Beijing consensus
– Espressione coniata dall’economista statunitense Joshua Cooper Ramo nel 2004 in contrapposizione a Washington consensus (v.), introdotta nel 1989: in entrambi i casi si potrebbe tradurre consensus come «condivisione di princìpii». Dagli anni Novanta del Novecento l’indiscutibile ascesa della Cina come protagonista dal punto di vista economico e geopolitico è avvenuta in contrasto con l’insieme di norme e di raccomandazioni proprie del Washington consensus: in particolare, contro l’idea che l’adozione del libero mercato avrebbe implicato inevitabilmente l’adesione a una democrazia pluripartitica e la nascita di una classe media desiderosa di maggiori libertà di parola. Così, molti osservatori dal Terzo Mondo (v.) hanno incominciato a guardare verso Pechino come modello di sviluppo alternativo: alcuni regimi credono di trovare nell’esempio cinese la giustificazione per imporre limitazioni alla pluralità, ai diritti umani, alla libertà di stampa, alla censura (anche su Internet), altri seguono l’esempio cinese in ambito economico, sforzandosi di applicare una sorta di 'capitalismo di Stato' solo parzialmente aperto al mercato. A sua volta, il governo della Repubblica popolare cinese alimenta l’adesione al B. c. attraverso gli studiosi e i diplomatici che ritraggono la Cina come alternativa all’insieme delle potenze imperialistiche – Russia e Stati Uniti – riproponendo una versione aggiornata della visione dell’ecumene caratteristica dell’età antica e un’interpretazione storiografica alternativa rispetto a quella occidentale (v. Menzies, Gavin). Con una posizione meno intransigente di quella occidentale su molti temi, la Cina può proporsi come interlocutore in trattati bilaterali con molti governi considerati irricevibili dall’Occidente, tra cui anche alcuni cosiddetti (v.).