BEKTĀSHĪ
. Affiliati alla confraternita religiosa e setta musulmana eterodossa Bektāshiyyah, che è nata e si è sviluppata soltanto fra Turchi e Albanesi, e che si collega strettamente ad alcuni periodi della storia dell'Impero ottomano. Essa prende il nome dal suo supposto fondatore Ḥāggī Bektāsh, sepolto nella località omonima in Asia Minore, fra Qīrshehir (Kïrşehir, al cui vilāyet ora appartiene) e Qaiṣariyyeh (nella nuova grafia turca Kayseri), e, secondo la biografia tradizionale, morto nel 738 èg., 1337-1338 d. C. Se non che questa data è semplicemente il risultato d'uno di quei cronogrammi che tanto piacciono ai popoli musulmani, ossia la somma dei valori numerici delle lettere arabe che compongono il nome -\arabo\, Bektāshiyyah; recentissime ricerche mostrerebbero invece che Bektāsh (originario, secondo la tradizione, di Nīshāpūr nella Persia di nord-est) fiorì in Anatolia nella prima metà del sec. XIII, professò un temperato ṣūfismo (v.) sunnita od ortodosso da lui esposto nel libro arabo al-Maqālāt, e quindi non avrebbe vero legame di dottrine con i posteriori Bektāshī, i quali arbitrariamente avrebbero assunto il nome di lui, santo (walī) molto venerato. Leggenda quindi è il racconto così largamente diffuso del colloquio di Ḥāggī Bektāsh con il sultano Orcano (Ōrkhān, 726-761 èg., 1326-1359) e della benedizione da lui data al corpo militare dei giannizzeri (v.) al momento della sua fondazione verso il 1329. Il Bektāshismo eterodosso, quale poi divenne celebre e ancor oggi esiste, sembra dovuto a Bālim Bābā, morto nel 922 èg., 1516 d. C., che lo costituì sotto forma di confraternita od ordine religioso di dervisci; il raggrupparsi d'intere popolazioni intorno ai capi dei conventi venne presto a dare al bektāshismo il duplice carattere d'ordine di dervisci e di setta religiosa. Intimamente legato per secoli con il corpo dei giannizzeri, l'ordine dei Bektāshī fu travolto anch'esso dalla catastrofe che annientò il corpo suddetto nel giugno 1826; ma in seguito, pur senza più riacquistare l'antica grande influenza politica, poté ricostruirsi e rifabbricare i conventi distrutti, finché il decreto governativo del 2 settembre 1341 (1925) venne ad abolire in Turchia tutti gli ordini di dervisci e a incamerare tutti i loro conventi. Dopo questa data l'ordine, se si eccettua il convento alle falde del monte al-Muqaṭṭam nei dintorni del Cairo, non esiste più se non in Albania, ove, essendo stato nell'ultimo trentacinquennio un focolare di liberalismo e di pretto nazionalismo albanese, continua a godere di grande favore, tanto che agli ultimi di settembre del 1929 fu tenuto un congresso bektāshī nel convento di Turani presso Corizza (Korça), alla cui apertura assistette il prefetto in rappresentanza del governo.
In quanto setta, il bektāshismo non si distingue per dottrine o riti, salvo forse qualche lievissima sfumatura, dalle sette dei Takhtagī nella parte sud-ovest dell'Asia Minore corrispondente all'antica, Licia, e dei Qizilbāsh (v.) od ‛Alawī o Ahl-i Ḥaqq (v.) dell'Asia Minore. Il loro credo esoterico o riservato è conosciuto soltanto in modo generico; deriva fondamentalmente da quello degli sciiti estremi (Bāṭiniti, Ismā‛īliti), pur riconoscendo i dodici imām degli sciiti duodecimani; sembra ritenere paradiso ed inferno come semplici allegorie; ha accolto fin dal declinare del sec. XV il sistema cabalistico della setta dei Ḥurūfī con le sue fantastiche speculazioni sul valore numerico delle lettere dell'alfabeto arabo. La formula della professione di fede è quella degli sciiti ismā‛īliti "Non v'è altro Dio che Allāh, Maometto è l'inviato di Allāh, ‛Alī è l'amico (walī) di Allāh". Le pratiche ordinarie dell'islamismo sunnita non sono seguite; si sostituiscono a esse riti, alcuni dei quali paiono derivare dal cristianesimo antico: confessione pubblica, con assoluzione impartita dal bābā (v.), cene solenni nelle quali si dividono pane, vino e formaggio a scopo rituale (come gli antichi Artotiriti della Frigia), ecc. Dei dervisci, alcuni fanno voti di castità (cosa assolutamente fuori dell'islamismo) e vivono nei conventi (in turco tekkieh); altri invece sono ammogliati e vivono nelle loro case private. In Albania i Bektāshī sembrano curarsi poco di cose religiose e mirare piuttosto a idee liberali e filantropiche e a una vita morigerata; benché sia difficile dire fino a qual punto sia sincero lo scetticismo che talora gli stessi dervisci ostentano con coloro che non appartengono alla setta.
Bibl.: G. Jacob, Beiträge zur Kenntnis des Derwisch-Ordens der Bektaschis, Berlino 1908 (vol. IX della Türkische Bibliothek); id., Die Bektaschjje in ihrem Verhältnis zu verwandten Erscheinungen, Monaco 1909 (in Abhandl. Akad. W., i. Kl., XXI, parte 3ª); M. Choublier, Les Bektachis et la Roumélie, in Revue des études islamiques, Parigi 1927, pp. 427-453 (osserazioni locali); H. H. Schäder, Zur Stifterlegende der Bektaschis, in Orientalistische Literaturzeitung, Lipsia 1928, XXXI, coll. 1038-1057 (importanti osserazioni critiche); varî recenti scritti in turco di Kiöprülü-Zādeh Mehmed Fu'ād.