinara (Rovigo). La somma complessiva e la sua suddivisione risultano da un documento di re Roberto del 1314 (Camera, Annali, II 115). La somma compare anche in un documento di Carlo II del 1306, in cui è detto che nel contratto matrimoniale fu convenuto che Azzo " emere debeat pro dotario per eum consorti suae constituto terram in regno nostro usque ad valorem unciarum 6000 " (Minieri Riccio, Notizie, pp. 129, 141), cioè appunto cinquantunmila fiorini. Circa l'oggetto dell'acquisto però il documento parla di Isernia e di Carpione " quae fuerunt quondam Raimundi Berengarii nati nostri " (ibid.), mentre in altri atti della cancelleria angioina di quello stesso anno si parla della vendita ad Azzo della città di Andria e del castello di Acquaviva (Minieri Riccio, Studi, p. 9). Questa discordanza nella documentazione dimostra che l'attuazione del contratto matrimoniale fu complicata e comportò forse altre trattative. Il documento citato di Roberto però, steso alcuni anni più tardi, riflette evidentemente la soluzione definitiva del negozio.
Se la costituzione del dovario per la moglie era allora un dovere per il marito, come la dote per il padre, ciò che dovette essere scandaloso nelle trattative tra Carlo II e Azzo VIII - per cui da Parte bianca e ghibellina si parlò di compravendita - fu che il dovario servì in fondo a comprare beni immobili nel regno, destinati ad arrotondare la dote di B. e a ricompensare il re della somma di diecimila fiorini, che a tale titolo aveva versato alla figlia (Minieri Riccio, Studi, p. 98). Il verbo emere o il sostantivo emptio compaiono del resto in tutti i documenti angioni relativi a quel fatto. Questo è riprovato anche da Dino Compagni (III 16), che però incentra la sua riprovazione sulla figura tirannica di Azzo, alleato dei Neri: questi, dice il cronista, per aumentare il suoprestigio con una sposa di sangue reale " la comperò oltre al comune uso ".
In verità, il matrimonio è frutto del realismo politico sia di Azzo sia di Carlo, che trovò nel genero " utile appoggio alla sua politica di controllo dell'Italia centrale " (Léonard, p. 249); ma ciò non costituisce una giustificazione agli occhi di Dante. Tutti i giudizi di lui su uomini e fatti contemporanei vanno ricondotti alla sua concezione politico-religiosa della società; e il patteggiamento di Carlo gli sembrò un esempio di cupidigia politica, che è l'aspetto più grave dell'avarizia. Va ricordato che Carlo II e Azzo VIII sono ricordati insieme come pessimi principi anche altrove (VE I XII 5).
Bibl. - G.B. Pigna (NIcoLuccr), Historia dei principi d'Este, Ferrara 1570, 216, 220, 241; L.A. Muratori, Antichità Estensi, Il, Modena 1740, 66; M. Camera, Annali delle due Sicilie, II, Napoli 1860, 115, 157-158; Id., Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I regina di Napoli e Carlo III di Durazzo, Salerno 1889, tav. I; C. Minieri Riccio, Genealogia di Carlo I d'Angiò, Napoli 1857, 191; Id., Studi storici fatti sopra 84 registri angioini dell'Archivio di Stato di Napoli, ibid. 1876, 12, 99-100; Id., Notizie storiche tratte da 62 registri dell'Archivio di Stato di Napoli, ibid. 1877, 129, 141; G. SoRANZO, La guerra fra Venezia e la Santa Sede per il dominio di Ferrara (1308-1313), città di Castello 1905, 40, 60; H. Finke, Acta Aragonensia, Berlino-Lipsia 1908, I n. 74; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I, Firenze 1922, 23, 33; Davidsohn, Storia III 294, 506; E. Léonard, Gli Angioini di Napoli, Varese 1967, 249.