BEATRICE di Portogallo, duchessa di Savoia
Figlia di Emanuele I, re del Portogallo, e di Maria di Castiglia, nacque il 31 dic. 1504. Il 26 marzo 1521 fu concluso a Lisbona, dopo lunghe trattative, il contratto delle sue nozze con il duca di Savoia Carlo II. Il matrimonio fu celebrato a Nizza, il 1° ottobre dello stesso anno.
Duca dal 1504, Carlo II era stato sollecitato più volte a sposarsi, soprattutto e ripetutamente in assemblee dei tre Stati del clero, della nobiltà e delle comunità dei suoi domini: nel 1508 dagli Stati nord-occidentali e occidentali, nel luglio 1517 dagli Stati piemontesi, nel novembre 1517 da quelli del Vaud, e nel dicembre 1517 dagli altri Stati occidentali. L'interesse degli Stati a veder proseguire la casa e il governo sabaudi non era importante solo perché tradizionale. L'invito del 1508 era stato importante anche perché aveva segnato un'ulteriore prova del consenso savoiardo a un principe in forti difficoltà verso i Vallesani, e poi verso i Bernesi e i Friburghesi interessati contro di lui da Jean Dufour, ex segretario ducale, inventore di donazioni sabaude agli Svizzeri perché mosso, da precisi intenti politici reazionari a combattere il governo di Carlo II. Era stato importante l'invito piemontese del 1517, perché esso era seguito al clamoroso rifiuto, opposto pochi mesi prima dalle comunità del Piemonte a Carlo II, a Bernardino Parpaglia presidente del Consiglio ducale di Torino, a Goffredo Paserio avvocato fiscale generale di Savoia, di mettere in piedi, per la miglior difesa dello stesso Piemonte, un esercito permanente di diecimila uomini. E più che mai avevano avuto peso le sollecitazioni vodesi e savoiarde seguite pochi mesi dopo, perché esse avevano recato una nuova testimonianza del posto preminente che la parte non piemontese aveva, e meglio intendeva avere ed accrescere, nello Stato sabaudo.
Questo aspetto della vicenda matrimoniale di Carlo II va rilevato subito, per avvertire come B. non giungesse né sconosciuta ai più né inattesa a Nizza. E così pure - dacché nello Stato la parte preminente era la savoiarda - occorre sottolineare come in gran prevalenza furono uomini di quella parte, segretari ducali o membri del Consiglio cum domino o governatori di Nizza, a lavorare per Carlo II nelle trattative per il matrimonio e ad accogliere a Nizza la prìncipessa: furono tra gli altri, e per dir solo dei maggiori, Claude Châtel, Claude de Balleyson barone di Saint-Germain, Alexandre de Viry signore di Sallenove. Le nozze ducali dovevano valere soprattutto alle fortune di quella parte, o meglio a sostenere gli intenti conservatori del vecchio mondo aristocratico governante insieme al duca, e che in quella parte era il più forte. Di tali nozze, e in primo luogo della dote che Emanuele avrebbe dovuto dare alla figlia, avevano. gran necessità le finanze di un governo indebitato con gli Svizzeri in conseguenza delle frodi del Dufour, e che inoltre era posto in difficoltà dalle scorrerie svizzere e francesi nei propri territori e dalla volontà, costosa quanto forte, di impadronirsi una volta per tutte di Ginevra. Sposare una donna che non portasse alla sua casa molto denaro contante o una grossa rendita e signoria - fece dire Carlo II alla corte francese dal signor di Châteaufort durante le trattative - "ce seroit por tousiours plus charger la maison" (Memoyre particuliere a monsieur de Chateaufort de ce qu'il aura affere, s. d., in G. Claretta, Notizie, p. 136). Nel contratto del 26 marzo 1521 la dote fu poi pattuita in denaro e in preziosi, vasi d'argento e altri beni, per un valore complessivo di centocinquantamila ducati d'oro di buon peso.
La grandezza del re portoghese era certo senza confronto maggiore di quella di Carlo II, che alle glorie marittime indiane africane americane di Emanuele aveva da opporre assai meno, ed ancor meno poté opporre quando dal 1519 il re, sposando in terze nozze Eleonora d'Austria sorella di Carlo V, s'imparentò con l'imperatore. Tuttavia il duca e il suo piccolo Stato non erano cosa dappoco, avevano anch'essi alle spalle una ricca storia e fra l'altro una ricca storia di parentele illustri: Filiberto II, duca di Savoia fra il 1497 e il 1504, aveva sposato Margherita d'Austria unica figlia dell'imperatore Massimiliano, come ricordò Carlo II al Châteaufort. Al matrimonio portoghese del duca si interessò dal, febbraio 1520 anche Carlo V tramite il suo cancelliere Mercurino Arborio di Gattinara, e poi personalmente, nella primavera 1521, e si interessò il papa Leone X.
In quella situazione politica, aristocratica imperiale e cattolica, giunse così B. con un grande seguito di nobili ecclesiastici e laici e di dame. Pochi giorni dopo le nozze andò con Carlo II in Piemonte, a Vigone dall'ottobre 1521 al marzo 1522, poi a Torino. Seguì poi il duca a Ginevra dall'agosto 1523 agli inizi del 1524 - e là il 4 dic. 1523 le nacque il primogenito Luigi -; indi fu a Rivoli e a Torino.
Ma intorno allo Stato sabaudo continuava intanto a svolgersi il contrasto franco-asburgico, e su molta parte delle terre nord-occidentali e occidentali del ducato cresceva ancora la pressione svizzera. Inoltre Ginevra, nel febbraio 1526, si univa in comborghesia con Berna e con Friburgo e si sottraeva così ad ogni ingerenza sabauda; neppure il vescovo Pierre de la Baume, savoiardo e tutto di parte ducale sabauda, vi sarebbe rientrato mai più. Le dottrine riformate cominciarono ad aver diffusione nei paesi svizzeri e ad interessare i paesi savoiardi. Crebbe dunque, per Carlo II e per i savoiardi aristocratici laici ed ecclesiastici, la necessità di lottare e di salvare il salvabile del vecchio mondo nel quale essi tutti, ma in primo luogo i preminenti dei due Stati, si riconoscevano. Il duca stette sempre di più oltre le Alpi; e nel Piemonte lasciò il governo al Consiglio ducale di Torino, agli altri preminenti piemontesi e a B., che prese a cercar di contrastare agli Imperiali la loro cupidigia di bottino e di violenze sulle popolazioni già stanchissime delle precedenti violenze svizzere e francesi, e la contrastò con passione e con sagacia e non senza ottenere pratici successi.
La corrispondenza della duchessa con Carlo II è ricca testimonianza del suo lavoro, come pure, e più direttamente, lo sono le sue lettere dal 1524 al marchese di Pescara, ad Antonio de Leyva, a Carlo di Lamoy, a Ferdinando Alançon, al marchese del Vasto, a Giovanni d'Urbino, ai maggiori responsabili, cioè, delle operazioni militari imperiali nell'Italia settentrionale negli anni intorno alla battaglia di Pavia (1525). Altra testimonianza ancora sono gli interventi di B. a favore di comunità e presso vari altri Imperiali.
Un tal lavoro, e in particolare la collaborazione con Goffredo Paserio che dal 1524 presiedeva il Consigláo, e talvolta con Gerolamo Aiazza presidente del Consiglio cum domino, e di continuo con Chiaberto Piossasco di Scalenghe collaterale di quello, portarono via via B. a comprendere e quindi a legarsi con certi interessi piemontesi.
Non vennero meno le esperienze precedenti, come si vide nel 1526 quando Carlo II e gli altri governanti savoiardi cercavano di rientrare nella perduta Ginevra. Ripetutamente, seppure invano, B., l'Aiazza e il Paserio tentarono di ottenere dalle comunità piemontesi uomini che andassero oltre le Alpi ad aiutare Carlo. Ma proprio l'esperienza allora compiuta nei confronti delle comunità, normale in sé, perché erano antichissime le franchigie per le quali non si era tenuti a far uscire uomini armati dal proprio territorio, riuscì negativa per Beatrice.
La fatica sempre rinnovantesi del dialogo con le assemblee degli Stati e in particolare con il terzo Stato era cosa nuova per lei. In tutto il ducato il rapporto fra il principe e gli Stati era essenziale per la possibilità medesima dell'esercizio sabaudo dei potere. Ma certo, se nelle frequenti assemblee i convenuti generalmente finivano per dare i richiesti sussidi al governo e i doni richiesti alla nuova duchessa, era bene un fatto che essi ogni volta chiedevano, e particolarmente chiedeva sempre qualcosa il terzo Stato assai meno forte dei due primi: nuovi privilegi, migliore giustizia, migliore fiscalìtà, parità con i Savoiardi negli uffici - così i Piemontesi, da decenni -, nuovi posti di segretario ducale; nel 1530 addirittura venne poi chiesta una Camera dei conti per il solo Piemonte. Oltre ai sussidi, il terzo Stato piemontese faceva a gara con il savoiardo nel sollecitare il duca ad un più effettivo governo, ad un più forte potere centrale monarchico. Erano tutte richieste e sollecitazioni, essenziali nella vita dello Stato sabaudo, che venivano compiute nel rapporto parlamentare fra quello Stato e il principe.
Ma proprio quel rapporto riusciva sempre meno accetto al Paserio e all'Aiazza; ed anche per ciò la duchessa si trovò ad apprezzarlo assai poco. Figlia di re, di alto assolutistico sentire, cognata dal 1526 dell'imperatore che sposò allora sua sorella Isabella, animata dai suoi consiglieri e dalle sue dirette esperienze, ella concordò sempre meglio in Piemonte con quanti, aristocratici e uomini del governo, inclinavano comel'Aiazza e il Paserio ad un monarchico esercizio del potere, erano lontani dai governanti savoiardi aristocratici e feudali; ma non intendevano governare d'accordo con gli interessi nionarchicí del terzo Stato piemontese, e non amavano, anch'essi, il dialogo con i deputati delle comunità. Lo svolgimento della sua coscienza politica B. lo compì in tal verso, ben oltre le sue prime lotte del 1524-26, quanto più il duca e la maggior parte degli altri governanti si tennero fuori dal Piemonte nell'ultimo sforzo, anti-ginevrino, anti-svizzero, antifrancese, della loro più antica realtà sociale e politica.
L'orientamento sabaudo anti-francese e di favore per Carlo V si era avviato soprattutto mtorno al 1523-24. Più libero, tuttavia, perché non prevalente nel governo centrale di Carlo II, il mondo politico e morale di B. e dei governanti piemontesi che le erano intorno era più costante del sabaudo-savoiardo nel propo sito di agire nell'ambito imperiale. Gli sforzi continui per ridurre il peso delle presenze militari imperiali in Piemonte erano pur sempre avvenuti ed avvenivano in ún rapporto fra alleati. Per B. il nemico era senza riserve Francesco I, e l'obbiettivo da contrastare erano gli interessi francesi sullo Stato sabaudo e nell'Italia del nord.
In quel verso, e presenti nel 1530 presso Carlo V i duchi sabaudi a Bologna, quando l'incontro fra Carlo e il papa Clemente VII sancì, fra le altre molte cose, il definitivo attestarsi imperiale nella vita politica italiana, dev'essere considerato il fatto che B. ebbe dall'imperatore per sé e per i propri discendenti la contea di Asti e il marchesato di Ceva, da Francesco I ceduti nel 1529 con la pace di Cambrai a Carlo V. La donazione fu poi definita il 3 apr. 1531, da Gand, con regolare atto, e fu seguita il.20 novembre dello stesso anno dalla concessione del vicariato imperiale sulle terre donate. In quello stesso verso va sottolineata la collaborazione, che, nell'entrare nell'effettivo possesso delle nuove terre e nel govemarle, B. ebbe da uomini come l'Aiazza, Aimone Piossasco di Piobesi presidente del Consiglio ducale di Chambéry, Chiaberto Piossasco di Scalenghe consigliere ed il Paserio ancora presidente del Consiglio ducale di Torino, Gian Francesco Porporato presidente patrimoniale, e vari altri: preminenti, come già da tempo, il Piossasco di Scalenghe e Giacomo Folgore di Scalenghe, fatto da Carlo V e confermato dalla duchessa governatore di Asti. E ancora in quel verso acquista il suo intero rilievo ciò che accadde nell'ottobre 1535. Allora B., ricercando in Piemonte come già nel 1526 aiuti militari da mandare in Savoia a Carlo II, trovò favorevoli alla cosa i nobili, contrarie le comunità; e a loro volta il Porporato, Nicolò Balbo presidente patrimoniale generale, il Folgore di Scalenghe e il Piossasco di Scalenghe, altri ancora dei governanti piemontesi, alimentarono in lei la sfiducia verso la possibilità di convincere le comunità a contribuire allo sforzo bellico sabaudo. Così proseguendo allora il disaccordo fra le comunità e i nobili, il 25 ottobre la duchessa informò Carlo Il delle forze mercenarie che la nobiltà era disposta a procurargli, ed insisté perché egli preferisse ciuell'aiuto all'altro, che mai potesse venirgli, delle comunità, sottolineò il fatto che in quel modo egli avrebbe evitato gli scontri altrimenti inevitabili fra sudditi savoiardi e sudditi piemontesi; i secondi, ella scrisse, non avrebbero certo lasciato di far guasti passando sulle terre dei primi. Sempre in quel verso è poi da misurarsi il tentativo compiuto da B. per il figlio Luigi - morto poco dopo in Spagna - quando la fine dell'ultiino duca di Milano Francesco II Sforza aprì intorno a Carlo V anche la gara dei principi italiani per il governo dello Stato milanese: nel novembre 1535 B. fu tra i primissimi a chiedere all'iinperatore- quello Stato per il figlio.
Il fatto che nell'agosto 1531 B. avesse ricevuto dal consorte Carlo II il godimento, per tutta la restante vita di lui, dei redditi della Bresse, e il governo degli ufficiali ducali di quella regione ad eccezione del govematore, del luogotenente e del tesoriere, era cosa che confermava la sua autorità nell'ambito generale del governo sabaudo e l'affetto che le portava il duca, ma non significò nulla di nuovo nei suoi interessi politici, tanto meno che ella divenisse più prudente nei confronti del re di Francia. Mentre infatti l'esser presenti nella vita bressana, a qualunque titolo, aveva sempre comportato una particolare attenzione alla realtà politica ed econonuca di quella più occidentale tra le regioni sabaude e delle zone confinanti francesi, B. ancora nell'agosto 1534 sottolineava con Carlo II quanto fossero contrari ai suoi, verso Ginevra e in generale nel suo Stato, gli intenti di Francesco I, lo metteva in guardia una eùnesima volta da quella parte, lo incitava una volta ancora a non tergiversare tra Francia e Impero. In quell'orientamento ella durò sempre. Un'altra volta infine ella confermò la linea politica sua e dei suoi collaboratori, dei Piossasco degli Scalenghe dei Vinovo dei Provana e degli altri come loro, quando si discussero presso Carlo V le ragioni sabaude e gonzaghesche alla successione nel Monferrato, apertasi con la morte di Giangiorgio Paleologo nel 1533; non soltanto ella ambiva a quella regione, come il duca, ma assai più realisticamente di lui era con quanti avrebbero voluto un'occupazione sabauda del paese, per costituire in qualche modo la ragione di fatto che manco invece a Carlo II quando l'imperatore nel 1536 decise, e decise a favore di Margherita Paleologo nipote di Giangiorgio e moglie del duca di Mantova Federico II Gonzaga.
Nel gennaio 1522, dinanzi a un'assemblea degli Stati piemontesi a Vigone, l'allora cancelliere di Savoia Gabriele Lodi aveva detto che Carlo II aveva condotto B. in moglie "ex finitirnis mundi regionibus". L'espressione non può non colpire per la sua singolarità, quand'era ormai tanto tempo che i confini d'Europa giungevano ben al di là del continente; ma il cancelliere non era un grand'uomo. Essa tuttavia dice pure qualcosa, dice a suo modo una delle ragioni per cui B. poté farsi presso molti, nel suo tempo e dopo, una fama di donna altera, di principessa "difficile". Lo Stato in cui era giunta era ancora nella sua maggior parte chiuso nelle sue strutture e nelle sue tradizioni, ed ella notò presto ciò. Quello Stato era per altro animato da nuove, moderne energie politiche, non soltanto ma soprattutto piemontesi, ed ella si legò progressivamente con esse, per un monarchico governo in una certa Europa contro un'altra. Le occupazioni francese e svizzera della maggior parte dello Stato nel 1536, le conseguenti peregrinazioni della duchessa a Vercelli e poi a Milano e a Pavia e ad Asti e a Savigliano, infine a Genova e a Nizza, bloccarono progressivamente il suo lavoro, ed ella morì a Nizza l'8 genn. 1538, poco dopo un parto, senza che nessuna risoluta scelta di governo interno e in Europa fosse stata compiuta. Rimasero però attivi, là dove era possibile, molti dei suoi collaboratori. E in tal modo continuò lentamente a maturare neflo Stato il distacco fra le vecchie e le nuove classi politiche, il quale sarebbe poi venuto a definizione con la successione a Carlo II di Emanuele Filiberto, secondogenito di Carlo e di B., fattosi uomo di guerra e di governo nell'Europa di Carlo V.
Bibl.: G. Claretta, Notizie storiche intorno alla vita ed ai tempi di Beatrice di Portogallo duchessa di Savoia, con documenti, Torino 1863; G. Fornaseri, Beatrice di Portogallo duchessa di Savoia, 1504-1538, Cuneo 1957; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello stato sabaudo (1418-1601), I, 1418-1536, Roma 1962, capitolo VIII; Id., Governanti e governati nello stato sabaudo: un'interpretazione del rapporto nel suo tempo più ricco: in Studi urbinati, XXXVII, n. s. B, n. 1, (1963) pp. 15-45.